Confermata la confisca per Antonino Calderone
Ricorso rigettato in appello. Quindi confisca di beni e sorveglianza speciale confermata per l’ex macellaio 47enne Antonino Calderone, meglio conosciuto come “Nino Caiella”, fra i più professionali killer della famiglia mafiosa barcellonese, già condannato per mafia con diverse sentenze divenute definitive, al quale viene contestata tra l’altro la partecipazione ad almeno 11 tra i più atroci omicidi di mafia avvenuti a Barcellona.
La decisione è del collegio di secondo grado di Messina presieduto dal giudice Francesco Tripodi, che ha rigetto l’appello proposto dai legali di Calderone, gli avvocati Tommaso Calderone e Giuseppe Lo Presti ed ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale Felice Lima. A richiedere la sorveglianza speciale e la confisca di beni sono stati a suo tempo i magistrati della Distrettuale antimafia di Messina, coordinati dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio.
Scrivono tra l’altro i giudici d’appello: «... avuto riguardo alla misura di prevenzione della confisca, va rilevato che è emersa una notevole sproporzione tra il reddito dichiarato dal Calderone e il valore dei beni di sua proprietà o a lui riconducibili, di cui egli non ha provato, come era suo onere, la legittima provenienza»; ed ancora: «... anche gli altri acquisti effettuati dal Calderone sono assolutamente sproporzionati rispetto ai redditi percepiti e quindi riconducibili anch’essi con ogni evidenza ai proventi derivanti dalle attività illecite da lui poste in essere dal capofamiglia».
Nino Calderone “Caiella” è stato assieme all'ex netturbino Salvatore Micale, che da poco tempo si è pentito, uno dei più fidati “colonnelli” dell'ex boss, successivamente divenuto collaboratore di giustizia, Carmelo D’Amico. I tre hanno orchestrato alcuni tra i più atroci delitti di mafia, dall’uccisione di Antonino Sboto, al quale furono mozzate le mani perché aveva commesso un furto in una abitazione di un congiunto di D’Amico, al massacro dei tre milazzesi in trasferta a Barcellona, accusati di commettere furti non autorizzati; al rapimento e all’uccisione nel greto del torrente Mela di La Rocca e Nicosia, due giovani considerati “cani sciolti”; fino alle numerose spedizioni mortali per eseguire sentenze di morte decretate dalla cupola mafiosa di Barcellona.