L’inchiesta sui conti economici di Palazzo Zanca tra il 2014 e il 2016: archiviazione per la giunta Accorinti
"...Non sarebbe possibile sostenere l'accusa in giudizio". Si chiude con un’archiviazione del gip Pagana, su richiesta del sostituto procuratore Antonio Carchietti, l’inchiesta che vedeva venticinque indagati con al centro la giunta di Renato Accorinti e dirigenti, revisori dei conti e segretario generale/direttore generale del Comune di Messina, cioè tutti coloro che vararono i bilanci e i rendiconti di Palazzo Zanca per tre anni, dal 2014 al 2016. L’ipotesi originaria d’accusa era quella classica del “falso in bilancio”.
A distanza di quasi tre anni dall’apertura dell’inchiesta, e dopo lunghi mesi di accertamenti, il pubblico ministero Antonio Carchietti nell'ottobre del 2020 notificò un ‘maxi’ avviso di conclusione delle indagini preliminari, che era contestualmente un’informazione di garanzia.
A finire sotto la lente della magistratura furono gli strumenti contabili adottati nei primi tre anni dall’amministrazione Accorinti.
La Procura, nel marzo del 2017, aveva incaricato un proprio consulente, il dottor Gaetano Mosella, di acquisire ed analizzare tutta la documentazione necessaria per verificare se anche rispetto ai bilanci successivi al periodo 2009-2011, quelli che portarono inizialmente alla condanna l'ex sindaco Buzzanca (ad un anno e cinque mesi) e diversi assessori e dirigenti dell’epoca, ma poi in appello a una clamorosa assoluzione (è stato sostanzialmente questo il motivo che nei mesi scorsi aveva spinto il magistrato a chiedere l’archiviazione nei confronti dei componenti della giunta Accorinti), vi fossero ipotesi di reato.
Come per il periodo precedente, a insospettire in particolare la Procura furono i criteri adoperati per rispettare il patto di stabilità e l'iscrizione dei debiti fuori bilancio, quindi il default delle partecipate ed il riflesso negativo sulla finanza di Palazzo Zanca, soprattutto attraverso l'iscrizione a bilancio di crediti inesigibili. Il consulente analizzò in particolare le carte contabili relative agli anni 2014, 2015 e 2016.
A tutti veniva contestato il falso ideologico in atto pubblico in concorso.
Questi i nomi degli indagati: l’ex sindaco di Messina Renato Accorinti, gli ex assessori Guido Signorino, Gaetano Cacciola, Eller Vainicher, Nina Santisi, Sergio De Cola, Daniele Ialacqua, Sebastiano Pino, Nino Mantineo, Patrizia Panarello, Filippo Cucinotta, i dirigenti del comune Antonio Cama, nel periodo preso in esame svolgeva il ruolo di ragioniere generale, Salvatore De Francesco, Giovanni Bruno, Vincenzo Schiera, Riccardo Pagano, Maria Canale, Domenico Manna, Antonella Cutroneo e Calogero Ferlisi e gli ex revisori dei conti Dario Zaccone, Federico Basile e Giuseppe Zingales. A chiudere il lungo elenco è il nome del direttore generale all’epoca dei fatti contestati, Antonio Le Donne.
Quando si diffuse la notizia dell’apertura dell’inchiesta l’allora sindaco Accorinti rilasciò una dichiarazione in merito alla vicenda: “Siamo sereni e tranquilli, convinti di aver fatto un ottimo lavoro. Noi abbiamo scelto la strada del riequilibrio che è molto complicata anche se era più semplice dichiarare il dissesto. L’abbiamo fatto per rispetto dei lavoratori, delle aziende e dei professionisti che vantano crediti nei confronti del comune e con il default avrebbero avuto gravi difficoltà economiche. Il nostro è stato un atto di grande responsabilità e di correttezza nei confronti dei cittadini. La magistratura farà il suo lavoro e noi collaboreremo con loro tranquillamente come stiamo facendo, fornendo tutti i documenti di cui hanno bisogno. Noi siamo sicuri di quello che stiamo facendo che è un lavoro straordinario, tra mille difficoltà perché ci avevano lasciato un comune messo molto male“.
