I retroscena del “sistema Siracusa”. La corruzione giudiziaria: «Amara il “cervello”, Calafiore “genuino”, Longo “esecutore”»
Di Nuccio Anselmo - «... una serie di fatti e situazioni “anomale” che vedevano sistematicamente coinvolti il loro collega Giancarlo Longo e i due avvocati del foro aretuseo Giuseppe Calafiore e Piero Amara». Comincia pressappoco così. Tra le prime pagine delle motivazioni della sentenza che a Messina nel settembre 2022 ha messo un primo punto fermo sul “sistema Siracusa”, c’è scritto della genesi di un modo di piegare la funzione giudiziaria ai propri interessi privati, che poi s’è cosparso a macchia d’olio in tutta Italia finendo sui tavoli di più procure e tra i banchi dilaniati del precedente Csm. La grande rete di corruzione giudiziaria messa in piedi dall’avvocato Amara che fu al centro della prima grande inchiesta della Procura di Messina, all’epoca retta da Maurizio de Lucia, sui fatti di corruzione in atti giudiziari. Un sistema collaudato di influenze e patti sporchi che in mano ad Amara e al suo “socio di minoranza”, anche lui avvocato e siracusano, Giuseppe Calafiore, con la complicità iniziale per i primi fatti dell’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, ha praticamente infettato l’Italia e adesso è tema processuale consolidato in vari tribunali d’Italia.
Nei giorni scorsi sono state depositate le motivazioni di quella sentenza del settembre 2022, in cui vennero decise tra l’altro nove condanne. Le ha scritte di suo pugno la presidente della prima sezione penale del tribunale Maria Eugenia Grimaldi. Sono in tutto 157 pagine. Ma Amara e Calafiore non c’erano però in quella lista di imputati del settembre 2022. Sono usciti quasi subito dalla porta giudiziaria di servizio con una serie di patteggiamenti molto travagliati. In queste motivazioni però sono i due convitati di pietra, richiamati quasi ad ogni riga, per la necessità di avere un quadro generale della vicenda.
In queste157 pagine il riferimento iniziale è a quegli otto sostituti della Procura di Siracusa che presentarono un esposto il 24 settembre del 2016 ai colleghi di Messina «senza alcuna mediazione gerarchica e scavalcando quindi il loro procuratore capo e capo dell’ufficio». Un esposto dove parlavano di Longo, Amara e Calafiore. Fu quel coraggioso documento a innescare tutto, a cominciare da un’indagine complicatissima della Guardia di Finanza di Messina.
E sempre parlando di classificazione del “sistema Siracusa” nella sua concretezza, la sentenza nelle motivazioni prende a prestito quella delineata dal pm Antonio Carchietti nella sua requisitoria, con le tre categorie-tipo di azioni: «A tal fine - scrivono i giudici -, appare utile ripercorrere la condivisibile classificazione operata dal Pm nella sua requisitoria sulle tre tipologie di genere cui sono riconducibili, per caratteristiche, i procedimenti artatamente iscritti dal Longo, classificazione che rappresenta la sintesi di come lo stesso abbia asservito la propria funzione giurisdizionale agli interessi di Amara e Calafiore: I procedimenti “specchio”, che Longo si auto-assegnava al solo scopo di “monitorare” ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), legittimando così la richiesta di copia di atti altrui o di riunione di procedimenti; I procedimenti “minaccia”, in seno ai quali sono stati iscritti - con chiara finalità concussiva - soggetti “ostili” agli interessi di alcuni clienti rilevanti dell’avvocato Calafiore; I procedimenti “sponda”, tenuti in vita al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi di consulenza, il cui reale scopo era “servente” rispetto agli interessi coltivati dai clienti dell’avv. Calafiore e alla stessa lauta remunerazione dei professionisti».
L’altro elemento fondante delle motivazioni è la sussistenza del reato associativo («... metodo seguito dai componenti per la realizzazione del programma associativo...»), e c’è chiara anche la gravità della vicenda ENI-Gaboardi («... sotto il profilo associativo deve essere ricordata, per la sua inusitata gravità è perché estremamente significativa...»).
Un altro passaggio-chiave è poi quello sulla vicenda Amara-Calafiore-Verdini-Mineo, che secondo il tribunale però non è qualificabile come finanziamento illecito ai partiti, ma piuttosto come caso di corruzione: «... Può, pertanto, ritenersi provata - scrivono i giudici -, la sussistenza di un rapporto sinallagmatico tra Amara e Calafiore da un lato e il senatore Verdini dall’altro, in forza del quale i primi gli garantivano l’elargizione di somme di denaro (a semplice richiesta e con cadenza mensile), corrisposte dal 2014 all’aprile 2016 per un ammontare complessivo di 300.000 euro... il secondo in cambio si attivava per soddisfare le loro richieste, volte a sfruttare i rapporti privilegiati connessi al suo ruolo di parlamentare per coltivare i loro interessi».
È moto significativa poi la definizione che i giudici danno dei tre protagonisti: «Amara ... il “cervello” del sistema criminale, appare quasi perseguire, anche nella nuova veste di loquace collaboratore di giustizia, strategie volte ad alleggerire le posizioni di taluni “compagni” di strada, specie i più potenti, dai quali ha molto ricevuto, ed al tempo stesso ridurre o sviare l’attenzione dai nodi cruciali delle scelte corruttive».
Ed ancora: «... Calafiore appare più genuino del collega, scarsamente interessato a difendere coloro che solo con Amara si relazionavano e gli erano estranei (si pensi alla vicenda dell’imprenditore torinese Bigotti che era “cliente” di Amara), ed attento semmai a preservare piuttosto i professionisti a lui vicini... Longo ha fornito in termini dichiarativi, al di là dell’ammissione del reato, il contributo conoscitivo più modesto, anche perché effettivamente “esecutore” di piani che gli venivano presentati, spesso ignorando tutti i dettagli dei collegamenti dei procedimenti penali che gestiva con quelli di natura civile ed amministrativa. Ha avuto tutto l’interesse a chiudere la partita della devastante e sistematica corruzione di cui è stato artefice con un patteggiamento nella massima misura edittale possibile e tuttavia a ben vedere ben poco congruo rispetto alla gravità abissale della sua condotta». Fonte: Gazzetta del sud
La sentenza:
Il 27 settembre del 2022 la sezione penale del tribunale di Messina presieduta dal giudice Maria Eugenia Grimaldi ha deciso nove condanne: 6 anni di reclusione per l’imprenditore romano Fabrizio Centofanti; 6 anni e 3 mesi per Gianluca De Micheli; 7 anni per Alessandro Ferraro; un anno e 6 mesi per il giornalista Giuseppe Guastella, direttore del periodico “Il Diario”, che era a libro-paga di Amara. E inoltre al magistrato del Cga Giuseppe Mineo 6 anni e 2 mesi, a Vincenzo Naso 6 anni e 2 mesi, a Salvatore Pace 6 anni e 5 mesi, a Mauro Verace a 6 anni e 9 mesi, all’ex senatore di Ala Denis Verdini 2 anni. Assolti Riccardo Sciuto e Sebastiano Miano. Decisa poi la prescrizione per il notaio ed ex deputato regionale Giambattista Coltraro. A formulare le richieste per l’accusa al processo sono stati i pm Antonio Carchietti e Antonella Fradà, entrambi sostituti della Dda di Messina.