12 Febbraio 2024 Politica e Sindacato
"E' incredibile come Musumeci, invece di spiegare i reali motivi della mia rimozione, mi citi in un contesto per me estraneo considerato che non ho mai conosciuto, incontrato, neanche per caso, né mai sentito il tono della voce di Antonello Montante, persona, ripeto, che non ho mai conosciuto e del quale ho commentato favorevolmente, con un apposito comunicato stampa del 10 maggio 2019, la sentenza di condanna". Così Giuseppe Antoci, ex Presidente del Parco dei Nebrodi scampato nel 2016 ad un agguato mafioso, sulle dichiarazioni di Musumeci relative alla vicenda Montante.
«Dov’era Musumeci – continua Antoci – quando, ancora dopo l’attentato, in questi ultimi mesi la mafia dal 41 bis mi continuava a condannare a morte? Dov’era Musumeci quando venivo urgentemente spostato dall’Hotel di Bologna per il ritrovamento di bossoli davanti alla porta? Tutta la politica italiana e tutti i partiti mi sono stati vicino. Anche i suoi colleghi di partito da La Russa in poi, mi hanno manifestato grande vicinanza e solidarietà. Ma sempre gli altri esponenti politici, di lui neanche traccia, casualmente; di lui si ricorda solo la mia rimozione che è stata commentata nei modi che conosciamo».
«Io non ho mai fatto parte di nessun cerchio magico – ribatte Antoci – vivo una vita complicata con l’odio addosso delle famiglie mafiose alle quali abbiamo tolto, con i fatti e non con le chiacchiere, milioni di euro. L’ho fatto dieci anni fa da Presidente di un Ente regionale trovato al collasso. Ciò mi è stato riconosciuto in Italia e all’estero. Evidentemente, così come da Presidente della Regione Siciliana anche da Ministro, Musumeci continua a rimanere, nella migliore delle ipotesi, disattento».
«Se Musumeci – conclude Antoci – pensa di iniziare la sua campagna elettorale attaccando me, preoccupato della vicinanza dei cittadini siciliani alla mia azione e alla mia storia personale, sappia che io non indietreggerò di un passo soprattutto per tutelare la mia dignità. A tal riguardo ho già dato mandato ai miei avvocati per porre in essere eventuali azioni legali. Non si può giocare con la vita delle persone perbene».
«Intervenga la Meloni»
Intanto, sulla questione interviene anche il deputato regionale Ismaele La Vardera (Sud chiama Nord), vicepresidente vicario della commissione Antimafia all’Ars .«Ho letto con stupore le parole del ministro Musumeci che davanti ai Pm di Caltanissetta ha detto che “nel cerchio magico di Montante c’era anche Antoci e io l’ho rimosso dal Parco dei Nebrodi”. La storia di Antoci è nota a tutti, tranne che a Musumeci a quanto pare che con questa uscita cerca di “mascariare” la storia di un uomo che, fino a qualche giorno fa, grazie al suo protocollo di legalità, ha permesso arresti sulla mafia dei Nebrodi».
«Peppe Antoci, vorrei ricordare al ministro, ancora oggi vive una vita blindata e che da anni lotta e si batte per la legalità. Non può essere strumentalizzato e vilipeso da un ministro della Repubblica. La Meloni non può stare in silenzio su questa vicenda: che intervenga e lo rimuova immediatamente dal suo incarico», conclude La Vardera.
LE ACCUSE DI MUSUMECI.
«Del “cerchio magico” faceva parte anche il dottore Antoci, che assieme a Montante era uno degli apostoli dell’antimafia in Sicilia. Io sono intervenuto per rimuovere Antoci dalla carica di presidente dell’Ente Parco dei Nebrodi». Parole di Nello Musumeci, oggi ministro, ma in passato presidente della Regione Siciliana e prima ancora della commissione Antimafia dell’Ars. Parole pronunciate al Palazzo di giustizia di Caltanissetta, deponendo come teste durante l’udienza di questa mattina del processo sul Sistema Montante. L’ex presidente di Sicindustria è già stato condannato a 8 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Caltanissetta perché accusato di essere stato a capo di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e allo «spionaggio».
I NOMI.
