I NOMI – L’omicidio Ciurar fu ritorsione contro i rom. Arrestati due affiliati al clan dei “barcellonesi”
A poco più di 14 anni dall’atroce uccisione del nomade di etnia rom, Petre Ciurar di 20 anni, avvenuta nella serata di domenica 5 dicembre 2010, ad opera di due giovani di Barcellona, armati di un fucile calibro 12 caricato a pallini e pallettoni, sono stati eseguiti due arresti, uno a Barcellona ed un secondo in provincia di Reggio Emilia.
Infatti, il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Messina, Nunzio De Salvo, su richiesta dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia, Francesco Massara e Piero Vinci, coordinati dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio, ha ordinato l’applicazione della misura cautelare del carcere nei confronti dei barcellonesi Domenico Bucolo, residente a Barcellona e di Santo Genovese, residente in provincia di Reggio Emilia, entrambi coetanei di 34 anni. Le due persone arrestate dai carabinieri del Ros, con il supporto dei Comandi provinciali dell’Arma di Messina e di Reggio Emilia – difese rispettivamente dagli avvocati Filippo Barbera e Pinuccio Calabrò – sono indagate per la seguente ipotesi di reato: avere, in concorso, tra loro e con il barcellonese Giovanni Perdichizzi (a sua volta ucciso il primo gennaio del 2013 nel rione di Sant’Antonino), cagionato la morte del cittadino romeno Petre Ciurar, esplodendo all'indirizzo della baracca, all'interno della quale quest'ultimo si trovava, diversi colpi di fucile calibro 12, uno dei quali lo attingeva al capo, provocandone la morte. Un fatto aggravato perché sarebbe stato commesso avvalendosi delle modalità mafiose ed al fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa operante sul medesimo territorio, il clan dei barcellonesi, nonché con l’aggravante della premeditazione.
Con l’ulteriore contestazione loro rivolta di «avere, in concorso tra loro e con Giovanni Perdichizzi (il quale, all’epoca dei fatti, quando ancora era in vita, sarebbe stato ai vertici del gruppo mafioso del rione San Giovanni n.d.r.), portato illegalmente in luogo pubblico un fucile calibro 12, qualificabile come arma comune da sparo; con le contestate aggravanti.
A consentire la riapertura delle indagini che hanno condotto alle due misure cautelari, sono state le ulteriori dichiarazioni di nuovi collaboratori di giustizia. Infatti, Il quadro gravemente indiziario è stato ricostruito grazie alle minuziose indagini svolte dai carabinieri del Ros-Sezione anticrimine di Messina e dalla Sezione di polizia giudiziaria, aliquota Carabinieri, in forza alla Procura della Repubblica di Barcellona, diretta dal procuratore Giuseppe Verzera, che ha di fatto prodotto un coordinamento investigativo fra la stessa Procura della Repubblica di Barcellona e la Direzione Distrettuale Antimafia di Messina.
L’accusa: un atto ritorsivo contro la comunità rom
Determinante si è rivelato il contributo delle dichiarazioni rese da uno degli ultimi collaboratori di giustizia, affiliato alla famiglia mafiosa “dei barcellonesi”.
Si tratta del giovane Marco Chiofalo detto “Balduccio”, coinvolto nell’operazione “Dinastia”, sulle nuove leve della mafia locale e sui rampolli delle famiglie mafiose barcellonesi. Grazie alle dichiarazioni collazionate da investigatori ed inquirenti, su quanto riferito dal nuovo collaboratore di giustizia, e su quanto già dichiarato in precedenza da altri collaboratori di giustizia, è stato ritenuto che l’omicidio di Petre Ciurar, commesso la sera di domenica del 5 dicembre 2010, in contrada Coccomelli, su un terreno di Rete ferroviaria, a poca distanza dalla Stazione di Barcellona, fu ideato ed eseguito come atto ritorsivo nei confronti della comunità rom, ritenuta responsabile di diversi furti che si sarebbero verificati nel territorio, specie nella zona di Calderà ed in altri rioni contigui. Luoghi ritenuti appannaggio del dominio mafioso del gruppo che faceva riferimento al quartiere di “San Giovanni”, riconducibile alla medesima consorteria mafiosa dei “Barcellonesi”, alla quale sarebbero stati organici i due indagati arrestati prima dell’alba di ieri.
Oltre a Marco Chiofalo, inteso Balduccio, altri collaboratori di giustizia hanno parlato dell’omicidio del cittadino romeno. Si tratta dei collaboratori Alessandro Abbas, Aurelio Micale, Francesco D'Amico, Franco Munafò, e perfino Alessio Alesci. Dalle loro dichiarazioni sarebbe emerso che a portare a termine la spedizione punitiva contro il romeno siano stati Domenico Bucolo e Santo Genovese, su mandato di Giovanni Perdichizzi. I due indagati, come rilevato da investigatori ed inquirenti, dopo il delitto del cittadino di etnia rom, si sarebbero resi responsabili di reati, per i quali hanno riportato condanne definitive: Domenico Bucolo per detenzione illecita di stupefacenti, reato commesso nel 2013, e Santo Genovese per due rapine, nonché per detenzione e porto illegale di armi, reati commessi nel 2011, e per due estorsioni continuate, reati commessi nel 2018.