31 Agosto 2024 Giudiziaria

Le motivazioni della condanna inflitta a De Domenico: L’untore aveva «piena consapevolezza»

Aveva la «piena consapevolezza di essere sieropositivo». Non è stata prospettata dalla difesa «una reale ipotesi ricostruttiva alternativa dei fatti». Ha avuto un «contegno tenuto per tanti anni, improntato al silenzio». Si trattava di una «infezione antica» e non molto più spinta in avanti negli anni come ha prospettato al processo la difesa. Ed ancora, come a ribadire più volte in quelle pagine giudiziarie: «Gli argomenti richiamati dall’appellante non sono in grado di minare il ragionamento svolto dalla Corte e, a ben vedere, non prospettano una reale ipotesi ricostruttiva alternativa dei fatti tale da determinare una valutazione in termini di inconsistenza dimostrativa della decisione appellata».

Non hanno avuto dubbi i giudici e i giurati della corte d’assise d’appello, che a marzo scorso hanno inflitto 22 anni di reclusione con l’accusa di omicidio volontario al processo “bis” per il 60enne Luigi De Domenico. Il cosiddetto “untore”, che pur sapendo di essere sieropositivo per l’Aids portò alla morte la sua compagna, l’avvocata messinese S.G., non rivelandole mai questo angoscioso segreto. Lei avrebbe potuto curarsi e vivere, avrebbe potuto vedere suo figlio giocare e ridere, avrebbe potuto...

Adesso, a distanza di cinque mesi, la giudice Maria Teresa Arena, che nel frattempo si è trasferita in Cassazione, a Roma, ha depositato le motivazioni di quella sentenza. E sono 79 pagine di dolore. In cui si ripercorre questo rosario di pianto con le donne che ebbero relazioni con De Domenico, in sentenza ne sono scalettate tristemente sette e alcune finirono contagiate, con i figli avuti da più relazioni, per fortuna tutti sani, con le storie di insulti e percosse che l’uomo - lo scrive in maniera chiara la giudice -, ha inflitto a più d’una donna nel corso della sua esistenza. E si parla anche del grande coraggio della sorella della vittima, anche lei avvocata, che con la sua denuncia in Procura smosse le acque nell’assordante silenzio in cui era piombata questa amarissima storia. Le motivazioni in sentenza spiegano che addirittura De Domenico ha contratto la malattia nei primi anni 90, quando ebbe una relazione con una donna di nazionalità straniera, poi deceduta. E da quel momento non si è curato minimamente di avvertire le successive partner in giro per l’Italia.

Visto che si tratta di una conferma della sentenza di primo grado la giudice Arena in un passaggio per esempio scrive, affermando tra l’altro dell’acquisizione delle prove durante il processo, per quattro donne contagiate: «I primi giudici, in esito alla articolata e complessa istruttoria dibattimentale hanno ritenuto provato, oltre ogni ragionevole dubbio, l’assunto accusatorio in relazione ad entrambi i delitti ascritti al De Domenico. La sentenza impugnata non merita affatto le censure mosse dalla difesa. Con motivazione ampia e congrua, passando in rassegna analiticamente tutti gli elementi acquisiti nel corso della istruttoria dibattimentale, in un percorso logico motivazionale che questa Corte condivide appieno si da intendersi integralmente richiamato, i primi giudici hanno ritenuto provato che De Domenico abbia trasmesso l’infezione da HIV all’avvocata G. (ma prima di lei alla ... e poi alla ... e alla ...), e che ciò abbia fatto nella piena consapevolezza di essere sieropositivo. La Corte di assise - prosegue la giudice -, ha ritenuto che le condotte poste in essere dall’imputato siano state sorrette dal dolo eventuale sulla scorta di plurimi elementi ritenuti convergenti nel dimostrare la consapevolezza di esporre le donne al rischio del contagio. In tal senso si è evidenziato come De Domenico, consapevole di avere contratto la malattia da molti anni non ha informato di ciò ,in specie S.G., consumando con la stessa rapporti sessuali non protetti per un lungo periodo, cosi implementando la probabilità di trasmetterle il virus. I primi giudici hanno poi valorizzato il comportamento tenuto dall’imputato anche nel periodo in cui l’avvocata G. cominciò a manifestare quella sintomatologia che palesava l’avvenuto contagio, comportamento improntato al silenzio ed alla menzogna che ha caratterizzato tutti i suoi legami. A parte quanto accaduto con la ..., mai, infatti, De Domenico ha informato della propria condizione di sieropositivo le donne con le quali si è sposato o ha convissuto; relazioni più o meno durature. Con costoro, invero, é dato pacificamente acclarato, De Domenico ha intrattenuto rapporti sessuali, sempre non protetti, per sua espressa richiesta, e ciò ha fatto sia prima che dopo quello che la difesa considera uno spartiacque ossia il “primo” esito positivo del test HIV al quale l’imputato si sarebbe sottoposto a dicembre 2010, in concomitanza con la scoperta della sieropositività della sua compagna dell’epoca, ...».

IL PROCESSO 

Il 19 marzo scorso la sezione penale della corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Carmelo Blatti, con a latere la collega Maria Teresa Arena, che ha scritto le motivazioni depositate ieri, ha confermato integralmente la sentenza di primo grado e inflitto ventidue anni di reclusione al cosiddetto “untore”, il 60enne Luigi De Domenico, ritenuto responsabile del reato di omicidio volontario dell’allora compagna, l’avvocata 45enne S.G., morta per Aids il 18 luglio del 2017. Quindi, anche per i giudici di secondo grado nonostante sapesse di essere affetto da Aids, non disse mai alla donna della sua sieropositività, facendole contrarre la malattia rivelatasi successivamente fatale.

In assise d’appello il sostituto procuratore generale Maurizio Salomone per l’accusa aveva chiesto la conferma integrale della condanna di primo grado, e analoga richiesta era stata avanzata dagli avvocati di parte civile, Bonni Candido ed Elena Montalbano. L’imputato nell’intera e lunga vicenda è stato assistito dall’avvocato Carlo Autru Ryolo. Era la seconda volta che una corte d’assise stabiliva la colpevolezza di De Domenico. A marzo si trattava del processo bis perché il primo (che aveva visto la condanna sempre a 22 anni per l’uomo) aveva registrato l’annullamento in appello nel dicembre del 2022 per la vicenda dei giurati che componevano la corte e avevano superato i 65 anni d’età, sollevata a suo tempo dall’avvocato Autru Ryolo. Una problematica che era stata poi superata dalla Cassazione.