6 Febbraio 2025 Politica e Sindacato

Casa circondariale di Gazzi, FP CGIL: «Sulla vicenda che vede coinvolti gli agenti della polizia penitenziaria, presunzione di innocenza e piena fiducia nella Magistratura». I DETTAGLI DELL’INCHIESTA

La FP CGIL di Messina interviene su fatti che vedrebbero coinvolti 9 agenti della polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Gazzi esprimendo piena fiducia nella Magistratura e sottolineando il principio della presunzione di innocenza per gli agenti coinvolti. «Ci auguriamo – affermano il Segretario Generale della Funzione Pubblica CGIL Francesco Fucile e il coordinatore provinciale Giovanni Spanò - , che gli stessi possano dimostrare la loro totale estraneità ai fatti contestati. Chiediamo che vengano evitate illazioni e processi mediatici che rischiano di gettare un’ombra ingiustificata su tutta la Polizia Penitenziaria di Messina. Parliamo di lavoratrici e lavoratori che operano quotidianamente in condizioni difficili, aggravate da una cronica carenza di organico, dimostrando sempre professionalità e dedizione». La FP CGIL continuerà a seguire da vicino l’evolversi della vicenda, tutelando i diritti degli operatori e garantendo il rispetto delle procedure nel pieno della legalità.

L'INDAGINE.

Al carcere di Gazzi c’erano due «radicate bande criminali», una messinese e una catanese, che commerciavano in droga, telefonini e sim card con la complicità di alcuni agenti penitenziari, i quali o facevano spesso finta di non vedere oppure partecipavano attivamente introducendo i pacchi “segreti” per guadagnarci qualcosa.

E c’erano anche lanci “regolari” dall’esterno all’interno della casa circondariale, i detenuti coinvolti facevano il punto della situazione quando si trovavano insieme al “cortile passeggi” o al “campo sportivo”, e raccoglievano i pacchi. Oppure telefonini, droga e sim card arrivavano con i droni di notte, quando nessuno vedeva e sentiva, o faceva finta di non vedere e non sentire.

Ad un certo momento proprio per “divergenze” nella gestione dei traffici messinesi e catanesi entrarono in contrasto. Poteva finire molto male. Per un periodo ci furono disordini causati ad arte tra i due gruppi criminali contrapposti, e alcuni dei “capi” vennero subito trasferiti altrove.

Parla di tutto questo la clamorosa indagine - di cui ha riportato i dettagli il quotidiano Gazzetta del sud - portata avanti da diversi mesi dalla Procura diretta da Antonio D’Amato, che nella mattinata di venerdì scorso ha portato ad una maxi perquisizione all’interno della struttura, effettuata da oltre un centinaio di uomini tra i carabinieri del nucleo investigativo del Comando provinciale di Messina e quelli del Nucleo investigativo centrale di Roma della Polizia penitenziaria. Un decreto di perquisizione urgente siglato dalla procuratrice aggiunta Rosa Raffa, dai sostituti della Distrettuale antimafia Francesca Bonanzinga e Marco Accolla e dalla collega della Procura Anita Siliotti.

Si tratta di un’indagine che ha visto l’iscrizione nel registro degli indagati complessivamente di 34 persone, nel dettaglio 9 appartenenti alla Polizia penitenziaria e 25 detenuti, che in atto sono ristretti nel carcere di Gazzi, lo sono stati in passato oppure sono stati trasferiti nei mesi scorsi, o ancora sono di nuovo liberi.

Un primo decreto di perquisizione riguarda 21 indagati, e si tratta di detenuti nelle varie posizioni accennate prima, accusati in questa fase - è chiaro che si tratta del primo step processuale, le posizioni potrebbero anche portare con gli sviluppi investigativi all’archiviazione per insussistenza dei fatti -, di aver fatto parte di un’associazione a delinquere finalizzata - dall’agosto del 2023 fino ad oggi - all’introduzione di sostanze stupefacenti, soprattutto marijuana e cocaina, all’interno della struttura carceraria anche mediante lo smistamento di pacchi, tra “lanci” e passaggi di mano durante i colloqui; sostanze stupefacenti che poi venivano rivendute alimentando il mercato interno (uno spinello a quanto pare costava un po’ più caro che all’esterno, dai 20 ai 30 euro).

