Le dichiarazioni dell’ex collaboratore Avola al vaglio del gip di Caltanissetta
È stata un’udienza fiume quella dell’ex collaboratore di giustizia Maurizio Avola resa nell’ambito dell’incidente probatorio davanti al Gip nisseno, nel procedimento nato dalle sue dichiarazioni a partire dal 31 gennaio 2020 e che vede indagati, oltre a lui, Aldo Ercolano, Marcello d'Agata ed Eugenio Galea. Fino ad ora sono oltre otto le ore di interrogatorio sostenute dall'ex killer catanese: lo scopo è quello indicato dal gip Santi Bologna, cioè raccogliere elementi per valutare la richiesta di archiviazione della procura nissena delle indagini avviate proprio a seguito delle dichiarazioni del sicario del clan Santapaola-Ercolano in merito alle stragi di Capaci e via d'Amelio.
Ieri le domande sono state poste dal legale di Avola, l’avvocato Ugo Colonna. Quest'ultimo, secondo quanto riportato da LaPresse, avrebbe subito un furto nel suo studio romano la notte tra il 30 e il 31 maggio: ad essere trafugato sarebbe stato il computer personale del difensore da un uomo con un cappellino e con il viso coperto da una mascherina chirurgica. Come si legge nell'agenzia, le telecamere interne avrebbero ripreso l'uomo mentre si sarebbe introdotto nei locali con una torcia in mano. Ad indagare è la polizia e la magistratura capitolina.
Tornando alla mattinata di ieri, il focus è stato posto sulla fase preparatoria dell’omicidio del giudice Giovanni Falcone ed è emersa la figura del 'forestiero' che Avola avrebbe incontrato a casa di Aldo Ercolano, uomo d’onore catanese e all’epoca rappresentante della famiglia mafiosa come vice del boss latitante Nitto Santapaola.
Il soggetto indicato da Avola sarebbe stato anche un maestro con gli esplosivi e avrebbe addestrato alcuni membri della fazione corleonese.
Nell’ultima fase dell’udienza è cominciato l’esame del procuratore aggiunto Pasquale Pacifico. Il magistrato ha focalizzato diverse domande sulla frattura e la fasciatura removibile. Dopo di lui sarà il turno di Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, dell’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino. E poi anche dei difensori degli indagati.
Le informative della Dia sul sopralluogo di Avola in via d'Amelio
Avola, rispondendo sempre alle domande del suo legale, ha nuovamente descritto i giorni precedenti all'attentato in via d'Amelio: un racconto già affidato, ricordiamo, ai giornalisti Michele Santoro e Guido Ruotolo nel libro 'Nient’altro che la verità'.
Una ricostruzione che il procuratore della Repubblica di Caltanissetta Salvatore De Luca e il procuratore aggiunto Pasquale Pacifico non ritengono credibile. Secondo i magistrati, infatti, è “assai probabile” che le dichiarazioni di Avola “possano essere state eterodirette da parte di soggetti, non identificati sulla scorta delle indagini in corso, interessati a porre in essere l’ennesimo depistaggio”. Avola aveva affermato di essere stato lui a caricare la macchina, la Fiat 126 che rubò Gaspare Spatuzza, di esplosivo, sconfessando ciò che disse lo stesso ex boss di Brancaccio rispetto alla presenza di un uomo “non di Cosa nostra” all'interno del garage in via Villasevaglios.
Tuttavia dai riscontri era emerso che in quei giorni Avola avesse un braccio ingessato: una condizione alquanto insolita per imbottire di esplosivo l’autobomba.
La procura di Caltanissetta, per questi motivi, non gli crede e i consulenti nominati dai magistrati non hanno dubbi: è “impensabile” e “inverosimile” che Avola abbia rimosso il gesso pochi giorni dopo essersi fratturato il polso, il 7 luglio del 1992. Ed è “improbabile” che con un tutore mobile abbia partecipato alle attività di preparazione della strage di via d’Amelio, solo 12 giorni dopo, sia perché ogni piccolo movimento sarebbe stato “estremamente doloroso”, sia perché la frattura scomposta non sarebbe guarita.
I pm hanno aperto un fascicolo per tentare di individuare le origini delle dichiarazioni di Avola, indagato per calunnia e autocalunnia. Dal marzo del 2022, la prima contestazione è stata estesa anche all’avvocato Colonna.
Come riportato da alcune informative della Dia depositate agli atti dell’inchiesta della procura di Caltanissetta, di cui alcuni stralci sono stati pubblicati sul 'Fatto Quotidiano', già durante i sopralluoghi eseguiti vicino a via d'Amelio gli investigatori avevano notato “un atteggiamento di eccessiva partecipazione propositiva da parte del difensore, il quale spesso sollecitava il proprio assistito nella ricostruzione delle varie fasi degli eventi”. Avola, riporta la Dia, non è stato in grado di condurre gli inquirenti al garage di via Villasevaglios, dove – secondo il killer dei fratelli Graviano Gaspare Spatuzza – venne preparata l’autobomba per uccidere il giudice Paolo Borsellino. Quel giorno gli investigatori notarono che “Colonna spesso interveniva per cercare di sollecitare Avola e di supportarlo in presenza di evidenti falle nella sua ricostruzione dei fatti”.
