BOLOGNA: FDI CONTRO LA BAND DELLA ‘P38-LA GANG’ (C’E’ ANCHE UN MESSINESE) INDAGATA PER ‘ISTIGAZIONE A DELINQUERE’
Revocare immediatamente la concessione dell’immobile di via Corticella 129, assegnato dal Comune al Laboratorio Crash. A chiederlo, con un ordine del giorno rivolto al sindaco Matteo Lepore e alla sua giunta, sono i consiglieri di Fratelli d’Italia: Stefano Cavedagna, Felice Caracciolo, Francesco Sassone, Manuela Zuntini e Fabio Brinati. Il motivo? Perché il 22 aprile, proprio nei locali Ex Centrale del latte, si era tenuto un concerto del gruppo P38, "che nei propri testi fa chiaro riferimento inneggiando alle BR e all’omicidio di Aldo Moro".
E da giorni è finito al centro di una maxi inchiesta della Dda di Torino che sta riguardando anche Bologna. Per gli inquirenti, infatti, i testi delle loro canzoni non sono una provocazione artistica, ma una vera istigazione a delinquere. Venerdì Digos e Ros hanno bussato alle porte di ‘Astorè, 27 anni di Nuoro, ‘Papà Dimitrì, 34 anni di Bergamo, ‘Jimmy Pentothal’, 23 anni di Milano e ‘Yung Stalin’, 29 anni, originario di Messina, ma trasferito a Bologna. I nomi d’arte dei componenti della ’P38-La Gang’.
"L’immobile di via Corticella – scrivono i consiglieri – deve essere destinato per finalità di interesse culturale", con scopo "di natura pubblica e utilità sociale a livello tematico e territoriale". L’uso fatto però, proseguono, "si ritiene in palese violazione del patto di affidamento, prefigurando gli estremi per la revoca della concessione". Già il 7 maggio scorso Fratelli d’Italia presentò un esposto nei confronti della band e di chi l’aveva ospitata a suonare a Bologna. "Siamo fiduciosi per le indagini che stanno procedendo – dice Cavedagna –. La giustizia farà il proprio corso, ma il Comune deve intervenire subito per quanto nei suoi poteri. L’immobile è concesso dal Comune a Laboratorio Crash, con regole chiare. Gli venga revocato quanto prima per utilizzo improprio. Domani (oggi, ndr) in Consiglio comunale lo chiederemo in prima persona".
L'INDAGINE.
I componenti della band musicale torinese ‘P38-La Gang‘ devono rispondere di istigazione a delinquere. Venerdì scorso i carabinieri e la polizia – supportati dagli uffici territoriali di Bologna, Bergamo e Nuoro – hanno eseguito perquisizioni nei confronti di ‘Astore', classe 95 di Nuoro, di ‘Papa Dimitri' 34enne di Bergamo, di ‘Jimmy Pentothal' del 99, milanese, legato all'area antagonista meneghina e ‘Yung Stalin', classe 93, messinese trasferito a Bologna, (questi i nomi d'arte dei 4 membri del gruppo): è stato sequestrato materiale informatico utile alla prosecuzione delle indagini. C'è da dire che nel giugno scorso avevano annunciato il loro scioglimento dopo l’indagine per apologia per i testi di alcune canzoni con riferimenti alle Brigate Rosse; in particolare ‘Renault', l'auto in cui venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro il 9 maggio '78, ‘Nuove BR', ‘Giovane Stalin' e ‘ Ghiaccio Siberia', alcuni dei titoli. Nell’annuncio del ritiro, la band ha ringraziato l’affetto che ha ricevuto dal pubblico. «Ci togliamo il passamontagna per tornare in mezzo a voi come persone, come amici, come compagni. Ma non più come P38».
Il logo della ‘P38-La Gang' era una stella rossa a cinque punti. I quattro avevano l’abitudine di presentarsi con il passamontagna. Il Primo Maggio 2022 si sono esibiti al circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia eseguendo canzoni con riferimenti alla lotta armata. Secondo gli inquirenti i loro testi inneggiavano alla violenza alla contrapposizione radicale contro lo stato. "Quello che le Br volevano fare allo Stato noi lo vogliamo fare all'industria musicale" dichiaravano nelle interviste. Due dei componenti hanno precedenti per travisamento invasione di edifici ed imbrattamento.
Contro di loro è stata anche presentata una denuncia da parte di Bruno D'Alfonso, carabiniere in pensione figlio di Giovanni, ucciso in uno scontro a fuoco dalle Brigate Rosse il 5 giugno 1975 ad Acqui Terme, alla cascina Spiotta per la liberazione dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia, morto lo scorso 13 novembre.
Il 16 maggio, Maria Fida Moro rilasciò un’intervista alla Gazzetta di Reggio, nella quale annunciò di voler agire per vie legali: “Qui non si tratta di libertà di pensiero, ma è istigazione al terrorismo. Mio padre, Aldo Moro, era il contrario di tutto ciò che c’è in quei testi, altrimenti sarebbe stato comprato come altri. Invece è stato ucciso”. E concluse: “Solo chi è passato per un dolore del genere può davvero capire cosa si prova e può capire che anche una canzone può avere esiti volgari e pericolosi“.
L'inchiesta era stata aperta, in seguito alla scoperta di filmati e testi online da parte degli investigatori, dai pm Enzo Bucarelli e Paolo Scafi della procura del capoluogo piemontese e ha successivamente assorbito i fascicoli aperti da quelle di Reggio Emilia e di Pescara.