I giudici restituiscono tre immobili ad Angelo e Tindaro Porcino
Per l’acquisto di quelle tre case a Barcellona, che in un primo momento erano state confiscate ad Angelo Porcino, noto esponente di Cosa nostra barcellonese, e a suo figlio Tindaro, due in via Scinà e l’altra a Portosalvo, c’è adesso una decisione contraria d’appello che le ha restituite a padre e figlio. Mentre per tutti gli altri beni la confisca è stata confermata.
Decisione adottata dalla sezione misure di prevenzione di secondo grado, presieduta dalla giudice Katia Mangano, che quindi ha accolto in parte l’appello presentato dal pool di legali, composto dagli avvocati Tino Celi, che assiste il padre, Franco Scattareggia Marchese e Salvatore Silvestro, che assistono il figlio.
I profili difensivi che i giudici valutano nel provvedimento di restituzione sono essenzialmente due. Per un verso la pericolosità sociale di Porcino padre secondo i giudici non sarebbe così retrodatata rispetto all’acquisto degli immobili, e poi non ci sarebbe mai stato un “apporto mafioso” del figlio Tindaro, il quale sarebbe soltanto una “testa di legno” che s’è prestato per alcune operazioni economiche.
In primo grado il tribunale aveva rigettato la proposta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale che era stata avanzata dalla Procura, ma aveva ordinato al contempo la confisca di tutti i beni nella disponibilità di Angelo Porcino e del figlio Tindaro.
Adesso per tre beni viene revocata la confisca, e vengono restituiti: un immobile di 139 mq, sito in via Domenico Scinà, n. 113, intestato formalmente alla figlia Antonina Porcino, unitamente a metà del lastrico solare; un altro immobile di via Scinà, intestato per metà ad Antonina Porcino e per metà ad Angelo Porcino; e infine un immobile di 120 mq, in via Strada Centineo della frazione Portosalvo, intestato all’ex moglie Carmela Scifo.
«I motivi di appello della difesa – scrivono i giudici -, ruotano attorno a più profili, sia di ordine tecnico-giuridico, con riferimento ai vincoli derivanti da una interpretazione costituzionalmente orientata della materia ed alla luce dei principi fissati dalla Cedu, che di ordine probatorio e fattuale: non si contesta il dato di fatto della pericolosità sociale che il tribunale ha legittimamente desunto da accertamenti costituiti da sentenze passate in giudicato, ma si contesta il profilo della perimetrazione temporale della suddetta pericolosità, la difficoltà per la difesa del proposto e dei suoi familiari di individuare a distanza di tanto tempo documentazione contabile idonea a giustificare gli acquisti effettuati ed il misconoscimento delle valide conclusioni assunte dal consulente tecnico di parte dottor Attilio Liga, che ha mosso precise critiche in ordine a tutti i profili tecnico patrimoniali di ricostruzione compiuti dall’ufficio di Procura».
Veniamo al concetto di pericolosità sociale. Ecco cosa dicono i giudici d’appello sulle decisioni dei colleghi del primo grado: «Quando il Tribunale scrive che l’anno 1990 è l’annualità “nella quale inizia a manifestarsi la pericolosità del proposto e la contiguità alla famiglia barcellonese”, compie una operazione che, pur apparentemente correlata al tenore del giudicato formale del procedimento penale c.d. Gotha, non appare condivisibile sotto un duplice profilo. In primo luogo, l’espressione utilizzata nel ricostruire la pericolosità del proposto alla luce dei processi per delitti mafiosi ricostruita dall’accusa come “dai primi anni 90” in lingua italiana può significare anche, ad esempio, dal 1994-1995, mentre il Tribunale ha esteso a ritroso la confisca di immobili fino al 1989. Se la qualifica di pericolosità – proseguono i giudici d’appello -, si correla al dato della “appartenenza” mafiosa (pur nel significato allargato delle misure di prevenzione) occorre valorizzare, a garanzia del diritto di difesa, dati certi, sebbene di spessore indiziario, circa le relazioni del Porcino con gli elementi apicali della cosca mafiosa barcellonese. In questo senso possono essere recepite in termini metodologici le pregevoli notazioni della difesa del Porcino sul deficit di determinatezza proprio delle misure di prevenzione e sulle tensioni che inevitabilmente ne derivano con i principi costituzionali (e soprattutto negli ultimi decenni con la sempre più penetrante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo) che l’interprete è chiamato a concretizzare esaminando la vicenda. Ed allora va osservato che il primo controllo di Polizia fortemente sintomatico di questa acquisita relazione, per di più direttamente col capomafia, è solo nel dicembre 1996, quando Porcino veniva identificato per le strade di Barcellona a bordo di un veicolo guidato dal sorvegliato speciale Gullotti Giuseppe, esponente di vertice della famiglia mafiosa barcellonese, condannato all’ergastolo nell’anno 2006 e responsabile di vari omicidi con sentenze passate in giudicato».