La relazione tra Avola e l'avvocato Colonna
Per gli analisti della Dia, la relazione tra Avola e Colonna va “ben oltre il semplice rapporto tra assistito e legale di fiducia”: gli inquirenti hanno indagato su quelle che ritengono "alcune anomalie", tre per la precisione.
La prima risalirebbe al 2004, quando il legale accettò di far da garante del mutuo acceso dall’ex moglie di Avola per l'acquisto di un appartamento. Per i magistrati si tratta di un “comportamento che certamente esorbita da un mero rapporto professionale”.
Colonna, sentito dal 'Fatto', ha spiegato di essere "il tutore di Avola, gestisco i suoi beni dal 1994: ecco perché ho fatto da garante. Solo che la Dia omette di riferirlo, nonostante sia facilmente riscontrabile”.
La seconda 'anomalia' individuata dagli inquirenti è localizzata dopo l'uscita dal carcere di Avola, il 10 gennaio del 2020: il 20 dello stesso mese, l'ex collaboratore di giustizia iniziò a lavorare per una grossa società di costruzioni. A procurargli quel posto fu sempre l’avvocato Colonna. “Il titolare di quella ditta è un mio fraterno amico, gli ho chiesto un favore”, ha detto il legale.
Dalle indagini degli inquirenti è emerso anche che l'avvocato ha affittato e pagato le spese dell’appartamento in cui Avola è andato ad abitare dopo essere tornato in libertà: un conto che tra il 2020 e il 2022 ammonta a 22.800 euro. “Non si comprende perché Colonna abbia stipulato i suddetti contratti di locazione, se sia stato spinto da motivazioni di carattere personale, se abbia agito solo al fine di preservare l’identità dell’ex collaboratore, o vi siano altre ragioni”, hanno scritto gli investigatori.
In più occasioni, hanno riportato gli investigatori, Avola ha parlato del denaro che avrebbe ricevuto dal suo avvocato, circostanza sempre negata da quest'ultimo.
"Quando Ugo mi dà soldi… mi fa i regali, diciamo così! Lui lo sa che non ci posso arrivare, né ora né mai”, ha raccontato Avola a un’amica. “Cinquecento me li ha dati Ugo”, ha spiegato in un’altra occasione. Secondo la Dia, i soldi arrivavano quasi sempre in contanti, visto che le dazioni “non sono state riscontrate documentalmente”.
E poi ancora: il pentito, parlando con la sua ex moglie, ha sostenuto di aver ricevuto 13 mila euro come “proventi per la vendita del libro” di Santoro; ma il giornalista ha spiegato di aver dato ad Avola al massimo 1.500 euro a titolo di donazione, dato che l'ex killer aveva ceduto gratuitamente i diritti della sua intervista.
Chi ha dato allora queste cifre ad Avola? E per quale motivo?
L'assassinio del capo della Banda della Magliana e gli omicidi per conto dei servizi
"Ho commesso degli omicidi fuori dalla Sicilia per conto dei servizi segreti prima di essere arrestato (il 28 febbraio 1993, ndr), ma sono cose troppo gravi ed io non ne posso parlare perché rischio di scomparire dalla sera alla mattina" ha detto Avola durante l’udienza, come riportato dall’agenzia stampa Agi. L’ex killer ha poi raccontato una versione alternativa sull’omicidio di Enrico De Pedis: il 2 febbraio 1990 venne ucciso con una raffica di proiettili in via del Pellegrino, a due passi da Campo de’ Fiori.
De Pedis, appena uscito da una gioielleria, venne affiancato da due uomini in moto. A sparare fu quello seduto sul sellino posteriore, Marcello Colafigli, detto “Marcellone”, poi finito in un manicomio criminale da cui è uscito senza lasciare traccia. A guidare la moto era invece Roberto D’Inzillo, 17 anni, neofascista.
L'ex collaboratore di giustizia Avola ha dato un'altra versione: "Renatino De Pedis fu ucciso con un colpo di pistola alle spalle da Aldo Ercolano dopo una lite su questioni di soldi che De Pedis riciclava ed erano soldi in cui era interessata Cosa nostra catanese". Prima dell'incontro a Roma con De Pedis, Avola ha precisato che era stata "chiesta e ottenuta l'autorizzazione preventiva dai palermitani". "Accompagnai io Aldo Ercolano, partimmo per Roma e lui lo uccise. Quando De Pedis si girò e se ne andò, lui (Ercolano, ndr) gli sparò".