”La Loggia Ungheria non esiste. Amara cercava vantaggi personali”. Sventato un complotto contro il magistrato Ardita
Di Giorgio Bongiovanni - E' notizia dei giorni scorsi l'archiviazione, da parte del Gip di Perugia Angela Avila, dell'inchiesta sulla cosiddetta loggia Ungheria. Il fascicolo, nel quale si ipotizzava la violazione della legge Anselmi a carico di nove indagati, era stato aperto partendo dalle dichiarazioni rese ai magistrati di Milano dall’ex avvocato di Eni, Piero Amara. A suo dire avrebbero fatto parte della loggia, che sarebbe stata una “nuova P2”, circa 90 persone tra politici, ex ministri, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine, imprenditori e liberi professionisti.
Secondo il Gip non esiste prova dell'esistenza dell'associazione segreta anche perché lo stesso Amara è risultato essere assolutamente inattendibile sul punto.
Soprattutto nei più recenti interrogatori, infatti, così come rilevavano gli stesi pm perugini nella richiesta di archiviazione, aveva modificato le proprie affermazioni sminuendo le finalità della stessa associazione.
E se in un primo momento l'aveva descritta come una “loggia con obiettivi simili alla P2” alla fine aveva asserito che la stessa lo aveva deluso, tanto che con un gruppo di persone si era deciso a creare un altro “centro di potere”, dove scambiarsi interessi.
Il gip afferma che a tutti gli effetti “manca la struttura organizzativa dell’associazione segreta” e non vi è “un gruppo specifico di persone tra di loro associate, segretamente, diretta ad interferire sull’esercizio di istituzioni pubbliche”.
Dunque quelle “iniziative” descritte da Amara ai magistrati “non sono attribuibili a un gruppo organizzato” ma restano comunque gravi nel momento in cui si parla di “condotte di mera pressione o di influenza poste in essere di volta in volta dai singoli soggetti per conseguire finalità esclusivamente personali, occasionalmente perseguite, che consistono in una serie di iniziative individuali dirette a influenzare l’esercizio delle funzioni pubbliche avvalendosi di una significativa rete di relazioni e rapporti di altissimo livello”.
E in quel contesto di scambi di favori si operava “un’attività di pressione o influenza finalizzata a dirigere le scelte delle istituzioni, in particolare quelle del Csm”.
Proprio alla luce di queste attività il giudice ha comunque ritrasmesso il fascicolo all'ufficio del pubblico ministero ravvisando anche “spunti di indagine utilmente perseguibili” e circostanze che “meritano di per sé un’autonoma valutazione da parte dell’autorità giudiziaria”.
Nel provvedimento viene fatto riferimento anche alla fuga di notizie sul contenuto dei verbali di Amara resi ai pm di Milano.
Una vicenda particolarmente complessa che a nostro parere, potrebbe essere parte di un complotto posto in essere sicuramente per minare la credibilità dei più alti vertici istituzionali, nel momento in cui a presiedere il Csm è proprio il Capo dello Stato.
Nello specifico, però, si è trattata di un'azione mirata contro dei precisi magistrati: l'ex consigliere togato, oggi procuratore aggiunto a Catania, Sebastiano Ardita, e, seppur indirettamente, Antonino Di Matteo (oggi Procuratore nazionale antimafia).
Entrambi, nell'ultima consiliatura del Csm, si erano resi protagonisti del tentativo di dare un nuovo input alle attività consiliari, incrementandone l'efficienza e la trasparenza, difendendo anche quell'autonomia ed indipendenza della magistratura che va oltre le logiche correntizie e a difesa dei più alti valori contenuti nella Carta Costituzionale.
Quell'azione sporca potrebbe essere stata posta per condizionare il loro operato all'interno del Csm, ma anche il loro impegno attuale nel momento in cui, entrambi, sono legati in un lavoro di contrasto alle mafie e a quei poteri esterni che ad esse sono collegate.
Ma andiamo con ordine.
La storia della fuga di notizie ha visto più soggetti coinvolti.
“Plichi anonimi” con le dichiarazioni di Amara ai pm di Milano furono inviati ai giornalisti Liana Milella e Antonio Massari, ed anche al magistrato Nino Di Matteo. Ad oggi non è stato ancora possibile accertare chi inviò quei documenti.
Certo è che fu proprio Di Matteo, dimostrando la propria etica e professionalità, a denunciare al Plenum di aver ricevuto quel "plico anonimo", in cui menzionava con certezza in maniera diffamatoria se non calunniosa, circostanze relative almeno ad un consigliere del Csm.
