Telefonini e droga in carcere a Barcellona, la Cassazione annulla l’ordinanza di custodia per Antonella Campagna
La sesta sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza di custodia a carico della dottoressa messinese 42enne Antonella Campagna, che a marzo scorso fu clamorosamente arrestata con l’accusa di aver introdotto all’interno del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, insieme all’infermiera 63enne Maria Rosa Genovese, alcuni telefonini e della droga.
I giudici romani hanno accolto il ricorso dei suoi difensori, gli avvocati Massimo Rizzo e Giuseppe Irrera, e hanno disposto un nuovo pronunciamento del tribunale del riesame di Messina sulla vicenda. Ovviamente in questa fase («... annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Messina...»), non conosciamo le motivazioni della decisione adottata, che saranno rese note più avanti.
Le due professioniste sanitarie, in servizio all’Asp di Messina, erano state arrestate il 20 marzo scorso con l’accusa di avere introdotto illegalmente nell’istituto carcerario di Barcellona P.G., in concorso, tre panetti di hashish, telefonini di varie tipologie, e altri accessori per telefoni e numerose sim, tanto da far ipotizzare che gli stessi apparecchi e la sostanza stupefacente, fossero destinati ai detenuti internati.
Questa è l’ipotesi d’accusa avanzata dalla Procura di Barcellona diretta da Giuseppe Verzera, che aveva poi portato il gip Giovanni De Marco ad emettere l’ordinanza di custodia cautelare a loro carico, ordinanza poi confermata dai giudici del Riesame di Messina. Ma adesso, con la decisione della Cassazione, il quadro è cambiato. Fino ad oggi infatti sia il gip che i giudici del Riesame avevano parlato di «gravi ed univoci indizi di reità a carico di entrambe le indagate» e di sussistenza «delle esigenze cautelari per il rischio di reiterazione del reato».
Una tesi questa, che sin dal primo momento è stata fortemente contestata dai difensori della dottoressa, gli avvocati Rizzo e Irrera («la dott.ssa Campagna ha sempre affermato la sua totale estraneità ai fatti»). I quali nel loro ricorso, scrivono tra l’altro: «Risulta decisamente inverosimile, infatti, che un’attività illecita sistemica, programmata e messa in piedi da più soggetti, tra cui anche diversi pubblici ufficiali infedeli e compiacenti, si esaurisse, in sostanza, nelle modalità ricostruite dal Collegio peloritano, cioè nel passaggio attraverso il varco del metal detector di due soggetti, in fila, con il compito di passarsi una borsa contenente il materiale illecito al di fuori dell’apparato di controllo, sotto lo sguardo dell’agente di polizia penitenziaria preposto al controllo, tentando di approfittare di una sua distrazione». Ed ancora: «La dott.ssa Campagna prende in mano la busta verde e la deposita nell’armadietto che le era stato assegnato soltanto quando la Genovese le chiede espressamente di fare ciò, sottolinea l’agente Ricciardello (che era di turno al metal detector, n.d.r.). Il collegio messinese, in merito a tale condotta, afferma che le due odierne coindagate avrebbero ordito il piano di occultare la busta verde all’interno dell’armadietto in uso all’odierna ricorrente, laddove fosse fallito il primo tentativo di introdurlo nell’area detentiva dopo avere eluso il controllo al varco del metal detector. Anche questo argomento si palesa gravemente illogico. Le coindagate, infatti, non potevano avere alcuna certezza su ciò che l’agente preposto al controllo avrebbe fatto nel momento in cui il metal detector segnalava la presenza di oggetti sospetti».