27 Settembre 2024 Giudiziaria

Retata antidroga a Camaro: 20 anni a Costantino, 9 anni e 3 mesi per la compagna Alessandra Patti

Sono condanne per tutti quelle decise alla fine del processo di primo grado sullo spaccio di droga con base a Camaro e che si snodava fino alla Calabria, continuando anche durante la latitanza di Costantino (fuggito dopo il duplice omicidio del 2022 di Giovanni Portogallo e Giuseppe Cannavò, per il quale è in corso il processo, avvenuto il 2 gennaio 2022 in via Eduardo Morabito, nel rione di Camaro S. Luigi).

Il processo

L'organizzazione smantellata dalla Polizia è comparsa oggi davanti al giudice Salvatore Pogliese che li ha giudicati in abbreviato. Alla scorsa udienza i pubblici ministeri Roberto Conte, Marco Accolla e Antonella Fradà avevano sollecitato condanne per tutti gli imputati, dai 3 anni per i semplici pusher ai 17 per i collaboratori più stretti di Costantino.

Ecco il verdetto: Costantino 20 anni; Amante 12 anni e 6 mesi (in “continuazione” con una precedente sentenza); Ferrante 12 anni (in “continuazione” con una precedente sentenza); Francesco Genovese 14 anni (in “continuazione” con una precedente sentenza); Giuseppe Genovese 10 anni (in “continuazione” con una precedente sentenza); Saffioti 10 anni; Patti 9 anni e 3 mesi; Mesiti 3 anni e 2 mesi (in “continuazione” con una precedente sentenza e con il riconoscimento della recidiva).

Il gup Pugliese preliminarmente ha respinto una eccezione di incompetenza territoriale con la richiesta di trasmissione degli atti al tribunale di Reggio Calabria sollecitata a luglio dall'avvocato Pagano per Costantino, sul presupposto che il traffico di droga cristallizzato dalle indagini e dalle intercettazioni durante la latitanza di Costantino era avvenuto in Calabria, ed anche i rifornimenti dello stupefacente da parte dei componenti del gruppo di Camaro.

DALL'ARCHIVIO: TUTTI I DETTAGLI DELL'OPERAZIONE

Di Enrico Di Giacomo - "Il sodalizio composto dagli indagati possiede una non comune professionalità nel traffico di sostanze stupefacenti, riuscendo ad instaurare proficui rapporti di collaborazione nel territorio calabrese... dando vita a un'associazione criminale dedita, con tratti di inquietante professionalità e sistematicità, a una frenetica attività tesa ad acquistare a più riprese ingenti forniture di sostanza stupefacente di vario tipo da destinare al mercato dello spaccio".

L'operazione di Polizia di ieri mattina, che ha portato all’esecuzione di 10 misure cautelari, è l'epilogo delle più recenti indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina (e gestita dalla sostituta della Dda Antonella Fradà) e condotte dalla Squadra Mobile su una associazione per delinquere, verticisticamente strutturata, finalizzata alla detenzione e al traffico di stupefacenti.

Le indagini sono state avviate a seguito del duplice omicidio di Giovanni PORTOGALLO e Giuseppe CANNAVO’, avvenuto il 2 gennaio 2022 in via Edoardo Morabito, rione Camaro, all’esito delle quali è stato arrestato un messinese, ritenuto l’autore materiale, rintracciato a Rosarno (RC) dopo tre mesi di latitanza.

I successivi sviluppi investigativi, allo stesso tempo, hanno consentito di ravvisare l’esistenza di una compagine delinquenziale che operava nel territorio di Messina, in particolare nel rione Camaro, dedita allo spaccio di cocaina, marijuana e crack. La platea di consumatori era vasta e i luoghi di riferimento per lo spaccio sempre gli stessi: l'abitazione dell'indagata Alessandra Patti, l'appartamento dei Genovese, padre e figlio, o la piazza Fazio, a Camaro Superiore, come risulta dai servizi di osservazione effettuati.

