6 Novembre 2024 Giudiziaria

Vacanze-premio per i boss, Sebastiano Ardita: “Così il varco è aperto: avremo sempre più mafiosi in libertà”

Dopo due settimane di “vacanza” nella sua Palermo, l’ex capomafia reggente della famiglia di Santamaria di Gesù, Ignazio Pullarà, ergastolano, torna oggi nel carcere di Cuneo. Mai collaborato con la giustizia, è uscito dal penitenziario a ottobre su decisione del Tribunale di Sorveglianza.

Certo, se non ci fosse stata la riforma dei reati ostativi ai benefici penitenziari, non avremmo visto nessun boss mafioso andare in giro, sia pure a tempo determinato, per la sua città. I permessi premio li ha “sdoganati” la Corte costituzionale, che ha imposto poi al Parlamento una riforma, complessiva sui benefici penitenziari per i mafiosi, non al 41-bis, anche se non hanno mai parlato con lo Stato. E così possono ambire a permessi premio, semilibertà o affidamento in prova. Con un tecnicismo si dice che l’ostativo da assoluto è diventato relativo, la conseguenza è che i giudici di Sorveglianza, osservando una serie di paletti, possono premiare anche mafiosi e terroristi detenuti mentre prima la condizione necessaria era la collaborazione con la giustizia.

Ma Ignazio Pullarà non è l’unico boss ad aver goduto di benefici penitenziari.

Su quanto sta accadendo, Saul Caia e Antonella Mascali de Il fatto quotidiano hanno chiesto l’opinione a un esperto di diritto dell’ordinamento penitenziario, il procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita, autore del libro Il coraggio del male, in uscita il 15 novembre.

Dottor Ardita, come è possibile che un boss come Pullarà a cui nel 2019 hanno sequestrato degli esercizi commerciali riesca ad avere permessi premio?
È possibile perché a partire dal 2019 la Consulta ha aperto il primo varco per la concessione dei permessi premio ai mafiosi non pentiti, aprendo la strada alla legge del 2022. La Corte aveva messo dei paletti, e altrettanti erano stati messi nel testo legislativo. Per esempio, era stato detto che occorreva tenere conto della capacità criminale del gruppo mafioso all’esterno prima di concedere un permesso a un capomafia; o addirittura che doveva essere il capomafia a dimostrare la sua non pericolosità: il che rappresenta un autentico ossimoro e dunque una prova quasi impossibile. Qualcuno si era reputato soddisfatto per questi paletti, ma chi sa come vanno queste cose aveva già previsto che saremmo arrivati a questo punto. E questo è solo l’inizio…

In che senso?
Nel senso che in materia di benefici, di qualunque natura, l’esperienza ci fa dire che una volta abbassata l’asticella tutti potranno passare dal varco più accessibile. E quindi avremo un notevole numero di mafiosi che torneranno in libertà, benché pericolosi. E se così non fosse tutti invocherebbero il principio di uguaglianza dell’art. 3 della Costituzione. E questa non è l’unica cosa che preoccupa.

Cos’altro dobbiamo aspettarci?
Anche il sistema della prevenzione patrimoniale sta franando, e assistiamo tutti i giorni a restituzioni di ingenti patrimoni a soggetti con precedenti da far rabbrividire su presupposti sempre derivati da pronunce Cedu. Eppure ci sono zone del nostro territorio dove un cittadino per fare un trasloco, per un servizio funebre, persino per comprare una brioche al supermercato, deve rivolgersi a soggetti mafiosi che agiscono in condizioni di monopolio. Dobbiamo accettare che queste aziende crescano e si espandano anche se gestite da mafiosi, diventati ricchi dal nulla, se non siamo in grado di dare la prova piena – a volte difficile – che sono alimentate da profitti illeciti?

Quando la Consulta ha bocciato l’ergastolo ostativo ha scritto anche che doveva tenere conto della Cedu. È così o poteva tenere conto della specificità italiana?
Cosa vuole che mi metta a fare il censore della Corte costituzionale e degli organi di giustizia europei? Direi che non mi compete proprio. È evidente che, trattandosi di organi politici superiorem non recognoscentes, si portano dietro la cultura e la sensibilità di un ordinamento e di un popolo. Se non siamo capaci come popolo e come istituzioni di ritenere prioritaria la tutela dei cittadini di fronte allo strapotere della mafia e di trasmetterlo ai nostri organi costituzionali, evidentemente meritiamo questo. Specialmente dopo il sangue versato da Falcone e Borsellino, del cui ricordo si abusa spesso nelle commemorazioni.

Questi boss che hanno ottenuto benefici senza aver mai collaborato, che segnale danno all’esterno?
Specialmente nelle periferie, dove lo Stato non è presente e la mafia attua il suo welfare rovesciato, danno il segnale che scegliere l’impegno criminale può essere una buona alternativa.

Ci sono ancora boss in carcere che comandano anche se fingono una buona condotta?
Sicuramente l’influenza della mafia nelle carceri porta a una permeabilità che consente ai capi delle associazioni mafiose di mandare ordini fin dal giorno stesso del loro arresto; e a questo danno si aggiunge la beffa di una uscita anticipata sul presupposto della possibilità di rieducazione di questi capimafia. Qui per incoscienza o per disinteresse pubblico generalizzato, non credo alla malafede, si sta ‘giocando’ col monopolio della forza dello Stato, fondamento della democrazia..