Carceri, Ardita: ”Se lo Stato arriva in tempo quasi tutti i minori possono essere recuperati”
Prevenzione e assistenza. Sono queste le due strategie da adottare per affrontare il problema sociale delle carceri per minori secondo Sebastiano Ardita. Il procuratore aggiunto di Catania, per anni dirigente del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, ha rilasciato un’intervista a Il Dubbio in merito al tema dei minorenni detenuti. “La repressione da sola non basta, ciò che conta, con i minori, è prevenire”. “Occorre far comprendere a tutti che il trattamento penitenziario non è una vacanza ma un diritto che comporta sacrifici per coloro i quali vi partecipano”.
“È chiaro che lo Stato deve operare in primo luogo con la prevenzione, che consiste anche nel creare le condizioni per superare il disagio da cui prendono forma i reati che si vogliono evitare. Con i ragazzi, specie quelli che hanno delle personalità in via di formazione, questo percorso può dare dei risultati”, ha affermato Ardita. “Nel trattamento dei minori spesso si tratta di porre le basi di una giusta educazione, prima ancora che operare una vera e propria rieducazione. E per questa ragione l'ordinamento da tempo consente delle forme di messa alla prova e di perdono giudiziale. In questo modo si può rimettere sulla strada giusta chi ha sbagliato, evitando il percorso della 'punizione' con il suo carico di conseguenze anche psicologiche”.
Secondo il magistrato catanese “i minori potrebbero essere quasi tutti recuperati se lo Stato riuscisse ad arrivare in tempo, ossia prima che la scelta di delinquere si trasformi in una via senza ritorno, prima che nella dimensione del delitto si formi l'idea di potere raggiungere il successo e di avviare una carriera criminale”.
Rispetto all’abbassamento dell’età imputabile che qualcuno ha proposto Ardita ha risposto che “potrebbe significare ricercare un deterrente a tutela della società, ma dal punto di vista della esperienza di vita un 14enne rimane un bambino”. Il magistrato si è espresso anche sulle violenze all’istituto per minori “Beccaria”, dove agenti penitenziari sono stati arrestati con l’accusa di torture e pestaggi. Ardita ha commentato affermando che episodi come questo “non sono frutto del caso, ma conseguenze prodotte da un insieme di scelte sbagliate che stanno piuttosto a monte”.
“Sono fatti inqualificabili e meritevoli di una adeguata ed esemplare punizione”, ha aggiunto. “Il Dipartimento giustizia minorile non è evidentemente in grado di disporre di una quantità di personale che consenta un adeguato ricambio del personale più esperto che va in pensione; né è in grado di assi curare periodi adeguati di affiancamento e di formazione ai nuovi assunti. Peraltro l'approccio di trattamento penitenziario con i ragazzi - ha spiegato il procuratore aggiunto di Catania - presuppone un surplus di pazienza e di dedizione. Se da un lato si tratta pur sempre di giovani, e dunque di personalità non strutturate su cui è possibile incidere con maggiori possibilità di successo, dall'altro le intemperanze tipiche dell'età immatura e lo spirito di contestazione che ne consegue meritano un approccio di esperienza”.
Alla domanda se è adeguata la formazione di chi lavora in questi istituti Ardita ha risposto che “nel caso concreto non la è stata affatto, sono stati mandati degli agenti ragazzini senza formazione ad affrontare le difficoltà e le intemperanze di detenuti di poco più giovani di loro. Non c'è bisogno neanche di spiegare cosa possa essere successo”. Prevenire questi orrori di Stato però è possibile secondo il magistrato.
“C’è una intera legge di 90 articoli, l'ordinamento penitenziario, che se applicata correttamente serve a trovare un punto di equilibrio tra sicurezza, rieducazione e rispetto delle persone. Per fare si che la legge non rimanga una regola vuota come le grida manzoniane, occorre che lo Stato prenda in mano la situazione; che con autorevolezza e con competenza sia in grado di garantire condizioni civili di detenzione, ma al tempo stesso di pretendere il rispetto delle regole. La repressione cieca e la sindacalizzazione dei benefici - ossia la pretesa di assicurare sconti di pena anche a chi rifiuta le regole dello Stato - sono atteggiamenti opposti e sbagliati che convivono nella dimensione di un carcere incivile e fuori controllo”.