Ponte, la corsa di Salvini&C. svela solo il regalo ai costruttori
Di Aura Notaraianni - La legge di Bilancio del 2022 ha recuperato dalla polvere il progetto del Ponte sullo stretto di Messina definendolo opera prioritaria senza aver considerato le scelte alternative per realizzare il completamento della rete europea, affidandolo alla rediviva società pubblica Stretto di Messina (Sdm). Ha reiterato i vincoli di esproprio, dopo 10 anni, senza preoccuparsi di come si era modificato l’assetto urbanistico del territorio e le amministrazioni locali stavano progettando il proprio futuro. Sul ponte e sulla Sdm il governo Monti aveva messo una pietra sopra nel 2013, dopo aver verificato che il progetto non aveva ottenuto una positiva valutazione ambientale né trovato un finanziatore privato, ed aveva “caducato” tutti i contratti con il costruttore Eurolink, capitanato oggi da Webuild, ponendo fine alle richieste risarcitorie e alle spese a carico dello Stato. Oggi il socio di maggioranza della Stretto di Messina è il ministero dell’Economia che, per acquistare le azioni, ha dovuto rettificare il bilancio del 2023 passando a perdita 83 milioni di euro, valore non più funzionale alla realizzazione dell’opera.
Il governo ce la mette tutta per andare di fretta, forte anche della propaganda che costa, per decreto, 1 milione di euro ogni anno. Tra il 2023 e il 2024 ha approvato con la fiducia quattro decreti sul tema. Il primo per resuscitare, col pretesto di una semplice modifica contrattuale, le due società aggiudicatarie: Eurolink per la realizzazione dell’opera e la statunitense Parson per la verifica e collaudo. Poco importa che, dopo 10 anni, il costo dell’opera è più che raddoppiato rendendo necessaria, secondo la normativa europea, una nuova gara internazionale. La società ha provato a scorporare, con fantasia contabile, il costo del ponte da quello delle opere connesse comprese nel piano e necessarie per i collegamenti senza i quali l’opera resterebbe nel deserto. E poco importa anche che le due società sono in causa contro lo Stato avendo reclamato, la prima, una penale di 700 milioni , dopo aver incassato il 10% sul valore dell’opera e, la seconda, chiedendo oltre 50 milioni di euro per le spese e i danni.
Il decreto legge di marzo 2023, con cui Matteo Salvini ha resuscitato il ponte, si giustifica, nel preambolo, con la condizione della rinunzia delle società al giudizio in corso contro lo Stato, tacendo però che in Tribunale Eurolink ha perso ma ora grazie al decreto ha il vantaggio di recuperare la validità del precedente contratto e della medesima clausola con l’indennità di risoluzione del 10% nel caso in cui l’opera non sia realizzata. Con il secondo decreto, Salvini ha poi permesso ai vertici di Sdm di ottenere compensi che superino il limite di €240.000 euro annui previsto per le società pubbliche. Il terzo decreto realizza un vero capolavoro: nella consapevolezza di possibili complicazioni tecniche e ambientali, autorizza l’avvio dei lavori anche per “fasi esecutive”: si possono espropriare i terreni per aprire cave e discariche, per costruire strade e gallerie anche se poi il ponte non si fa perché il progetto esecutivo non può essere approvato. Il quarto decreto vieta di manifestare il dissenso opponendosi in pubblico contro le grandi infrastrutture.
In questi giorni attendiamo di leggere il parere della Commissione di valutazione ambientale che il ministero ha anticipato essere positivo, ma ancora non l’ha reso pubblico. Dalle indiscrezioni che trapelano pare che la Commissione abbia espresso circa 60 prescrizioni, alcune delle quali da ottemperare prima dell’approvazione del progetto definitivo, che impedirebbero la verifica in sede di conferenza dei servizi al ministero delle Infrastrutture ritardando la trasmissione del progetto definitivo al Cipess per l’approvazione, con effetti in deroga a qualsiasi altra autorizzazione di enti istituzionali e territoriali. Tra le 60 prescrizioni potrebbero esserci quelle già contenute nella delibera del Cipe n. 66 del 2003 e mai risolte, specie sulle faglie sismiche come rilevate dai tecnici. Potrebbe esserci la prescrizione sul “franco navigabile”, cioè l’altezza centrale, di 65 metri che realizza un muro non un ponte impedendo il passaggio inoffensivo delle navi in violazione della convenzione di Montego Bay; e potrebbe esserci la prescrizione sulla riserva di Capo Peloro che già aveva una valutazione di incidenza negativa nel parere del 2013; potrebbe esserci la necessaria verifica dei cavi principali del ponte alle prove di resistenza a fatica e a flatting, indicata nel progetto definitivo, mai risolta e non rinviabile al progetto esecutivo. Se ci fossero, quella di Salvini&C. sarebbe una vittoria di Pirro. E la dimostrazione che sul ponte si vuole solo correre a ripristinare i contratti, e con loro le penali. Fonte: il fatto quotidiano
*Legale Wwf e Legambiente