Vediamo nel dettaglio quali erano i reati contestati:
L’ex sindaco Accorinti, l’assessore al bilancio Guido Signorino e i colleghi di giunta Cacciola, Mantineo, Panarello e Cucinotta, ma anche i dirigenti del comune Cama, De Francesco, Bruno, Schiera, Pagano, Canale, Manna, Cutroneo e i revisori dei conti Zaccone, Basile e Zingales, “in concorso tra loro, con più condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso e nelle rispettive qualità e funzioni” avrebbero formato una serie di atti pubblici “ideologicamente falsi”, concorrendo a formare il bilancio del Comune di Messina per l’anno 2014, “attestando falsamente fatti dei quali gli atti predetti (compreso il bilancio comunale) erano destinati a provare la verità” e comunque “determinavano la formazione di un bilancio ideologicamente falso teso a rappresentare un equilibrio di bilancio in realtà insussistente, poiché recante previsioni di entrata per l’anno 2014 chiaramente sovrastimate e stanziamenti insufficienti a fare fronte ai cosiddetti ‘debiti fuori bilancio’ già censiti".
Nell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari si prendevano in esame le singole posizioni dei dirigenti e poi anche degli altri indagati.
A Salvatore De Francesco, quale dirigente del Dipartimento delle Politiche culturali ed educative, viene contestata una previsione di entrata “non motivata (e palesemente non fondata)” che riguarda l’accertamento a consuntivo (di appena 15mila euro) e le previsioni di entrate dai proventi delle sponsorizzazioni (di 100 mila euro).
Ad un altro dirigente, in questo caso del Dipartimento delle Politiche Sociali, Giovanni Bruno (andato nel frattempo in pensione) viene contestata una previsione di entrata “non motivata e palesemente non fondata” sulla compartecipazione degli utenti di Casa Serena. In sintesi l’ufficio aveva preventivato di incassare 220mila euro circa dagli ospiti della casa di riposo senza poi tuttavia incassare neanche un euro.
A Vincenzo Schiera (ex dirigente del Dipartimento Politiche del Territorio, oggi pensionato) – ricordiamo che le mansioni si riferiscono agli anni presi in esame dalla procura – viene confutata una previsione di entrata di 200mila euro che fa riferimento alla 'Numerazione civica' seguita anche in questo caso da nessuna entrata.
Al dirigente Riccardo Pagano (dichiarato in esubero dall'attuale sindaco Cateno De Luca) vengono contestate delle previsioni di entrate di ‘Utili Amam’ per 850mila euro a fronte di incassi pari a zero.
A Maria Canale, storica dirigente del Dipartimento Politiche della Casa, adesso in pensione, vengono contestate delle previsioni da 300mila euro che si riferiscono al ricavo di alienazioni si stabili comunali da destinare a case popolari, che si sono poi tradotte in appena 100mila euro di accertamento a consuntivo.
A Domenico Manna, dirigente del dipartimento Cimiteri e verde pubblico, all’epoca dei fatti, e da poco 'licenziato' dal sindaco Cateno De Luca, vengono contestate delle previsioni sui proventi di concessioni cimiteriali che si discostano di parecchio dall’accertamento a consuntivo, circa 3 milioni in meno.
Ad Antonella Cutroneo, dirigente del dipartimento edilizia privata, viene obiettata una previsione su un contributo per il rilascio di concessione edilizie.
All’allora responsabile del servizio finanziario Antonino Cama si imputa di aver redatto lo schema di bilancio e di aver attestato “contrariamente al vero, la sussistenza della predetta compatibilità tra risorse e spese nonché la veridicità delle previsioni di entrata formulate dai dirigenti”.
Ai componenti dell’amministrazione Accorinti, viene attribuita la responsabilità di aver approvato lo schema di bilancio di previsione 2014, “schema recante previsioni di entrata non fondate e comunque non contemplanti somme sufficienti a finanziare i debiti fuori bilancio censiti (pari a 1.774.973,74 euro) nella piena contezza dell’insufficienza delle risorse stanziate”. Infine ai revisori dei conti, Zaccone, Basile e Zingales, in quanto come membri dell’organo deputato ad effettuare i riscontri di natura tecnica sui documenti di bilancio al fine di supportare il Consiglio Comunale nella propria funzione di indirizzo e controllo, “formalizzavano un parere favorevole all’approviazione del documento contabile nonostante non prevedesse la copertura dei debiti fuori bilancio censiti”.
