L’omicidio del giovane rom Petre Ciurar. Quella rappresaglia eseguita in scooter
Si svolgeranno domani gli interrogatori di garanzia per le due persone arrestate poco prima dell’alba di martedì scorso per l’uccisione del nomade di etnia rom, Petre Ciurar di 20 anni, avvenuta in contrada Coccomelli di Barcellona, nel corso della tragica serata del 5 dicembre 2010. Per Domenico Bucolo, 34 anni, residente nella città del Longano, difeso dall’avvocato Filippo Barbera, l’interrogatorio di garanzia si terrà alle 11 di domani davanti al gip Nunzio De Salvo del Tribunale di Messina in quanto Domenico Bucolo è detenuto nel carcere barcellonese. Per quanto riguarda l’altro arrestato, Santo Genovese, 34 anni, fratello dell’ex collaboratore di giustizia Filippo Genovese inteso “lo scozzese”, residente a Reggio Emilia e detenuto nella casa circondariale della stessa città, difeso dall’avvocato Pinuccio Calabrò, sarà interrogato sempre domani alle 12 per rogatoria, davanti al gip del Tribunale di Reggio Emilia, Luca Ramponi. Lo stesso giudice, infatti, ne ha disposto la traduzione dal carcere di Reggio Emilia al Tribunale della stessa città, nella quale risiede Genovese che ha scontato nello stesso carcere in cui è detenuto per l’ultimo suo arresto di martedì scorso, pene definitive, tanto che la sua famiglia per stargli vicino si era trasferita nella città emiliana per poi decidere di restare in Emilia.
Le ultime indagini, svolte con il coordinamento dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia, Francesco Massara e Piero Vinci, coordinati dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio che hanno impegnato i carabinieri del Ros-Sezione Anticrimine di Messina e della Sezione di polizia giudiziaria, aliquota Carabinieri, in forza alla Procura di Barcellona, diretta dal procuratore Giuseppe Verzera – che ha di fatto prodotto un coordinamento investigativo fra la Procura di Barcellona e la Dda di Messina – hanno permesso di ricostruire le trame di quella che sarebbe stata un’autentica spedizione punitiva per colpire il gruppo di nomadi che viveva in povertà all’interno di una baracca di legno ricoperta di cartoni. A loro si attribuivano le responsabilità di presunti furti in abitazioni di Calderà e dei quartieri contigui alla zona in cui avvenne l’uccisione di Petre Ciurar.
Così come all’epoca fu ipotizzato, sarebbero stati due gli autori del delitto. Così come raccontato dall’ultimo collaboratore di giustizia Marco Chiofalo, detto “Balduccio”, coinvolto nell’operazione “Dinastia”, ad agire sarebbero stati: Santo Genovese ed il coetaneo Domenico Bucolo. I due giovani avrebbero agito in sella ad uno scooter, sul quale nascondevano, a quanto pare, due fucili. Sarebbero partiti dalla piazza del vicino quartiere di Sant’Antonino per raggiungere la contrada Coccomelli, dove sarebbero entrati da un cancello in una striscia di terreno di Rete ferroviaria, che conduceva alla precaria baracca in cui alloggiava la famiglia di Petre Ciurar. Sarebbe stato lo stesso Marco Chiofalo ad incontrare i due giovani in sella allo scooter che da un sacco avrebbero mostrato i fucili a Marco Chiofalo, comunicandogli che si stavano dirigendo verso la baracca per far “sbaraccare” il gruppo di romeni accampato in quel lembo di “terra di nessuno” abbandonato nel degrado anche dalle Ferrovie che ne sono le proprietarie. Già all’epoca fu accertato che a sparare nell’oscurità contro la baracca in cui vivevano gli immigrati romeni, centrando forse casualmente la vittima che si trovava davanti all’ingresso del tugurio, sarebbero stati due giovani del luogo – all’epoca sconosciuti – uno armato di pistola, l’altro probabilmente con fucile a canne mozze.
Gli stessi accertamenti eseguiti dai carabinieri del Ros verificarono infatti che sul luogo del delitto – oltre alle borre che contenevano pallini e pallettoni – furono ritrovati reperti che farebbero ritenere probabile anche l’uso di una pistola.