Al contempo, era il 28 aprile 2021, Di Matteo comunicava anche di aver informato precedentemente l'autorità giudiziaria di Perugia “specificando il timore che tali dichiarazioni e il connesso dossieraggio anonimo potessero collegarsi a un tentativo di condizionamento dell'attività del consiglio”.
Per capire come potessero esser stati diffusi quei verbali sono state aperte più inchieste e ci sono stati anche dei processi come quello nei confronti dell'ex segretaria di Piercamillo Davigo, Marcella Contrafatto (prosciolta), o quelli per rivelazione d’ufficio a carico dei magistrati Paolo Storari (assolto sia in primo che in secondo grado) e lo stesso Davigo.
Quest'ultimo è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Brescia ad un anno e tre mesi (pena sospesa) e allo stato si è in attesa del processo d'Appello.
Certamente si dovranno attendere i tre gradi di giudizio per capire se vi siano state responsabilità penali nelle informazioni che comunque Davigo diede sull'esistenza di quei verbali.
Tuttavia nel processo di Brescia, al di là delle questioni penali, sono emersi da parte dell'ex pm di Mani Pulite, una serie di gravi e clamorosi comportamenti sul piano etico e morale, proprio contro Ardita e, in seconda battuta, anche contro Di Matteo.
Basta andare a rileggere le testimonianze dei due ex consiglieri togati, ma anche di altri, per comprendere la gravità della situazione.
Di Matteo spiegò ai giudici che nelle dichiarazioni di Amara sulla “Loggia Ungheria” vi era “un tentativo di condizionare l’attività del Consiglio, di delegittimazione del dottor Ardita ma anche un tentativo di condizionamento della sua attività e, indirettamente, anche della mia”.
Nella sua testimonianza il magistrato palermitano aveva anche raccontato le evoluzioni dei rapporti tra Davigo e Ardita, che erano fondatori della corrente di Autonomia&Indipendenza, deterioratisi nel tempo descrivendo uno degli episodi chiave che portò alla rottura tra i due: la discussa nomina per la Procura di Roma.
E' verosimile che l'ex magistrato Piercamillo Davigo, anche inconsapevolmente, possa essere stato utilizzato da determinati centri di potere dalla mente raffinata, per colpire Ardita?
A nostro avviso lo è. Del resto, come ha ricordato l'avvocato di Ardita Fabio Repici nella propria arringa, è stata messa in atto una vera e propria azione per “abbattere” il magistrato, eliminandolo civilmente e professionalmente e di pari passo destabilizzare gli organi della magistratura.
Un'opera già avviata dai “corvi” di turno, come Amara.
Vincenzo Armanna, ex manager ENI anch'egli indagato dai pm perugini e archiviato dal Gip, lo definisce come “una persona molto complicata" ma anche “più furbo del diavolo”. Eppure, a suo modo di vedere, “non è uno che c’ha una strategia, c’è qualcuno che in questo momento lo sta utilizzando per fare qualcosa”. Alla domanda su che cosa, però, dice di non averne idea.
A nostro parere gli Amara di turno si sono messi all'opera per conto di quei grandi sistemi di potere che vedono unite le mafie, le massonerie deviate, servizi segreti deviati ed altri settori devianti dello Stato.
Non solo soggetti astratti, ma figure con nome e cognome. Perché siamo certi che dietro a questa sporca faccenda c'è qualche "puparo" che ha mosso le fila ed è parte di quei sistema di potere.
Sono queste le “menti raffinatissime” che hanno tutto l'interesse di delegittimare e screditare, anche attraverso la stampa di regime, l’operato di quei magistrati, funzionari di Stato, politici, uomini e donne con la schiena dritta che da anni combattono contro questo Sistema criminale.
E se non dovesse bastare la storia insegna come le stesse siano anche in grado di decretare la morte utilizzando le organizzazioni criminali come le mafie.
Intanto sulle dichiarazioni di Amara potrebbe presto aprirsi un altro capitolo.
Con l'accusa di aver calunniato 65 persone, tra cui esponenti del mondo della politica, della magistratura, delle forze dell'ordine e dell'imprenditoria, sostenendo fossero affiliati all'inesistente loggia segreta, la Procura di Milano ha chiesto il processo per l'ex avvocato esterno di Eni e per il suo collaboratore Giuseppe Calafiore. La richiesta di rinvio a giudizio firmata dal Pm Stefano Civardi e dal procuratore Marcello Viola è finita sul tavolo del gup Guido Salvini che ha fissato l'udienza preliminare proprio per domani, 21 settembre.
La speranza è che possa essere fatta definitivamente luce su questo ignobile complotto.