«Il condizionamento del “cerchio magico” - ha specificato Musumeci - era evidente. Il cerchio magico è una sorta di loggia dove ognuno ha un ruolo e tutti si lavora per mantenere saldo il controllo del potere politico ed economico». E poi giù con i nomi: «Nel governo di Rosario Crocetta il potere politico era curato da Lumia e Crocetta era una sorta di esecutore. E il potere economico era curato da Montante. Di questo cerchio magico faceva parte anche la dottoressa Monterosso, segretario generale della Regione. Per un certo periodo anche il presidente o commissario di Riscossione Sicilia, l’agenzia che aveva il compito di riscuotere le tasse, cioè l’avvocato Antonio Fiumefreddo». Musumeci ha aggiunto che «il cerchio magico era una struttura particolarmente elastica».
I RIFIUTI.
Secondo il ministro, «l’assessorato regionale ai Rifiuti inevitabilmente godeva dell’influenza di Antonello Montante perché tra gli uomini di Montante c’era Catanzaro, che gestiva una delle discariche più importanti in Sicilia. Io da presidente della commissione Antimafia l’ho sentito e interrogato più volte. Era un’influenza strutturale non politica».
LA CANDIDATURA DI CROCETTA.
«Antonello Montante - ha detto poi Musumeci - fu uno degli artefici della mia sconfitta alle elezioni del 2012 per la presidenza della Regione. Nel senso che ha individuato e sostenuto la candidatura di Rosario Crocetta alla presidenza sostanzialmente in alternativa alla mia». Rispondendo alle domande del pm Davide Spina, l’ex presidente della Regione ha aggiunto che «il dottore Montante, nel primo incontro che abbiamo avuto, mi disse che per combattere la mia candidatura e farla divenire soccombente, si riteneva di puntare su Crocetta come candidato perché gay dichiarato, perché il suo impegno antimafia appariva sincero, schietto, determinato e parlava di rivoluzione in una società nella quale il politico tradizionale aveva difficoltà ad attecchire».
In un'occasione Musumeci si schierò a favore di Crocetta e Montante lo ringraziò. «Antonello Montante si complimentò con me - ha detto Musumeci da testimone - perché avevo deciso di difendere Crocetta nel suo ruolo istituzionale a proposito di un intervento del presidente del Consiglio di allora Matteo Renzi, che ritenni fuori le righe. Esaltava questo mio spirito istituzionale - ha continuato il ministro - che a lui appariva assolutamente inedito. Lui ci teneva a ringraziarmi e a dirmi che non aveva alcun pregiudizio nei miei confronti. Io apprezzai visto che arrivava da quello che io ritenevo un avversario. Mi disse che voleva incontrarmi per un caffè e spiegarmi tante cose di cui non ero a conoscenza».
L'INCONTRO.
Musumeci, rispondendo alle domande del pm Davide Spina, ha anche raccontato il suo primo incontro con l’ex leader di Confindustria condannato a 8 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, e accesso abusivo al sistema informatico. «A quel punto ci incontrammo - racconta Musumeci - e mi chiese dei miei figli. Gli raccontai di mio figlio morto giovanissimo per un infarto e dell’altro mio figlio che faceva l’attore ed era all’avvio della sua carriera artistica. Lui mi disse che se volevo, poteva parlare con il direttore artistico del Teatro Stabile di Catania. A chiusura del primo incontro mi disse cosa volevo che lui facesse per me. Io dissi nulla e che semmai poteva organizzare un incontro con i vertici della sua associazione. Avevo interesse a far saltare questo patto tra il mondo imprenditoriale da una parte e la sinistra dall’altra. Incontrare ed entrare in un dialogo con il mondo imprenditoriale per me significava aprire una pagina nuova. Mostrò disponibilità e mi fissò un altro incontro in agosto 2015 e incontrai il rappresentante dell’organizzazione. Fu un incontro più da presentazione che da confronto con l’impegno che ci saremo rivisti. Impegno che non si è poi concretizzato».
Musumeci ha poi detto che «Montante faceva sempre notare nei suoi discorsi che disponeva di tante amicizie e che se avessi avuto bisogno, poteva intervenire lui. Mi disse che il direttore di Panorama Giorgio Mulè era suo cugino e che se avevo bisogno di una sua intervista poteva intervenire lui. Io dissi che semplicemente avrei voluto che la stampa non avesse pregiudizi nei miei confronti. Dopo qualche tempo - ha ricordato l’ex presidente - ricevetti in effetti la chiamata di Mulè, ma non rilasciai alcuna intervista».