I giudici della Corte d’Appello, presidente Mangano, giudici Giacobello e Tripodi, hanno radicalmente riformato la sentenza di primo grado, e prosciolto dal reato di riciclaggio di una importante somma di denaro poi trasferita all’estero, l’imprenditore Antonino Imbesi, azionista dell’Agrumigel srl di Barcellona. In primo grado i giudici del Tribunale in composizione collegiale, lo avevano condannato, disattendendo la richiesta di assoluzione del pm, alla pena di 5 anni e 6 mesi. Con lo stesso dispositivo, all’imprenditore Antonino Imbesi, sono state dissequestrate somme per oltre 800 mila euro, oltre al 33% delle quote azionarie detenute nella società Agrumigel srl, per la gestione delle quali era stato nominato un custode giudiziario.
La vicenda giudiziaria vissuta dal giovane imprenditore è stata segnata da un duplice percorso giudiziario. Infatti, per la stessa ipotesio di reato, parallelamente al processo di Barcellona, si teneva analogo processo davanti al Tribunale penale di Milano, e la Procura lombarda aveva chiesto la condanna a 4 anni e 6 mesi. Ma davanti al Tribunale di Milano, Imbesi, difeso dall’avv. Antoniele Imbesi, diversamente da Barcellona, era stato assolto con formula più ampia, “perché il fatto non sussiste”.
E così in Corte d’Appello a Messina, nel giudizio celebrato in secondo grado avverso la sentenza del Tribunale di Barcellona, la difesa ha eccepito anche “l’improcedibilità per l’intervenuto giudicato assolutorio del Tribunale di Milano sugli stessi fatti e per questo, oltre all’assoluzione è stato disposto il dissequestro.L’imprenditore era stato accusato di aver sostituito e trasferito denaro all’estero con operazioni sospette in modo da ostacolarne l’identificazione della provenienza. Secondo quell’iniziale accusa si contestava di aver simulato la stipula di un contratto preliminare con altra imprenditrice. Quest’ultima si sarebbe impegnata ad acquistare terreni ed immobili di proprietà di Imbesi e di una sua sorella al prezzo complessivo di 1.300.000 versando l’importo di 800.000 euro a titolo di caparra obbligandosi a versare il residuo all’atto della stipula del contratto definitivo. Dopo aver ricevuto dall’imprenditrice l’importo complessivo di 800.000 euro, mediante 5 bonifici, denaro che la compratrice avrebbe distratto da due società Ti Due sas e Tecno Design snc delle quali la donna era legale rappresentante. fonte: Gazzetta del sud