Csm, nomina procuratore di Catania: gli aggiunti Ardita, Pulcio e Fonzo presentano ricorso
I Procuratori aggiunti di Catania Sebastiano Ardita, Francesco Giuseppe Puleio e Ignazio Fonzo hanno presentato ricorso contro la nomina di Francesco Curcio a procuratore della repubblica etnea, nome appartenente all'area progressista fortemente sponsorizzato dal procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo. La notizia è riportata dall'Unità che specifica come il Csm, con grande tempismo, abbia prontamente nominato Puleio procuratore di Ragusa, neutralizzando così il suo ricorso. La nomina di Curcio, per ora ancora ferma al ministero della Giustizia, è stata contestata dai tre magistrati anche per il contenuto della denuncia presentata della ex consigliera laica di Fratelli d'Italia Rosanna Natoli, ad oggi indagata dalla procura di Roma per rivelazione di segreti d'ufficio e abuso d'ufficio, reato quest'ultimo che radicherebbe la competenza nella Capitale. Nella sua denuncia, la ex consigliera aveva raccontato che, poco prima del voto per la nomina del procuratore di Catania, le era stato impedito di partecipare, poiché si sapeva che avrebbe sostenuto Pulcio.
Inoltre aveva avanzato richiesta di annullamento della nomina descrivendo nei dettagli le ore concitate di quei momenti: “Il 17 luglio 2024, data fissata per il plenum in cui vi era all’ordine del giorno, fra l’altro, la nomina del procuratore della Repubblica di Catania, mi sono recata al Csm per partecipare ai lavori consiliari. Non appena arrivata nella mia stanza, si sono ivi catapultati i consiglieri: Bertolini, Giuffrè, Eccher ed Aimi (laici eletti dai partiti di centrodestra, ndr). Mi veniva riferito che la consigliera Francesca Abenavoli, a nome di tutto il gruppo di Area e di Md, aveva comunicato al vicepresidente che qualora fossi entrata in aula consiliare per partecipare ai lavori del plenum avrebbero, in apertura ed in collegamento con Radio Radicale, diffuso, mediante lettura, la trascrizione del contenuto della chiavetta Usb depositata dalla Fascetto Sivillo e, conseguenzialmente, richiesto pubblicamente le mie dimissioni e inviato gli atti in Procura". Simili è il nome della magistrata finita al centro della vicenda che ha determinato la sospensione di Natoli dall’organo di autogoverno. Secondo i magistrati capitolini, la ex consigliera, in qualità di componente della sezione disciplinare del Csm e giudice relatore del procedimento in corso nei confronti della magistrata Sivillo le avrebbe rivelato notizie d'ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete e "segnatamente quelle sullo svolgimento della Camera di consiglio dopo la sua audizione". Inoltre la consigliera, contesta la Procura di Roma, "partecipava allo svolgimento del procedimento disciplinare e alla decisione, intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio alla Fascetto Sivillo" alla quale avrebbe "rivelato, nel corso di un colloquio del 3 novembre del 2023, l'orientamento espresso dai componenti della Commissione" e avrebbe "compiuto atti diretti e in modo non equivoco a procurarle un ingiusto vantaggio patrimoniale nell'udienza del luglio 2024 non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla sua volontà".
Al di là di come si evolverà la vicenda è chiaro che attorno al posto di procuratore capo di Catania ruotano diversi interessi: ricordiamo la procura etnea, che conta ben 46 pm in pianta organica e 41 in servizio, ed è di importanza fondamentale per il contrasto a Cosa nostra, per questo durante il vaglio dei nomi in commissione era stato esaminato anche quello di Ardita, già procuratore reggente a Messina, consigliere togato del Csm, consulente della Commissione parlamentare antimafia e direttore generale al Dap, il Dipartimento carceri del ministero della Giustizia.
Era da circa un anno, ovvero dalla nomina di Carmelo Zuccaro a procuratore generale di Catania, che la questione della nomina dei vertici della procura etnea aveva suscitato l'attenzione dei più alti livelli del potere giudiziario e politico che nelle ultime fasi aveva assunto toni sempre più accesi.
Basti pensare che a pochi giorni dal voto gli organi di stampa parlavano delle ingerenze della seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa.