“Terzo livello”, le motivazioni della sentenza d’appello: «Ci fu un accordo tra la Barrile e De Almagro»
di Letizia Barbera - «È indubbio che la Barrile e il De Almagro hanno concluso un accordo sinallagmatico, avente a oggetto, da un lato, gli esiti della procedura Atm, dall’altro e in cambio, il sostegno politico al direttore amministrativo». Così la Corte d’appello nelle motivazioni della sentenza del processo “Terzo livello”, l’indagine della Dia che nel 2018 sfociò in una serie di arresti. Alla fine del processo di secondo grado, su rinvio della Cassazione, il quadro delle accuse ne è uscito fortemente ridimensionato. Il processo bis si è concluso il 29 novembre 2023 solo con due condanne: 3 anni e 8 mesi per l’ex presidente del consiglio comunale Emilia Barrile, e un anno, pena sospesa, per l’ex direttore amministrativo dell’Atm Daniele De Almagro. Assoluzione per il commercialista Marco Ardizzone, difeso dagli avvocati Andrea Tintarelli e Carlo Autru Ryolo e per Giovanni Luciano, presidente di una delle cooperative che gravitavano nell’entourage della Barrile, difeso dall’avvocato Ludovico Antonio Paratore. La sentenza è della Corte d’appello presieduta da Carmelo Blatti e composta dai giudici Bruno Sagone e Silvana Cannizzaro. La Corte ha confermato le statuizioni civili in favore di Atm e Comune, parti civili rappresentate dall’avvocato Giovanni Mannuccia. L’unica vicenda rimasta in piedi nel processo bis, dopo il rinvio della Cassazione, che ha portato alle due condanne è stata quella legata alla vicenda Atm con la particolarità che la Corte d’appello - nel giudicare sulle ipotesi di traffico di influenze e turbativa d’asta - aveva “riesumato” il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, che in precedenza era stato escluso da altri giudizi e qualificato come traffico di influenze. Una sentenza che aveva portato gli avvocati Salvatore Silvestro e Alessandro Billè, che assistono l’ex presidente del consiglio comunale Barrile e l’ex direttore amministrativo dell’Atm De Almagro, a commentare con una nota: «Una decisione con la quale la Corte non ha soltanto smentito se stessa, ma ciò ha fatto arrivando a violare l’intangibilità del giudicato».
La Corte d’appello nelle motivazioni spiega il ragionamento seguito. «Per cogliere il nodo della vicenda - scrivono i giudici nelle motivazioni che sono state recentemente depositate -, e valutare il carattere indebito o meno della promessa o dazione, deve invertirsi l’ordine di valutazione e, anziché muovere dall'esito della procedura e dalla legittimità dell'assunzione, bisogna prendere le mosse dall'origine della vicenda, dal susseguirsi dei contatti tra gli interessati, dagli incontri destinati a svolgersi fuori dalle sedi istituzionali, dalle cautele assunte nel discutere dell'argomento per via telefonica, della necessità di comunicare “lì a Palermo” i nomi dei candidati interessati. Non si comprende che necessità vi sarebbe stata di comunicare nel corso della procedura il nome di uno dei candidati, se non quella di assicurare che costui venisse assunto. Ma è già tale interferenza a rivelarsi non dovuta e, quindi, a denotare un inquinamento della procedura. Se tutte queste circostanze vengono lette congiuntamente, può giungersi alla conclusione che l’assunzione è stata sì legittima, ma proprio perché vi è stato un adattamento della procedura alle esigenze dei protagonisti della vicenda».
Secondo la Corte d’appello «l’accordo era finalizzato a garantire il buon esito di una procedura selettiva ed è per tale ragione che deve ritenersi integrato il requisito della promessa indebita. La regolare e genuina assunzione in esito a selezione comparativa non richiede certo l’interessamento di pubblici ufficiali terzi alla procedura, né la segnalazione del nome dell’interessato, sicché l’intesa diretta a tali scopi sarebbe di per sé sufficiente ai fini della configurazione del reato, senza che rilevi come in concreto l'interferenza si sia spiegata, poiché è la promessa dell'intervento stesso che determina la configurazione del reato. In definitiva, la promessa avente ad oggetto un’utilità indebita si è realizzata ed è riconducibile alle allusioni fatte dalla Barrile in forza del suo ruolo istituzionale».
Per quanto riguarda Ardizzone invece per i giudici «deve essere assolto» in quanto «non ha alimentato o anche suggerito illecite iniziative». Fonte: Gazzetta del sud