19esimo anniversario: Giustizia per Attilio Manca, una questione di tempo
Di Lorenzo Baldo - Non ha più lacrime da versare, Gino. Diciannove anni rappresentano un tempo infinito quando si perde un figlio. L’assenza e il vuoto che provoca una simile perdita appaiono come una sentenza di carcere a vita. Ma questo tempo sospeso è anche un battito di ciglia quando ci si ricorda – seppur in maniera più evanescente – il sorriso di quel figlio tanto amato; quando pare di udire il lieve eco delle sue risate. Così come quando si ripensa alla profondità del suo sguardo. Quello stesso sguardo che Gino continua a sentire su di sé. Specie ora che il suo fisico è sempre più segnato da anni di malattie che lo consumano senza tregua. Accanto a lui Angelina lo assiste amorevolmente, ma anche stremata, cercando di alleviare un dolore che lei stessa vive nella sua anima.
Quando Luca, il fratello di Attilio, torna a casa da quella città del nord che a volte sembra così lontana, è come se quel che resta della loro famiglia riprendesse forma. “Nella vita a volte è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza”, riporta Luca sulla sua pagina facebook. La frase è estrapolata da una lettera scritta nel 1933 da Sandro Pertini, detenuto politico sotto il regine fascista. L’indimenticabile presidente della Repubblica scriveva a sua madre che “ormai ogni speranza è caduta dal mio animo, ove, sola, la mia fede arde più vigorosa di ieri e più pura, ché in questi anni la dura realtà e la dolorosa esperienza l’hanno liberata d’ogni povera illusione e d’ogni meschina ambizione”. Per poi aggiungere: “Andrò avanti per il cammino, da me liberamente scelto, senza compiere debolezza alcuna e senza il miraggio di un domani per me radioso”. E infine confermare la sua determinazione: “e così oggi lotto io, mamma. Lasciatemi qui in carcere con la mia fede, che pura d’ogni macchia voglio serbare nel mio cuore”.
Lottare: anche senza speranza, ma con una fede incrollabile. Messa però a dura prova. Soprattutto quando stringi la mano a tuo padre e vorresti che non se ne andasse prima di avere giustizia.
“Il dolore per la morte del figlio – scriveva Gino diversi anni fa – qualsiasi sia il motivo della dipartita, è indescrivibile. E il tempo, invece di lenire, ne acuisce il dolore. Nessuno scultore fino ad oggi, credo, abbia immortalato nel marmo il dolore che prova il padre per la morte del figlio. Quello provato dalla madre è stato realizzato da Michelangelo Buonarroticon la sua ‘Pietà’. Quel blocco marmoreo trasmette a chi l’osserva commozione fino alle lacrime. Il dolore e la sofferenza del padre per la morte del figlio, penso, che sia stato magistralmente descritto da Omero quando Priamo si reca nella tenda di Achille per riscattare il corpo del figlio Ettore crudelmente ucciso e poi straziato dal Pelide Achille”. Le parole di questo anziano genitore scuotono ancora le fondamenta di uno Stato che fino ad oggi ha negato verità e giustizia alla famiglia di Attilio Manca.
A distanza di alcuni anni dallo scritto di Gino arriva oggi l’immagine di un uomo, Mesut Hancer, seduto in silenzio sotto un edificio crollato a Kahramanmaras, epicentro turco del terremoto che ha ucciso più di 20.000 persone tra Turchia e Siria. E’ Adem Altan, fotografo dell'Afp, a immortalare il dolore dignitoso, a tratti surreale, di questo padre letteralmente svuotato, mentre tiene la mano di Irmak, la figlia quindicenne, morta sotto le macerie. Nessun paragone con la “Pietà” di Michelangelo, se non quel dolore sordo che spegne immediatamente tutto ciò che circonda chi stringe tra le mani per l’ultima volta il bene più prezioso che ha avuto nella vita.
“Questa volta il vento – scriveva Gino nel suo memoriale – in un sussurro tenero e profondo mi consolò: ‘Non pensare a cose a cui non puoi dare una spiegazione. La vita, la vostra, a seconda dal punto di vista che si osservi, è lunga o veloce come me’. La vita di Attilio, purtroppo, è stata breve, ma intensa, tanto quanto quella di un uomo che nell’arco della sua vita non riesce a realizzare ciò che desidera”. Una vita decisamente intensa, quella di Attilio: un luminare della medicina, un uomo giusto, un uomo buono, ucciso perché testimone di una verità indicibile.
