La strage, i regali, il mutuo e il libro. Quei soldi dall’avvocato Colonna al pentito Avola
Due anni di affitto pagato, un lavoro ottenuto subito dopo la scarcerazione, la garanzia sul mutuo acceso dalla sua ex moglie. Ogni tanto, poi, ci sono alcuni “regali” in contanti. Va “ben oltre il semplice rapporto tra assistito e legale di fiducia” la relazione tra il pentito Maurizio Avola e l’avvocato Ugo Colonna. A sostenerlo sono gli investigatori della Dia, in alcune informative depositate agli atti dell’inchiesta della procura di Caltanissetta, che da più di quattro anni indaga sulle dichiarazioni del collaboratore. Ex killer del clan dei Santapaola di Catania, Avola si è pentito nel 1994: tra il 2019 e il 2020 – quindi dopo quasi 26 anni di collaborazione con la giustizia – ha sostenuto per la prima volta di aver partecipato alla strage di via d’Amelio. Un racconto affidato ai giornalisti Michele Santoro e Guido Ruotolo, che lo hanno riportato nel libro Nient’altro che la verità, e poi ripetuto davanti ai magistrati. Una ricostruzione che il procuratore Salvatore de Luca e l’aggiunto Pasquale Pacifico non ritengono credibile. Secondo i pm, infatti, è “assai probabile” che le dichiarazioni di Avola “possano essere state eterodirette da parte di soggetti, non identificati sulla scorta delle indagini in corso, interessati a porre in essere l’ennesimo depistaggio”.
La procura aveva documentato come il 18 luglio del 1992, il giorno prima della strage, Avola non si trovasse a Palermo ma a Catania, con un braccio ingessato a causa di una frattura al polso. Anche per questo motivo i pm volevano archiviare l’indagine. Il gip Santi Bologna, però, ha rigettato la richiesta, ordinando nuovi approfondimenti. A cominciare da una perizia medica sul polso di Avola: l’ex killer, infatti, sostiene che all’epoca si era fatto sostituire il gesso con una fasciatura mobile, in modo da poter partecipare all’eliminazione di Paolo Borsellino. Una versione definita “possibile” dai periti nominati dal giudice, ma che i consulenti dei pm considerano “improbabile”.
Due pareri medici opposti, che sono stati illustrati nelle scorse settimane, durante l’incidente probatorio ordinato dal gip. Ieri, a Caltanissetta, è stato lo stesso Avola a parlare: un’audizione fiume, che proseguirà ancora oggi, in cui il pentito ha ripetuto la sua versione. Un racconto che continua a non convincere gli inquirenti.
Parallelamente, infatti, i pm hanno aperto un fascicolo per tentare d’individuare la genesi delle dichiarazioni di Avola, indagato per calunnia e autocalunnia. Dal marzo del 2022, la prima contestazione è stata estesa anche all’avvocato Colonna. Già durante i sopralluoghi compiuti nei dintorni di via d’Amelio con Avola e il suo legale, gli investigatori avevano notato “un atteggiamento di eccessiva partecipazione propositiva da parte del difensore, il quale spesso sollecitava il proprio assistito nella ricostruzione delle varie fasi degli eventi”. Quel sopralluogo è stato deludente: Avola non è stato in grado di condurre gli inquirenti al garage di via Villasevaglios, dove – secondo Gaspare Spatuzza – venne preparata l’autobomba per uccidere Borsellino. Quel giorno gli investigatori notano che “Colonna spesso interveniva per cercare di sollecitare Avola e di supportarlo in presenza di evidenti falle nella sua ricostruzione dei fatti”.
Da quel momento cominciano a indagare per approfondire “alcune anomalie”. Una risale al 2004, quando Colonna accetta di fare da garante del mutuo acceso dall’ex moglie di Avola per acquistare un appartamento: per la procura si tratta di un “comportamento che certamente esorbita da un mero rapporto professionale”. “Io sono il tutore di Avola, gestisco i suoi beni dal 1994: ecco perché ho fatto da garante. Solo che la Dia omette di riferirlo, nonostante sia facilmente riscontrabile”, spiega il legale al Fatto.
