29 Gennaio 2025 Politica e Sindacato

IlMaxFactor: il giorno in cui scoprimmo che anche Giorgia è scarsa

Di Massimiliano Passalacqua - Dei tanti aspetti di una certa gravi racchiusi nelle dichiarazioni di Giorgia Meloni (A Prova) sull’apertura di un’indagine a carico suo, dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano in relazione alla liberazione del boia libico Al-Masri, che coprono l’intera palette di sfumature Pantone dalla manipolazione della realtà alla bugia sfacciata, il più grave non è stato adeguatamente sottolineato nel dibattito che si è aperto sulla stampa e nella politica. Forse proprio per effetto del ‘combinato disposto’ del cumulo di castronerie-barra-enormità pronunciate dal presidente del Consiglio in pochi secondi di discorso che ci hanno aperto gli occhi sulla sorprendente verità: ricordate il mantra di questi due anni e mezzo, secondo il quale la Meloni è capace, preparata e onesta ma circondata da una classe dirigente di personaggi inadeguati e opachi? (Come se non li avesse scelti lei, poi.). Bene, scordatelo. Perché da oggi abbiamo le prove: anche Giorgia è scarsa. Non solo in malafede, ma pure scarsa.

È vero che il tono dell’intera comunicazione è poco istituzionale, tanto da farla somigliare più all’ennesimo comizio. Ma insomma, non si può dire che dalla sua elezione la Meloni ci avesse abituato a un profilo da statista. È vero anche che l’attacco scomposto alla magistratura è una reazione inaudita da parte di un rappresentante delle Istituzioni nei confronti di un altro potere dello Stato. Ma anche questo fa parte della strategia comunicativa di Giorgia, e d’altra parte il vittimismo, il complottismo, il personalismo quasi messianico sono tratti distintivi del populismo in Italia e nel mondo, quindi anche qui niente di originale. Ed è vero che quello che Giorgia sventolava in favore di telecamera non è un avviso di garanzia come lo intendiamo comunemente, ma l’informazione all’indagato che è stata presentata una denuncia nei suoi confronti e che la Procura, esattamente come prevede la Legge costituzionale 6/1/1989 n. 1, l’ha trasmessa al Tribunale dei Ministri che svolge le indagini preliminari e, al termine, archivia o trasmette nuovamente alla Procura. L’espressione “atto dovuto” è abusata, ma stavolta di questo si tratta: la Procura non ha – in questa fase – nemmeno il potere di valutare se la denuncia sia fondata o meno, né di indagare, né tantomeno di mandare avvisi di garanzia. Ma sappiamo bene che spiegare la correttezza della procedura avrebbe scoperchiato la falsità delle argomentazioni di Meloni (A Prova) e sgonfiato tutto il discorso, alimentato com’è… ad aria fritta.

Anche le balle che il presidente del Consiglio racconta sull’avvocato Luigi Li Gotti, bollandolo come “di sinistra” (una vita nel MSI e poi in Alleanza Nazionale, poi sì, senatore dell’Italia dei Valori e sottosegretario nel governo Prodi) e “difensore di mafiosi pentiti” – e qui chissà cosa penserebbero i giudici Falcone e Borsellino, a parole tanto amati da Giorgia, che senza pentiti avrebbero combattuto la mafia con la fionda – tralasciando peraltro che Li Gotti è stato difensore di parte civile, cioè delle famiglie delle vittime, per la strage di piazza Fontana, e dei familiari di uno degli agenti uccisi dalle Brigate Rosse durante il sequestro di Aldo Moro, sono tutte strategiche: la demonizzazione dell’avversario serve a distrarre l’attenzione da un aspetto che infatti è stato appena sfiorato, cioè la gravità delle accuse rivolte al Governo in termini soprattutto di possibili conseguenze.

Anche volendo esimersi dal giudicare l’orrore di un Governo che libera con scuse risibili un pluriassassino, torturatore e violentatore contravvenendo alle richieste della Corte Penale Internazionale, che ha giurisdizione sovranazionale e alla quale i Paesi aderenti (come l’Italia) hanno l’obbligo di conformarsi, parliamo infatti di due reati che possono realmente porre fine all’esperienza di governo: il favoreggiamento nei confronti di persone accusate di reati che prevedono l’ergastolo, come Al-Masri, è punito con la reclusione fino a quattro anni, ma anche il peculato (legato all’uso dell’aereo di Stato, peraltro già pronto prima della pronuncia dei magistrati competenti, per rimpatriare il nostro “alleato” libico), essendo un reato contro la pubblica amministrazione, prevede come pena accessoria l’interdizione dai pubblici uffici perpetua se la condanna è superiore ai tre anni, temporanea in caso contrario. E quando si capisce l’importanza della posta in palio, la reazione di Meloni (A Prova) ha improvvisamente senso.

Ebbene, non ci crederete, ma c’è di peggio. Ed è quell’aggettivo “fallimentare” usato a proposito del processo portato avanti dal procuratore Lo Voi nei confronti di Matteo Salvini e concluso con l’assoluzione del ministro. L’idea che un processo sia “fallimentare” se l’imputato è assolto, infatti, è la sintesi perfetta dell’ignoranza di Giorgia in fatto di pura e semplice educazione civica. Perché se un imputato viene assolto la giustizia non fallisce, ma trionfa. Significa che un magistrato lo indaga prospettando un’ipotesi di reato, un secondo magistrato, diverso dal primo, valuta che le accuse non siano campate in aria rinviandolo a giudizio e un terzo magistrato, diverso dai primi due, ritiene che il fatto non costituisca reato o che questo reato non sia sufficientemente provato, e lo assolve. Per questa destra che fa così fatica a conciliare il proprio innato giustizialismo forcaiolo con la presenza nell’arco costituzionale (e con il garantismo interessato ora che è al potere), invece, è esattamente l’opposto. Cresciuta com’è nel mito di Mussolini e del suo regime illiberale – tanto che ad oggi non è ancora riuscita a dirsi “antifascista”: le si inceppa la lingua come a Carolina Crescentini in Boris con la parola “gioielliere” – Giorgia Meloni non ha capito letteralmente nulla della Costituzione repubblicana, del sistema di garanzie che fa spiccare tra tutti il nostro ordinamento giudiziario (che certo, ha anche tanti problemi), del ruolo cruciale della separazione tra i poteri dello Stato e della loro indipendenza. Come d’altra parte dimostra la guerra senza quartiere alla magistratura. Ecco perché, Vostro Onore, l’indagata è colpevole. Del reato di essere scarsa. Fonte: http://ilmaxfactor.blogspot.com/?m=1