La tragica morte del messinese Kevin Lagana’ – “Fermi, devono passare altri due treni”: le telefonate ignorate dall’addetto Rfi
di Elisa Sola - Tre telefonate in 26 minuti. L’ordine di «non procedere con i lavori» ribadito in due conversazioni che si susseguono. E poi lo schianto in diretta telefonica. I rumori di sottofondo, durante la terza chiamata, che ricordano quelli di una bomba.
Sono racchiusi in cinque registrazioni — di altrettante comunicazioni — gli elementi di prova più importanti che la procura di Ivrea ha acquisito prima di consegnare, nelle scorse ore, gli avvisi di garanzia ai primi due indagati (Andrea Gibin, caposquadra di Si.gi.fer e Antonio Massa, tecnico di Rfi) della strage di Brandizzo. Rispondono entrambi, per la morte dei cinque operai avvenuta la notte del 30 agosto, di omicidio plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale.
Secondo la squadra di investigatori — Polfer e Guardia di finanza — coordinata dalla procuratrice Gabriella Viglione, si starebbe delineando in modo sempre più netto uno dei punti chiave dell’indagine. «Gli operai non dovevano stare su quel binario, a quell’ora», continuano a ripetere dal terzo piano del palazzo di giustizia. Non sarebbe esistita alcuna autorizzazione scritta per potere intervenire. Ma non solo. Dalle ultime telefonate registrate, emergerebbero dettagli più significativi. Massa, che aveva il ruolo di “scorta” (il tecnico di Rfi che accompagna la squadra di operai sui binari) avrebbe autorizzato verbalmente il “via” alle operazioni sul binario della morte senza avere ottenuto alcun via libera — nemmeno oralmente — dalla sala di controllo della stazione di Chivasso, dove la tecnica di Rfi (non indagata e sentita come testimone) per due volte, al telefono, gli aveva “vietato” di dare l’ok per iniziare i lavori.
La prima telefonata avviene tra le 23.26 e le 23.29. «Possiamo cominciare?» chiede Massa alla tecnica di Chivasso, che risponde: «State fermi. Deve ancora passare un treno, che è in ritardo. Aggiorniamoci dopo».
Ma nessuno sarebbe stato fermo. Gli operai a Brandizzo ricevono l’ok (orale) dai loro superiori e iniziano a operare sui binari. Dai filmati delle telecamere della stazione di Brandizzo e dai rumori di sottofondo che si sentono nella seconda telefonata (poco dopo le 23.30) si vedono e sentono i cinque operai spingere, con attrezzi rumorosi, sul binario.
«Adesso possiamo andare?», chiede, in questa seconda chiamata, Massa all’addetta di Chivasso. E lei per la seconda volta risponde “no”, ribadendo un concetto già espresso nella comunicazione precedente: «Bisogna aspettare dopo la mezzanotte. Ci sono due fasce orarie possibili in cui lavorare dopo quell’ora, o prima o dopo l’una e mezza, ora in cui passerà un altro treno. Scegliete voi quale preferite». Gli operai sono sempre sul binario. La terza telefonata, brevissima, è quella della strage. Avviene in diretta. Si sente un’esplosione. Massa e l’addetta di Chivasso in silenzio. Cade la linea. Le due telefonate successive, sono strazianti. «Sono morti tutti! Sono morti tutti sui binari!», urla Massa, in lacrime. Ancora urla e dolore. E poi il nulla. I corpi di Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Saverio Giuseppe Lombardo, Giuseppe Aversa e Kevin Laganà sono senza vita, lontani, lungo due chilometri di binario.
«Quando è successo tutto ero al telefono con la collega di Rfi, stavo compilando i documenti», ha spiegato Massa, sentito subito dopo la strage come persona informata sui fatti. Gli interrogatori non sono ancora iniziati. Ma al di là delle singole posizioni da valutare, c’è altro. Dopo i blitz della finanza alla Si.gi.fer (la ditta di Borgo Vercelli in cui lavoravano le vittime) e negli uffici di Rfi, gli inquirenti cercano elementi di prova per dimostrare che la “prassi” di iniziare i lavori prima del rilascio dell’autorizzazione scritta non sarebbe stata, in generale, infrequente. Se la tesi verrà provata, rischieranno di essere indagate anche Rfi e Si.gi.fer come società.
Intanto, mentre i familiari delle vittime si preparano a costituirsi parti offese (come lo zio e il padre di Laganà), viene chiesta loro pazienza, dalla procura, per i tempi dei funerali. Non saranno imminenti: l’identificazione dei resti dei corpi e le analisi dei Dna richiedono tempo. I familiari hanno chiesto di vederli, quei resti. Sono stati, finora, dissuasi: la scena sarebbe troppo straziante per essere tollerata. Fonte: repubblica.it
Keniv Laganà aveva 22 anni ed era originario di Messina.
Era originario di Messina ma si era trasferito in Piemonte Kevin Laganà, 22 anni, la vittima più giovane dell'incidente ferroviario avvenuto nella notte tra Chivasso e Brandizzo nel quale hanno perso la vita i cinque operai che stavano lavorando sulla ferrovia.
Dopo aver terminato la scuola aveva cominciato a lavorare, nel 2019, per la Sigifer di Borgo Vercelli un'impresa nel settore della costruzione e manutenzione di impianti ferroviari. Era molto legato alla famiglia, in particolare al padre, al quale dedica su Facebook parole di affetto intenso.
Era originaria della Sicilia anche un'altra delle vittime dell'incidente: Giuseppe Saverio Lambardo, 52 anni. La famiglia di Lombardo è di Marsala e come Laganà viveva a Vercelli
L'azienda
La SI.GI.FER. l'azienda di Borgovercelli per la quale lavoravano i cinque operai è nata come ditta individuale nell'ottobre del 1993 su iniziativa della famiglia Sirianni. Nel novembre del 2000, per permettere all'azienda di ampliare il proprio settore di attività con nuove possibilità, sia come investimenti che come lavori futuri, è divenuta società in nome collettivo, con i due fratelli Sirianni, Giuseppe e Franco come soci.
Nel 2016 la società è stata trasformata da società in nome collettivo a società a responsabilità limitata. Franco Sirianni, che attualmente ricopre il ruolo di direttore generale dell'azienda, è stato per diversi anni, a partire dal 2017, presidente della società di calcio di Borgovercelli, la Borgopal, che militava nel campionato di Promozione.