Gli accertamenti di polizia giudiziaria hanno consentito di documentare all'interno del gruppo criminale "una non comune capacità organizzativa nel traffico di droga, riuscendo ad instaurare proficui rapporti di collaborazione anche con persone operanti nel territorio calabrese, nonché una abilità notevole di inserimento nel settore dello smercio al “minuto”".

IL GRUPPO CRIMINALE 'A LAVORO', NONOSTANTE LA LATITANZA DI COSTANTINO. 

Nonostante la latitanza di Claudio Costantino, l'associazione non avrebbe mollato la presa neanche per un attimo grazie "alla gestione del traffico di stupefacenti proseguita dalla compagna, Alessandra Patti, 39 anni, dal figlio di lei, Ruben Prugno, 21 anni" - "entrambi hanno fornito un significativo contributo, avendo sempre mantenuto assidui contati con il predetto sia nel periodo in cui si trovava in stato di latitanza che quando si trovava in stato di detenzione" -, e da Francesco e Giuseppe Genovese, padre e figlio, in costante contatto con Costantino. La droga, in prevalenza marijuana, veniva acquistata da due fornitori calabresi, Luigi Serena e Giuseppe Saffioti, grazie alla collaborazione di Francesco Amante e Francesco Ferrante.

"E' sorprendente notare che - scrive la gip Ornella Pastore, che ha firmato le misure cautelari in carcere - a fronte degli arresti e dei sequestri di sostanze stupefacenti, l'organizzazione, senza problemi alcuno, ha commissionato nuovi e ulteriori acquisti di sostanza stupefacente, segno che ci si trova al cospetto di una compagine associativa di considerevole spessore".

I viaggi in Calabria per rifornirsi di droga dopo l'arresto di Claudio Costantino. Il ruolo dei sodali.

Sono numerose le trasferte (e le intercettazioni degli inquirenti) in Calabria finalizzate all'approvvigionamento di droga di Francesco Amante (venditore di prodotti ortofrutticoli) e Francesco Ferrante durante la latitanza di Claudio Costantino.

Il 9 aprile 2022, dopo tre mesi di latitanza, Costantino veniva arrestato all'interno dell'abitazione di Maria Montagna Sorrenti, moglie di Alessandro Nicastro. Costantino, secondo gli inquirenti, ha continuato a coordinare e dirigere il traffico di stupefacenti del gruppo grazie alla collaborazione di Francesco Genovese, che già durante la latitanza aveva assunto un ruolo organizzativo. Genovese avrebbe coordinato i viaggi dei corrieri e si sarebbe occupato dei compensi da corrispondere.

Lo avrebbe fatto assieme alla compagna di Costantino, Alessandra Patti, che avrebbe assunto all'interno del sodalizio un ruolo di maggior spessore, "occupandosi della contabilità e della gestione della cassa comune, ricevendo il denaro provento dello smercio, che provvedeva a custodire, dopo averlo contato".

DUE VICENDE INQUIETANTI: I contatti telefonici di Costantino nonostante la detenzione e la conoscenza della presenza di microspie a casa Genovese....

"Alessandra Patti - scrive la gip Pastore nella misura cautelare - si occupava anche di mantenere i rapporti con i fornitori e con gli altri sodali, seguendo le direttive di Costantino con il quale continuava imperterrita a mantenere costantemente contatti telefonici (Costantino telefona alla Patti a qualunque ora, ndr), nonostante lo stato di detenzione dell'uomo all'Istituto penitenziario di Augusta".

Claudio Costantino avrebbe mantenuto contatti all'esterno avendo in uso un'apparecchiatura telefonica mobile.

Il 7 maggio Costantino contatta la compagna, che si trovava in compagnia del figlio Ruben e di Giuseppe Genovese.

