Il teatro che smonta ‘La grande menzogna’ delle verità ufficiali. Sul palcoscenico dell’Annibale in scena l’invettiva di Fava sul depistaggio Borsellino
Di Tonino Cafeo – Il palcoscenico del Teatro Annibale Maria di Francia è colmo di manichini da sartoria senza testa. Al centro, un uomo dall’eleganza sobria, in grigio, camicia bianca e cravatta, si confessa al pubblico con ironia sempre più amara, fino al sarcasmo e oltre.
Comincia così La Grande menzogna, monologo scritto e diretto da Claudio Fava, che ha aperto domenica scorsa a Messina la rassegna teatrale Il miglior tempo della nostra vita, che la storica compagnia Nutrimenti Terrestri ha voluto offrire al pubblico per i propri primi quarant’anni di attività.
Protagonista del lavoro, David Coco, (già interprete di Ninni Cassarà nella miniserie tv Giovanni Falcone- l’uomo che sfidò Cosa Nostra e di Bernardo Provenzano nel film L’ultimo dei Corleonesi) nei panni di Paolo Borsellino.
Un Borsellino che la morte ha sciolto dagli obblighi e dai doveri civili della funzione di magistrato e che può finalmente riflettere lucidamente non solo e non tanto sui suoi ultimi istanti ma soprattutto su quello che è accaduto subito dopo.
La grande menzogna del titolo fa infatti riferimento alla prima verità ufficiale confezionata intorno alla strage di via D’Amelio, in cui, il 19 luglio del 1992, trovarono la morte il magistrato del pool antimafia e i cinque uomini della scorta. Un depistaggio in piena regola che inventò un colpevole e lo identificò in Vincenzo Scarantino, fino ad allora solo un piccolo criminale di quartiere, noto alle forze dell’ordine per reati minori, e improvvisamente balzato sulle prime pagine dei giornali come collaboratore di giustizia e grande accusatore di Cosa Nostra.
Scarantino, ritenuto credibile da Giovanni Tinebra, allora Procuratore della Repubblica di Caltanissetta e titolare delle indagini su Capaci e via d’Amelio, fu condannato a 18 anni di reclusione ma, nel 1998, ritrattò le proprie precedenti dichiarazioni affermando di essere stato maltrattato e minacciato durante la detenzione nel supercarcere di Pianosa e accusando l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera di averlo costretto a confessare il falso.
Ciò che accadde in seguito, il pentimento di Gaspare Spatuzza, la chiamata in causa del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, la riapertura dell’inchiesta e il susseguirsi dei processi fino al Borsellino quater, è noto alle cronache ma non è il focus del testo di Claudio Fava. Il suo Paolo Borsellino, che David Coco ricorda in maniera impressionante per fisicità, postura, senso dell’umorismo, riannoda sì le fila della storia con i protagonisti che ha sotto gli occhi in forma di manichini, ma più che altro approfitta del suo essere oltre, dell’essere ormai una pura coscienza che si muove in uno spazio limbico, per farsi e nello stesso tempo fare al pubblico quelle domande che ognuno di noi- imbrigliato nel suo ruolo sociale- non sa o non può fare.
Se Pier Paolo Pasolini mezzo secolo fa, grazie al suo essere poeta, poteva gridare di conoscere la verità sulle stragi ma di non avere le prove, il giudice Borsellino, questo giudice Borsellino, di prove ne ha tante ma può finalmente chiedersi perché noi, la società civile, non le vediamo e ci accontentiamo di restare nella confort zone delle verità ufficiali, in cui ci sono da una parte gli eroi, destinati a diventare figurine da messa cantata e dall’altra tutti gli altri che, celebrando il sacrificio dei primi, possono continuare a vivere come se niente fosse.
“In questo paese fa comodo pensare che dietro la mafia ci sia solo mafia. Che le ombre sono solo macchie di luce. Che dopo ogni notte ritorna il giorno e si porta via i pensieri storti, i sospetti, i silenzi…”. riflette amaro il Borsellino di David Coco.
Claudio Fava, che abbiamo raggiunto al telefono, conferma: “Accreditare la versione di Scarantino, cioè quella della vendetta mafiosa, quella più semplice, che non desta ansie, preoccupazioni, che non coinvolge nessun terzo incomodo è un modo per fermarsi al livello più elementare, più compatibile. Quindi accanto a chi ha materialmente compiuto il depistaggio c’è chi lo ha accompagnato perché era la soluzione meno conflittuale. Come dire, meno sappiamo di questa vicenda meno ci complichiamo la vita in termini di rilettura della storia della Repubblica”.
Ed è questo il vero bersaglio di Claudio Fava e del suo personaggio. L’attitudine dell’antimafia istituzionale alla rimozione dei conflitti e alla costruzione di verità consolatorie, buone per i funerali di stato e per le cerimonie ufficiali. Ma il teatro può opporsi alle autocelebrazioni, alla pratica delle commemorazioni, opponendo la verità storica a quella, sempre parziale, dell’ufficialità e “invitando alla presa di coscienza, all’assunzione di responsabilità collettiva, alla partecipazione democratica”, conclude Fava, che affida al suo Borsellino il compito di scuotere, di stupire per chiamare a un diverso protagonismo chi fino a oggi si è accontentato di partecipare alle marce del 19 luglio senza farsi troppe domande.
“Il problema siete voi”. Si rivolge così al pubblico un giudice furente proprio sul finale: “Il prossimo anno non portatemi fiori, regalatemi finalmente la verità”.