Csm, Contrafatto prosciolta. Motivazioni del gup: ”Arrecato ad Ardita danno ingiusto”
L'ex dipendente del Csm Marcella Contrafatto, già addetta alla segreteria dell'allora consigliere Piercamillo Davigo, è stata prosciolta dall'accusa di aver calunniato il procuratore di Milano Francesco Greco nell'ambito dell'inchiesta sui verbali (coperti da segreto investigativo) di Piero Amara sulla presunta loggia Ungheria perché sin dall'inizio "gli elementi di prova acquisiti dalla procura di Roma" sono stati "del tutto insufficienti, e comunque contraddittori, a sostenere in giudizio l'assunto accusatorio". Lo scrive il gup Nicolò Marino nelle 42 pagine di motivazioni del proscioglimento, deciso il 15 dicembre scorso, della donna sospettata di essere la responsabile della divulgazione in forma anonima di alcuni verbali di Amara, poi ricevuti dal consigliere del Csm Nino Di Matteo e dai quotidiani ‘la Repubblica’ e ‘Il Fatto Quotidiano’. Così ha precisato il gup: "Non è stato ritenuto necessario sentire le figure istituzionali con cui Davigo aveva interloquito, tanto da indurre la difesa dell'imputata Contrafatto a fare richiesta alla procura di Brescia di rilascio di copia delle dichiarazioni rese presso quell'Ufficio Giudiziario dai consiglieri Giuseppe Marra, Ilaria Pepe, Giuseppe Cascini, Fulvio Gigliotti, Stefano Cavanna, dal vice presidente del Csm David Ermini e dal presidente della Commissione Nazionale Antimafia, senatore Nicola Morra". Il punto di partenza per il gup Marino è che i verbali consegnati da Davigo a Ermini e ad altri consiglieri del Csm fossero coperti da segreto investigativo e che, in quanto segretati, costituissero corpo di reato. "Detti punti fermi dovranno essere presi in considerazione da chi voglia, anzi, debba analizzare il comportamento esigibile da ciascun consigliere dell'organo di autogoverno della magistratura allorché di quei verbali avesse avuto la disponibilità. Il comportamento esigibile, del resto, coincide con quello adottato dal solo consigliere togato Nino Di Matteo una volta ponderati gli improvvisi accadimenti che lo avevano visto protagonista, ovvero la denuncia alla competente autorità giudiziaria, pure suggerita dallo stesso Di Matteo e dal consigliere Ardita al senatore Morra".
"Deve osservarsi - ha scritto il gup - come il vice presidente Ermini abbia sottolineato, a proposito di quanto comunicatogli da Davigo su Ardita la circostanza che questi potesse appartenere alla massoneria e come il massone dovesse essere considerato tale anche se assonnato. Trattasi di affermazioni gravissime (naturalmente quelle di Davigo), unitamente alle esternazioni sul contenuto dei verbali di Amara, comunicate da Davigo anche ad altri consiglieri del Csm, al vice presidente Ermini, a Salvi, con la apparente ferma convinzione che il portato dichiarativo di Amara corrispondesse a verità, addirittura svolgendo accertamenti sulla credibilità del dichiarante tramite il consigliere Cascini, in palese violazione delle norme di legge che regolamentano le attribuzioni meramente amministrative e collegiali di componente del Csm, con la conseguenza di avere arrecato ad Ardita un danno ingiusto, consistito nell'isolamento di questi all'interno del Csm, per di più sconsigliando il senatore Morra dal portare avanti una proposta di collaborazione istituzionale dello stesso Ardita con la Commissione Parlamentare Nazionale Antimafia (secondo il racconto di Morra)". Quanto alla deposizione resa da Giuseppe Cascini il 15 novembre scorso al tribunale di Brescia, il gup Marino spiega che "il racconto offerto dal consigliere nel corso dell'esame e del controesame cui è stato sottoposto ci consegna un'immagine preoccupante ed assai allarmante del Csm, che ancora una volta sembrerebbe avere operato, in questa o in altre vicende, non sulla base di conoscenze, rituali comunicazioni e/o atti formalmente acquisiti dall'organo di autogoverno della Magistratura, bensì nella logica della ‘congiura di Palazzo’”.
Fonte: Agi