La mattina successiva, mentre Francesco Genovese ed il figlio Giuseppe si trovavano a casa della Patti, il primo riceveva una chiamata che, senza alcun dubbio, proveniva da Claudio Costantino, che, nella circostanza, scambiava anche alcune battute al telefono con Francesco Genovese (“buongiorno ... eh apposto... diciamo, dai, tu apposto? Eh, basta che tu sei tranquillo, eh, si ... si lo sai ... è la prima cosa non ti preoccupare, si, si grazie a Dio tutto a posto .. e un poco ... poco ... incompr... poco ... il tempo ... comunque, per il resto, si, tutto a posto, speriamo che... si aggiusta un poco la situazione ... si, si ... bravo ... perché... è buono per tutti ... si , si ... incompr... infatti, si, siamo rimasti ... comunque dai, ti lascio, ci sentiamo ... va bene, va bene, sarai servito, un bel bacio dai, ci sentiamo, grazie a te”). Dopo aver parlato con Costantino - prosegue la gip -, Francesco Genovese restituiva quindi il telefono alla Patti che continuava la conversazione con il marito.

A distanza di qualche giorno, il 13 maggio 2022 un nuova telefonata viene registrata tra il detenuto Costantino e la Patti ("pronto... oh, vita mia, ti amo, amore mio...").

Costantino avrebbe avuto anche un secondo cellulare a disposizione con il quale comunicare all'esterno. Le telefonate intercettate tra Alessandra Patti e Claudio Costantino sono numerose. Costantino impartisce direttive ma dal carcere riesce a sapere, e poi avvertire la compagna, anche della presenza di microspie ("è pieno di zecche....") a casa sua e di Giuseppe Genovese e del padre Francesco.

La gip Pastore analizza questo aspetto e scrive: mentre stava parlando al telefono con il compagno, infatti, la Patti riceveva una telefonata da tale Peppe. Chiusa la conversazione con quest’ultimo, veniva informata da Costantino della presenza di microspie a casa “del papà di quello che ha telefonato ora” (Costantino: comunque ieri mi è arrivata la lettera di SDB (fonetico)... Patti: ab... Costantino: eh comunque a casa del papà di quello che ha telefonato ora... Patti: eh... Costantino: è pieno di zecche (intende dire verosimilmente microspie) perché all’altro... Patti: uh... Costantino: ... gliel’hanno detto, gliel’hanno detto, e dice che sapevano di tutto e di più sapevano, capito? Patti: ah si? Costantino: eh quindi è pieno di zecche (intende dire verosimilmente microspie) Patti: ho capito Costantino: eh!). Sulla scorta di tali ultime espressioni riguardanti “Peppe” - conclude la gip - e il “padre di questi”, riportati nel dialogo di cui sopra, Peppe veniva identificato nella persona di Genovese Giuseppe, e il di lui padre nella persona di Genovese Francesco, presso la cui abitazione vi era in atto l’attività d’intercettazione.

"Il tenore del suddetto colloquio appare quindi particolarmente interessante in quanto dimostra che il Costantino - scrive la gip - nonostante fosse detenuto, era a conoscenza della presenza di microspie a casa dei Genovese".

La microspia istallata a casa dei Genovese veniva successivamente rinvenuta essendo stato registrato il tipico rumore della manomissione e smetteva di funzionare subito dopo l'arresto di Francesco Amante.

"Tale passaggio della conversazione è di estremo rilievo poichè dimostra per un verso i contatti tra i sodali Patti, Costantino e i Genovese, per un altro l'accortezza degli indagati rispetto ai controlli delle forze dell'ordine, la paura di essere monitorati e la capacità di eludere gli accertamenti sul loro conto".

LA POSIZIONE DEI SINGOLI INDAGATI.

CLAUDIO COSTANTINO, 39 anni, deve quindi ritenersi "senza ombra di dubbio capo e promotore dell'associazione: egli infatti manteneva i contatti con i fornitori, impartiva direttive sugli approvvigionamenti e la successiva distribuzione dello stupefacente, coordinandone gli acquisti; imponeva la riscossione dei crediti e riforniva i sodali dei telefoni cellulari utili per la gestione degli affari illeciti".

