Svuota carceri, Ardita: ”Indulti nascosti. Attenzione agli sconti di pena”
Sulle pagine del Fatto l'intervista esclusiva al procuratore aggiunto a Catania
La questione carceraria "è una matassa imbrogliata rispetto alla quale chi ci mette mano rischia di complicarla ancor di più". Così Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Catania, ai microfoni de Il Fatto Quotidiano commentando il decreto Carceri e il ddl sulla liberazione anticipata speciale approdati in Parlamento. "Esiste un problema di qualità della vita in carcere, uno di precarietà delle strutture, un terzo di sicurezza e agibilità del personale - ha aggiunto il procuratore che per anni ha diretto l'ufficio detenuti al Dap -. Chiunque pensi di affrontarli separatamente o in modo ideologico non risolve il problema, e mette a rischio la sicurezza della società. Finisce per essere indirettamente il responsabile dei morti dentro – prodotti dalla condizione di inciviltà delle carceri – o dei morti fuori, frutto di affrettate scarcerazioni di personaggi pericolosi per risolvere il suo affollamento".
Sulla proposta di liberazione anticipata speciale del deputato di Italia Viva, Roberto Giachetti, "il testo che ho esaminato non prevede l’esclusione del beneficio per i mafiosi - ha detto Ardita -. E sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica. Ma sarebbero scarcerati anche altri detenuti pericolosi, senza nessuna valutazione sulla concreta pericolosità. Si assiste a una crescita esponenziale delle pene edittali da un lato e dall’altro a una sistematica demolizione degli effetti concreti della pena. La liberazione anticipata è stata trasformata in uno sconto di pena automatico, che prescinde dal cambiamento reale della persona. Una sorta di 6 politico che si accompagna all’autogestione delle carceri".
Le proteste dentro alcune carceri, da parte dei detenuti, hanno riportato al centro del dibattito politico l'invisibilità di molti istituti penitenziari. Condizioni critiche che hanno portato anche ad alcuni episodi di suicidi. Per il procuratore sarebbero due i fattori scatenanti. Da un lato "avere abbandonato il carcere all’autogestione dei detenuti, o meglio, alla gestione dei capi bastone, aprendo le celle, e la rinuncia dello Stato a prendersi cura dei reclusi. L’autogestione ha prodotto sofferenza negli stessi detenuti, oltre che reati. Le statistiche ci dicono che si sono moltiplicati i casi di autolesionismo e di suicidio e si sono intensificati i reati di ogni genere. In passato i penitenziari erano stazioni di controllo dei tossicodipendenti e cercavano di curarli con progetti ad hoc. Oggi le carceri, grazie all’autogestione degli spazi, sono diventate piazze di spaccio. I gruppi mafiosi si dividono il mercato e vendono potenzialmente a chiunque sia recluso la sostanza stupefacente. È evidente che così sfugge di mano il fenomeno dei suicidi".
Per risolvere il problema, il magistrato suggerisce "un’analisi approfondita di come si sia potuto arrivare a questo disastro di mancanza di controllo delle carceri e di assistenza". Al contrario il governo "rinuncia all’analisi e subisce la pressione politica di chi vorrebbe risolvere il problema con indulti mascherati che farebbero uscire, come detto, anche personaggi pericolosi. La sicurezza è compromessa dal disagio della popolazione detenuta, che non dipende solo dal sovraffollamento, ma da una mancanza di equilibrio tra assistenza individuale, trattamento e sicurezza che può avvenire solo nel rispetto della legge".