“In sostanza se la signora non paga le rate, è Colonna che versa i soldi in banca”, è la sintesi fatta ai pm da Pietro Ruggeri, un pentito della Stidda che ha trascorso alcuni anni nello stesso carcere di Avola. Con lui il boss catanese si confidava: già nel 2015 gli aveva raccontato di essere il killer del giudice Antonino Scopelliti, mentre ai pm lo confesserà solo quattro anni dopo. “Mi ha detto che il suo silenzio era una sorta di assicurazione sulla sua vita e su quella dei figli. Ho compreso che era legato ad una sorta di strategia da lui attuata nel corso della collaborazione: è sempre stato un calcolatore”, ha messo a verbale Ruggeri nel 2017.
Tre anni dopo, il 10 gennaio del 2020, Avola esce definitivamente dal carcere: passano venti giorni e va dai pm per raccontare di aver compiuto la strage di via d’Amelio. Nel frattempo, il 20 gennaio, comincia a lavorare per una grossa società di costruzioni, che fattura una trentina di milioni all’anno e in passato ha vinto appalti importanti, come quello per progettare la tramvia di Erbil, nel Kurdistan iracheno. A procurargli quell’impiego è sempre l’avvocato Colonna. “Il titolare di quella ditta è un mio fraterno amico, gli ho chiesto un favore”, dice il legale. Dalle indagini emerge anche che l’avvocato ha affittato e pagato le spese dell’appartamento in cui Avola è andato ad abitare dopo essere tornato in libertà: un conto che tra il 2020 e il 2022 ammonta a 22.800 euro. “Non si comprende perché Colonna abbia stipulato i suddetti contratti di locazione, se sia stato spinto da motivazioni di carattere personale, se abbia agito solo al fine di preservare l’identità dell’ex collaboratore, o vi siano altre ragioni”, annotano gli investigatori.
“Se Avola si fosse intestato personalmente le utenze sarebbe stato facile rintracciarlo: cosa avrei dovuto fare? Esporlo in questo modo?”, sostiene sempre Colonna. Che poi nega di aver coperto le spese con fondi propri. “Quei soldi vengono da alcune somme del padre di Avola. Vendette alcune case e mi affidò il ricavato, chiedendomi di aiutare il figlio ad aprire una pasticceria, alla fine della sua detenzione”. Una vicenda di cui il pentito non fa mai cenno nelle intercettazioni depositate. In più occasioni, al contrario, Avola parla di denaro che avrebbe ricevuto dal suo avvocato. “Quando Ugo mi dà soldi… mi fa i regali, diciamo così! Lui lo sa che non ci posso arrivare, né ora né mai”, raccontava a un’amica. “Cinquecento me li ha dati Ugo”, spiegava in un’altra occasione. Secondo la Dia quei soldi arrivavano quasi sempre in contanti, visto che le dazioni “non sono state riscontrate documentalmente”.
È parlando con la sua ex moglie che il pentito sostiene di aver ricevuto 13 mila euro come “proventi per la vendita del libro” di Santoro. Il giornalista, però, ha spiegato agli investigatori di aver dato ad Avola al massimo 1.500 euro. E di averlo fatto a titolo di donazione, visto che l’ex killer ha ceduto gratuitamente i diritti della sua intervista. Ricostruzione riscontrata dalle indagini: ad Avola sono stati dati 1.150 euro in due tranche e in un caso il tramite era proprio Colonna. Non c’è traccia, invece, dei 13 mila euro di cui parla nelle intercettazioni. “Versamenti che – annotano gli inquirenti – sono avvenuti con ogni probabilità per contanti in modo da non essere tracciabili”. Chi è che ha dato questi soldi ad Avola? E per quale motivo? O forse il pentito ha “gonfiato” le cifre delle royalties, parlando al telefono con la sua ex moglie? In un’altra occasione, invece, Avola raccontava alla donna di essersi attivato per trovare un lavoro alla figlia, sempre con l’aiuto di Colonna. A un certo punto sembrava quasi vantarsi: “Perché ho le strade giuste, le persone giuste. Però voglio… io se capisco che mi sfruttano, poi mi girano i coglioni! Insomma, tu mi conosci, io non faccio niente per niente”.
Giuseppe Pipitone (Il Fatto Quotidiano)