"Durante la latitanza - scrive la gip - "l'indagato ha mantenuto i contatti con i sodali messinesi sia attraverso i fratelli Saffioti, telefonicamente o mediante 'pizzino', sia direttamente, ricevendo presso l'abitazione in cui si nascondeva il sodale Francesco Amante, ovvero intrattenendo conversazioni telefoniche con la Patti e Prugno; durante la successiva detenzione, si era servito di telefoni cellulari indebitamente posseduti per comunicare all'esterno, principalmente con la Patti".

In occasione dell'arresto, ricorda la gip per dimostrare il ruolo di vertice di Costantino, a Rosarno, "nel corso della perquisizione eseguita nell'abitazione fu sequestrata un'agendina con cifre e nomi e cognomi, verosimilmente riconducibili a soggetti nei cui confronti il gruppo criminale dell'indagato vantava dei crediti derivanti da pregresse cessioni di sostanze stupefacenti".

FRANCESCO GENOVESE, detto "indigeno", 43 anni (a suo carico c'è anche la detenzione di una pistola calibro 357), avrebbe invece assunto il ruolo di organizzatore all'interno del sodalizi, subentrando a Costantino, durante la latitanza prime e la carcerazione poi, nella gestione di alcune delle principali attività del gruppo.

Genovese "ha mantenuto i contatti con i fornitori dell'organizzazione, seguendo le direttive di Costantino, ha coordinato le trasferte dei corrieri, pagandoli e ricevendo in cambio lo stupefacente acquistato in Calabria da distribuire a rivenditori e acquirenti".

ALESSANDRA PATTI, 39 anni, avrebbe assunto il ruolo di partecipe, secondo le direttive di Costantino, sia durante la latitanza sia durante l'arresto, "trait d'union tra il compagno e i sodali, e il mondo esterno". La Patti - secondo la gip Pastore - "tiene la contabilità del gruppo, discute i crediti degli acquirenti, minaccia di interrompere le forniture e reclamare le spettanze. La Patti riceve in casa i fornitori calabresi, mettendoli in comunicazione con Costantino, con il quale ha mantenuto contati diretti". A casa della donna, nel giugno 2022, veniva trovato denaro contante, un'apparecchiatura elettronica per il rilevamento di microspie e due telefoni cellulari occultati.

Rilevante il ruolo di GIUSEPPE GENOVESE, 20 anni, che "organizza assieme al padre le trasferte calabresi finalizzate all'acquisto della droga", e di RUBEN PRUGNO, 21 anni, "il quale ha coadiuvato la madre nella custodia del denaro del sodalizio e nei rapporti con gli acquirenti". "Il Prugno era ben inserito all'interno del sodalizio - scrive la gip - vendo messo al corrente dalla madre di tutte le questioni di rilievo che riguardavano l'organizzazione, collaborando attivamente con la stessa".

FRANCESCO AMANTE, detto "bombolino", 47 anni e FRANCESCO FERRANTE, 54 anni, "partecipavano all'associazione, occupandosi del rifornimento della sostanza in Calabria e del successivo trasporto a Messina". "Sono stati, fino alla data del loro arresto - scrive la giudice Pastore - sostanzialmente i corriere del sodalizio come da essi stessi ammesso nelle conversazioni intercettate". "Effettuavano le trasferte in Calabria sotto la direzione di Costantino, che impartiva le relative direttive tramite Francesco Genovese".

Fornitori del sodalizio, infine, sono per gli inquirenti GIUSEPPE SAFFIOTI, detto "Peppe", 30 anni, di Cinquefrondi in provincia di Reggio Calabria e LUIGI SERENA, 76 anni, nato a Bologna e residente a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, i quali "hanno rifornito in varie occasioni il gruppo, consegnando ora ad Amante, ora a Ferrante le partite di stupefacente trasportate a Messina".