Bancarotta di Merope: assolto il notaio Paderni
Si conclude con una assoluzione su tutti i fronti il processo per la bancarotta Merope S.r.l.. La sezione penale del tribunale presieduta dal giudice Francesco Torre, e composta dai collegi Maccarrone e Aliberto, ha infatti scagionato il notaio Stefano Paderni, e la madre, Annamaria Bettaglio, dall’accusa di essere i responsabili della bancarotta con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Questo a fronte di una richiesta di condanna da parte della pm Annamaria Arena, che aveva sollecitato per entrambi la pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione.
I due, in qualità di amministratore unico ed amministratore di fatto della società, erano accusati originariamente di avere provocato, utilizzando la compagine come “schermo”, il fallimento attraverso una serie di operazioni dolose. In particolare, le operazioni finite sotto la lente della Guardia di Finanza erano le cessioni di un contratto di leasing immobiliare e di alcune quote di partecipazione a un’altra società, la P&P Investment.
Il notaio Paderni e la madre, poi, erano accusati anche di avere fatto uso personale di beni immobili registrati, in concreto una barca e alcune auto.
La tesi accusatoria, era stata già in gran parte ribaltata dalla sentenza emessa lo scorso anno dal Tribunale delle imprese di Palermo, che era stato chiamato in causa dalla curatela fallimentare, costituita parte civile con l’assistenza dell’avvocato Alfonso Polto. I giudici palermitani in sostanza avevano concluso che la Bettaglio aveva gestito correttamente la fase liquidatoria della società.
Durante il processo, oltre alla pronuncia del Tribunale delle imprese, sono risultate decisive le acquisizioni documentali e le consulenze della difesa, in questo caso rappresentata dall’avvocato Alessandro Billè, con le quali si è dimostrato che le operazioni contestate, lungi dal risultare dannose per le casse sociali, erano servite ad alleggerirne la posizione debitoria. È stato poi dimostrato dal difensore che la principale causa del fallimento societario scaturì dall’avaria all’imbarcazione condotta in leasing dalla Merope S.r.l., che garantiva entrate sufficienti alla gestione degli esercizi sociali attraverso la locazione a terzi; un’avaria causata da un cliente durante l’estate del 2012 e che ha di fatto determinato l’impossibilità del successivo uso, con la conseguente perdita di flussi finanziari sufficienti a garantire la gestione societaria.
In sostanza l’avvocato Billè ha spiegato ai giudici che in origine i due fratelli Paderni, proprio per sollevare la madre da responsabilità gestionali, sorte per “cause di forza maggiore” (la più importante fu l’avaria all’imbarcazione di lusso dalla quale la società acquisiva ricavi), si fecero carico del leasing per l’uso dell’immobile che ospitava la sede legale della Merope. Questa operazione da sola sollevò la società di oltre 700mila euro di debiti. E inoltre nessuno dei beni di proprietà della Merope fu acquistato nel periodo oggetto di accertamento, trattandosi di beni già acquisiti da anni al patrimonio della società. Secondo il difensore, in sostanza, l’ipotesi di reato era totalmente destituita di fondamento, perché i Paderni anziché aggravare il dissesto sollevarono la società da debiti rilevanti.