Per il bilancio 2015 rimane lo stesso capo d'accusa ma cambiano alcuni nomi degli indagati. In giunta ci sono stati nel frattempo dei cambi e a finire nel registro degli indagati, oltre ai già citati Accorinti, Signorino, Cama, Bruno, Canale, Cutroneo, Zaccone, Basile, Zingales, Ialacqua, De Cola e Pino, sono gli assessori al bilancio Luca Eller Vanicher e quello ai sevizi sociali Nina Santisi.
A tutti viene contestato, come per il 2014, l'aver formato una serie di atti pubblici "ideologicamente falsi" e di aver concorso a formare nell'esercizio delle rispettive funzioni il bilancio del comune per l'anno 2015, "attestando falsamente fatti dei quali gli atti (bilancio comunale) erano destinati a provare la verità.... e comunque determinavano la formazione di un bilancio in realtà insussistente poiché recante previsioni di entrata per l'anno 2015 chiaramente sovrastimate e stanziamenti insufficienti a fare fronte ai debiti fuori bilancio già censiti".
Anche in questo caso vengono specificate le singole presunte responsabilità, supportate da alcuni esempi in cui appare evidente la differenza tra previsioni e numeri effettivi.
Dove spesso il numero zero la fa da padrona, rendendo ancora più marcati i dubbi sulla veridicità delle previsioni di entrate.
Anche in questo caso agli amministratori si contestava l'aver approvato lo schema di bilancio di previsione per l'anno 2015, "schema recante previsioni di entrata non fondate e comunque non contemplanti somme sufficienti a finanziare i debiti fuori bilancio censiti (pari a euro 2.377.724,55), nella piena contezza dell'insufficienza delle risorse stanziate (pari a zero). E anche per il bilancio 2015 Zaccone, Basile e Zingales vengono accusati di aver formalizzato un parere favorevole all'approvazione del documento contabile "nonostante esso non prendesse la copertura dei debiti fuori bilancio censiti".
Infine per l'anno 2016 l'accusa di falso in bilancio questa volta è contestata dal sostituto Antonio Carchietti sempre al sindaco Accorinti e ai componenti di giunta Signorino, Cacciola, Eller, Pino, De Cola e Ialacqua, ai dirigenti Cama, Manna, Canale e ai revisori Basile e Zingales. Esce dall'elenco Dario Zaccone che nel frattempo, il 20 maggio del 2016, aveva rassegnato le dimissioni da presidente del collegio dei Revisori del Comune di Messina. Zaccone aveva già rassegnato le proprie dimissioni a febbraio dello stesso anno, ma le aveva successivamente ritirate a suo dire per non paralizzare l’attività dell’intero Collegio di revisione in un momento particolarmente delicato per il Comune di Messina, ai tempi ancora alle prese anche con il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi oltre che con il bilancio di previsione 2015 .
Basta dare un'occhiata agli articoli dell'epoca per ricordare come la scelta delle dimissioni fu condizionata dal clima pesante che si era creato intorno a Zaccone, prima accusato in conferenza stampa dal sindaco Renato Accorinti e dall’assessore Luca Eller di «fare giochetti» e «cercare il pelo nell’uovo», poi sospettato dall’ex assessore Tonino Perna di essere l’esecutore materiale di un complotto ordito da Genovese per «affossare» la giunta Accorinti. Sullo sfondo ci sono le incomprensioni con il capo dell’area finanziaria di Palazzo Zanca, Antonino Cama.
Anche per il 2016 quindi il sostituto procuratore Carchietti, a supporto delle accuse, evidenzia attraverso degli esempi quella che per lui è una previsione di entrata "chiaramente sovrastimata".
Nel caso di Domenico Manna prende come esempio di entrate non motivate "e palesemente non fondate" i proventi del servizio di illuminazione votiva da affidare in concessione.
