Chi è Saro Cattafi, il mafioso che sussurrava allo Stato
Di Fabrizio Gatti - La condanna per Rosario Cattafi, 71 anni, Saro per amici e compari, è arrivata con trent'anni di ritardo: 1993-2023, pezzi di segreti d'Italia dribblati tra sviste, assoluzioni, proscioglimenti, archiviazioni. Ma la Corte di cassazione, confermando la sentenza a sei anni della Corte d'appello di Reggio Calabria, gli ha finalmente riconosciuto un ruolo nell'onorata società: l'avvocato Cattafi, fino al mese di marzo 2000, secondo i giudici è stato un mafioso della potente famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto, il paese in provincia di Messina che, dopo la caduta di Corleone con gli arresti di Totò Riina e Bernardo Provenzano, può essere oggi considerato il capoluogo occulto della mafia. Ex militante di estrema destra, fedele testimone di nozze del boss Giuseppe Gullotti, ambasciatore di Cosa nostra nelle logge e negli apparati di Stato deviati. L'unico titolo che gli viene attribuito ingiustamente dai complici è quello di avvocato: l'Ordine professionale infatti non ha mai accettato la sua iscrizione.
Cominciamo dalle ultime pagine della sentenza, resa definitiva dalla prima sezione della Cassazione: la morte a 34 anni di Attilio Manca, l'urologo originario di Barcellona che a sua insaputa ha curato il boss della mafia, Bernardo Provenzano. La versione ufficiale parla di overdose di eroina, per uno come il dottor Manca che non si era mai drogato in vita sua. La famiglia di omicidio, avvenuto l'11 febbraio 2004 nel suo appartamento a Viterbo dove lavorava. Così scrivono i giudici di Reggio Calabria nella sentenza appena confermata: riferisce il collaboratore Carmelo D'Amico, un ex killer della stessa famiglia mafiosa, che “intorno al 2004 Salvatore Rugolo – che al pari di Cambria e Cattafi intrattenevano, per conto della cosca, i rapporti con le istituzioni deviate – gli ha riferito di ritenere moralmente responsabile l'odierno imputato della morte del suddetto Manca, posto che era stato proprio Cattafi, su incarico di un generale dei carabinieri, a condurre il medico Manca presso il luogo in cui era rifugiato Bernardo Provenzano, bisognoso di cure urgenti”.
Il rifugio di Provenzano
“Proprio per evitare che si potesse disvelare il rifugio di Provenzano – aggiungono i giudici della Corte d'appello di Reggio Calabria nella sentenza diventata definitiva – Manca è stato ucciso dai servizi segreti deviati. Da qui il risentimento morale di Rugolo nei riguardi dell'odierno inquisito”. Va detto che il processo non ha evidenziato alcun coinvolgimento di Rosario Cattafi nella morte dell'urologo in servizio all'ospedale di Viterbo. La circostanza viene citata per evidenziare, secondo i magistrati, una delle prove che dimostrano la sua appartenenza alla mafia: “È il caso di osservare che Rugolo stigmatizza il comportamento di Cattafi proprio in quanto al tempo affiliato alla medesima cosca”.
Il collaboratore D'Amico è ritenuto attendibile, anche perché nelle sue deposizioni si è attribuito numerosi omicidi che non gli erano mai stati contestati. “Nella vicenda – continuano i giudici – sono intervenuti personaggi di spessore delle istituzioni deviate (un generale dei carabinieri), che hanno richiesto a Cattafi di rintracciare il medico, poi individuato in Manca, che avrebbe dovuto curare, con urgenza, Provenzano in Francia, cosa che ha sancito la morte del medesimo medico per opera dei servizi segreti, secondo la duplice (e distinta) fonte da cui D'Amico ha appreso in contesti diversi l'accaduto”.
C'è poi il capitolo delle logge deviate e dei rapporti con la politica e le istituzioni: “Da questo punto di vista – spiegano i magistrati – D'Amico è netto e preciso nel distinguere le funzioni e i ruoli rispettivamente assunti da lui stesso e da Cattafi. Egli ha sempre fatto [parte] dell'ala militare esecutiva del gruppo, laddove Cattafi ha sempre svolto... ruoli assai più segreti e riservati come una specie di delega ad avere rapporti con la società, con i professionisti, con i colletti bianchi. D'altra parte, a conferma del ruolo assunto, D'Amico riferisce che Cattafi era a capo di una potente loggia massonica che, comprendente uomini politici e personaggi delle istituzioni e dei servizi segreti, dimostra il livello di personaggio in esame”.
Logge segrete e servizi deviati
“Si è comprovato che, per stare solo ai fatti, Cattafi – elenca la sentenza – ha partecipato a una riunione associativa nel 1993, ha partecipato a un altro convegno di mafia, dopo la sua scarcerazione nel 1997, è stato presentato da Barresi Eugenio come sodale del gruppo nel 2000, tale continua a essere considerato ancora verso il 2000 durante i convegni elettorali, ancora nel 2002 è certamente ritenuto un affiliato al medesimo gruppo e nel 2004 Rugolo continua a ritenerlo certamente associato considerandolo responsabile, in via morale, della morte del dottor Manca”.
I giudici di Reggio Calabria avevano stabilito nove anni di reclusione, ridotti a sei per il rito abbreviato. Il mafioso che sussurrava alle logge e allo Stato dovrà inoltre risarcire l'Associazione nazionale familiari vittime di mafia e il Comune messinese di Mazzarà Sant'Andrea. Nel calcolo iniziale sono compresi anche un anno e sei mesi per calunnia nei confronti dell'avvocato Fabio Repici, legale di parte civile. Cattafi l'aveva accusato di aver suggerito a un collaboratore le dichiarazioni da rendere in aula. Una falsità smontata dalla corte. L'imputato, difeso dagli avvocati Salvatore Silvestro e Giovambattista Freni, è già detenuto nel carcere di Opera. Tolto il periodo di custodia cautelare, deve ancora scontare due anni, sette mesi e diciotto giorni.
L’auspicio è che il passaggio in giudicato della condanna per associazione mafiosa a carico di Rosario Cattafi – dichiara l'avvocato Fabio Repici – infranga anche le resistenze di un certo negazionismo giudiziario e che da questa sentenza possano derivare conseguenze utili per la verità e la giustizia per tante altre vicende barcellonesi e non: a partire dall’omicidio del giornalista Beppe Alfano, ucciso a Barcellona Pozzo di Gotto l'8 gennaio 1993, e dall’omicidio di Attilio Manca”. La conferma della condanna arriva alla vigilia dell'anniversario della strage di Capaci: il 23 maggio 1992 morirono i magistrati Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, con gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Quei cinquecento chili di esplosivo, nascosti sotto l'autostrada Trapani-Palermo, segnarono l'inizio della fine di Cosa nostra. Fonte: today.it