I NOMI.

Si tratta di: Angelo Arrigo, Giovanni Aspri, Carmelo Bianca (di Siracusa), Filippo Cannavò, Santo Chiara, Giovanni Cortese, Giovanni Costa, Eros Di Blasi, Orazio Giovanni Di Grazia (di Catania), Giorgio Di Gregorio (di Siracusa), Alessio Papale, Lucio Pappalardo (di Acireale), Antonio Paratore, Francesco Russo, Angelo Sapiente (di Catania), Vincenzo Tripodi, Ivan Zappalà (di Catania), Nebi Memeti (di Mazara del Vallo), Emanuele Bonanzinga e Francesco Ferrante.

Un secondo decreto di perquisizione riguarda altri 13 indagati, quattro detenuti - alcuni ancora ristretti e altri in libertà - e 9 appartenenti alla Polizia penitenziaria.

Si tratta dei detenuti Davide Mandalà, Roberto Papale, Claudio Bonanzinga e Vincenzo La Foresta (quest’ultimo è in libertà, è coinvolto nelle indagini come presunto intestatario di parecchie schede sim destinate secondo gli inquirenti ad essere introdotte in carcere); e poi degli appartenenti alla Polizia penitenziaria Saverio Annetti, Domenico Campanella (di Milazzo), Kevin Costa, Andrea Genovese (di Barcellona Pozzo di Gotto), Giuseppe Grioli (di Lamezia Terme), Domenico La Marca, William Rega (di Taranto), Sergio Saraò e Luca Vita.

LE ACCUSE.

A tutti, tranne che a La Foresta, viene contestata l’associazione a delinquere finalizzata all’introduzione degli stupefacenti all’interno della struttura, dall’agosto del 2023 fino ad oggi. A tutti, compreso La Foresta, è contestata poi anche l’associazione a delinquere finalizzata al “commercio interno” di telefonini e sim card.

Dopo i primi step d’indagine, e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, è stato subito chiaro che all’interno della casa circondariale c’era un organizzazione precisa dedita al traffico di telefonini e sim card, ne “giravano” addirittura una ventina e c’era anche un calendario rigoroso di giorni e orari per effettuare le chiamate all’esterno. E non tutte erano telefonate ai parenti o agli amici. In parecchie conversazioni sono stati intercettati accordi per far entrare la droga in carcere.

I magistrati parlano poi nel decreto di perquisizione di «agenti infedeli» indicati nelle dichiarazioni rilasciate dai vari detenuti.

"AGENTI INFEDELI":

Nel campionario degli “affari” che si facevano secondo i magistrati all’interno del carcere di Gazzi c’è proprio di tutto. Detenuti che uscivano in permesso premio e rientravano “carichi” di droga che poi veniva distribuita a caro prezzo, pacchi che passavano di mano dall’interno all’esterno senza alcuna verifica del contenuto grazie alla complicità di alcuni agenti, rinvenimenti di droga e telefonini dopo perquisizioni che non venivano segnalati e messi a verbale. C’era anche chi, essendo di turno al posto di servizio del “cortile passeggi” non era molto presente e si assentava, proprio per permettere ai detenuti di raccogliere i pacchi lanciati dall’esterno. I magistrati che hanno disposto la maxi perquisizione scrivono: i detenuti per realizzare quanto sopra si avvalgono della complicità in molti casi, del personale di Polizia penitenziaria, che omettendo di effettuare i controlli previsti dalla legge, omettendo di procedere a sequestri di sostanze rinvenute, o, addirittura facendo da tramite tra i detenuti e i familiari favorivano indubbiamente l’attività illecita.

All’interno della struttura, per eludere le intercettazioni, i detenuti tra loro e anche agenti e detenuti quando si trovavano insieme, attivavano tra i telefonini in loro possesso la cosiddetta “connessione dati”, che non consentiva l’intercettazione.