Ma a finire contestato dalla procura è anche il rendiconto del comune per gli stessi anni (2014-2016), cioè il consuntivo che di fatto fotografa le entrate e le spese realmente effettuate dall'ente negli anni.
Il rendiconto è quell'atto pubblico che ha la finalità di fornire la rappresentazione veritiera del risultato di gestione dell'esercizio annuale, approvato con delibera del consiglio comunale. Per l'anno 2014 viene contestato ad Accorinti, Signorino, Cama, De Francesco, Pagano, Canale, Zaccone, Zingales, Basile, Cacciola, Pino, De Cola, Ialacqua, Panarello e all'ex comandante della Polizia Municipale Calogero Ferlisi di aver determinato "la formazione di un rendiconto ideologicamente falso teso a rappresentare un equilibrio di bilancio in realtà insussistente, poiché recante accertamenti sovrastimati dei residui attivi (a fronte di crediti dalla riscossione palesemente improbabili, quando non radicalmente inesistenti); di questo il rendiconto medesimo si palesava tale da non fornire la reale rappresentazione del risultato di gestione del Comune di Messina".
Nello specifico a De Francesco "di aver indebitamente conservato il residuo relativo a un credito oggetto di contenzioso che avrebbe dovuto accantonare nel fondo crediti di dubbia esigibilità, determinando così l'esposizione di un risultato di amministrazione superiore a quello reale per il corrispondente quantum".
Riccardo Pagano, dirigente all'epoca dei fatti, è accusato "di aver indebitamente conservato il residuo relativo a un credito verso l'Amam per acque reflue nel periodo 1996/2001". A Calogero Ferlisi, che all'epoca era dirigente del Dipartimento politiche della casa, viene contestata la stessa accusa, cioè "di aver indebitamente conservato il residuo relativo a un credito oggetto di contenzioso che avrebbe dovuto accantonare nel fondo crediti di dubbia esigibilità, determinando così l'esposizione di un risultato di amministrazione superiore a quello reale per il corrispondente quantum". Si tratta di somme da recuperare per le spese di custodia dei veicoli sequestrati per gli anni 2008-2010.
I revisori Zaccone, Zingales e Basile in questo caso vengono tirati in ballo per aver attestato "contrariamente al vero la verifica della regolarità delle procedure di contabilizzazione delle entrate e delle spese e il riaccertamento dei residui"; inoltre - sempre secondo la procura - "rendevano parere favorevole all'approvazione del documento contabile sebbene fossero a conoscenza - per averle espressamente indicate - di gravi irregolarità provenienti dagli esercizio precedenti".
Accorinti, Signorino, Cacciola, Pino, De Cola, Ialacqua e Panarello per aver adottato lo schema di rendiconto predisposto dalla Ragioneria, "così sottoponendolo - nella piena consapevolezza dell'inattendibilità del documento - all'approvazione del consiglio comunale".
Cama infine per "aver conservato residui riferiti ad esercizi finanziari precedenti all'anno 2001 che comportava che nel corso degli anni successivi, alcuni di essi venissero cancellati per insussistenza, evidenziando l'irregolare conservazione di tali partite negli esercizi precedenti".
Per il rendiconto per l'anno 2015 e 20016 stesse accuse ma questa volta per Signorino, Cama, De Francesco, Le Donne, Canale, Ferlisi, Basile, Zingales, Cacciola, Eller, Pino e Ialacqua.
Infine i dirigenti Vincenzo Schiera e Riccardo Pagano sono accusati di falso in bilancio, perchè "concorrevano alla formazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale del comune di Messina, approvato con delibera del consiglio comunale, con esiti ideologicamente falsi" poiché:
Riccardo Pagano, con riferimento all'Amam, formalizzava una previsione di entrata per l'anno 2014 pari ad euro 476.652.50 e per l'anno 2015 pari ad euro 696.355.21. "Entrambe le previsioni - ribadisce Carchietti - si palesavano tuttavia inattendibili poiché sovrastimate come desumibile anche dal parere del collegio dei revisori dei conti";
mentre Vincenzo Schiera, "con riferimento alla riscossione dei tributi, formalizzava previsioni di entrata rivelatesi inattendibili quando non del tutto irrealizzabili".