“La mia vita ormai volge alla fine – scriveva ancora Gino – e il legno dell’inesorabile falce non dista da me più di mezzo metro. Non ho paura della morte anzi, cosa strana, l’animo mio è tranquillo e sereno. Non so se raggiungerò nell’aldilà mio figlio Attilio, il dubbio è sempre molto profondo, ma sicuramente avrò la tregua del dolore per la scomparsa del figlio”. Poi, però, Gino concludeva lasciando spazio a quella folata di aria calda che da sempre accompagna la sua vita.
“Il vento di scirocco soffia e a stento riesco a comprendere ciò che mi sussurra: Il tempo passa… e la tua vita volge già alla fine… o all’inizio di un’altra… La tua vita è già arrivata al lumicino, è come un moccolo che di lì a poco si spegne, la squilla annuncia che il sole è già all’orizzonte e s’avvia al tramonto… Non pensare… non pensare ad altro… gli altri che resteranno in vita, come te si destreggeranno e quello che per te sembra un problema non è da loro considerato tale… Il sibilo del vento non si percepisce più ed io rimasi attonito e smarrito”.
Oggi è come se quel vento continuasse a portare con sé la voce flebile di Gino. Che così diventa possente e giunge a tutti quelli che “resteranno in vita”, un ultimo appello a continuare a cercare la verità – che lui ci sia o no – per restituire giustizia a suo figlio e alla sua famiglia.
Uno spiraglio di luce
In questo 19° anniversario della morte di Attilio uno spiraglio di luce si intravede in fondo a un tunnel scavato da mani di Stato e di mafia. E’ uno spiraglio nel quale si legge la parola “omicidio”, scritta nero su bianco dalla Commissione antimafia nell’ultima relazione sul caso Manca. Per la Commissione parlamentare l’omicidio di Attilio Manca “non appare essere stato il classico assassinio mafioso, ma il frutto di una collaborazione tra la cosca mafiosa barcellonese e soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra”. Attilio è finito quindi nelle maglie di una trattativa tra Stato e mafia. Una ignobile trattativa, per altro confermata dalla sentenza di Appello di Palermo dello scorso anno.
Altro che suicidio a base di droga! Attilio è stato ucciso all’interno di un coacervo di mafia e Stato: un punto fermo nella richiesta di riapertura delle indagini sul caso Manca. Che l’avvocato Fabio Repici si appresta a depositare alla Procura di Roma.
Il prossimo 16 febbraio lo stesso Repici, assieme all’on. Stefania Ascari, l’ex deputata Piera Aiello e la consulente della Commissione antimafia, Federica Fabbretti, terranno una conferenza stampa presso la Sala stampa della Camera dei Deputati da titolo emblematico: “Nuovi elementi sulla morte del medico Attilio Manca”.
Nel frattempo la Cassazione si appresta a decidere sul ruolo di cerniera fra Cosa Nostra e lo Stato del potentissimo Rosario Cattafi (chiamato in causa da alcuni pentiti nella ricostruzione dell’omicidio di Attilio), così come sancito nell’ultima sentenza di appello della Corte di Reggio Calabria.
Dal canto suo la madre di Attilio affida alla sua pagina facebook un ricordo carico di speranza. “11 Febbraio 2004, ultima volta che ho ascoltato la tua voce – scrive Angelina –. Sono 19 anni che non posso più abbracciarti, parlare della nostra quotidianità, confrontarci, scambiarci idee e consigli, ma non c'è stato un attimo in tutti questi anni che il mio pensiero non sia stato rivolto a te. Sei stato presente in ogni momento sereno, ma anche doloroso della nostra vita. Oggi è un giorno importante, dopo 19 lunghi anni hai riacquistato la dignità, l'onore, la pulizia morale, che ti hanno sempre contraddistinto e di cui avrebbero voluto privarti. Sono serena, amore mio, la lunga battaglia di tutti questi anni non è stata vana!”.
“Man mano che passano gli anni i ricordi quasi svaniscono in una nebbia – aveva evidenziato Gino alcuni anni fa –, la nebbia che avvolgeva il pastore che Attilio aveva fotografato... quella nebbia avvolge i ricordi, le immagini e la voce. Ti vengono a mancare, e il dolore aumenta, perchè tu vorresti ricordare, ma ricordi solo immagini, non hai più il corpo da vedere o da ricordare... Tutto questo aumenta il dolore e a volte non mi fa dormire”.
Il piccolo chihuahua di casa, Argo, si accovaccia in fondo al letto preoccupato per il suo padrone. Gino riapre un attimo gli occhi e chiama Angelina. Si aggrappa a un’ultima speranza, o forse no. E’ una debole fiammella. Che, se adeguatamente alimentata, può illuminare a giorno le zone d’ombra di questo disgraziato Paese. Fonte: antimafiaduemila.com
Foto © per gentile concessione della famiglia Manca
Info: attiliomanca.it