“MESSINA DENARO DISSE DI AVER TRASCORSO IL LOCKDOWN A MESSINA”. IL RACCONTO DI DUE TESTIMONI A “NON E’ L’ARENA”
di EDG - Ennesima puntata del programma settimanale di approfondimento di La7 condotto da Massimo Giletti, Non è l'Arena, dedicata alla latitanza del boss Matteo Messina Denaro. In uno dei servizi andati in onda, sono stati intervistati dal giornalista Silvio Schembri, due persone che avevano incontrato a casa di Lorena Lanceri, la donna arrestata assieme al marito Emanuele Bonafede per aver favorito Messina Denaro, il boss latitante.
A loro si era presentato come un amico di famiglia della Lanceri con il nome di Francesco Salsi, medico anestesista, padre separato di tre figlie, due delle quali abitanti a Palermo. "L'abbiamo conosciuto nel 2018, 2019, mio marito stava male e lui ha pure dato un suo parere medico su una risonanza magnetica", dice la donna sconvolta. "Cenavamo sempre a casa di Lorena, e lui si faceva chiamare Francesco, Franci, dottore, diceva di essere no social, non amava il telefonino...". "Ci disse che abitava a Palermo - continua il marito - Mi ha raccontato pure che nel periodo del lockdown se n'era andato a Messina. Lorena mi ha fatto vedere un messaggio che diceva che era stato un piacere averci conosciuto, ma in questo momento storico lui doveva essere presente per far parte della storia. Cioè nelle equipe mediche per curare il Covid...". A Messina.
Ricordiamo che della presenza di Messina Denaro nella città dello Stretto se ne parlò già in diverse occasioni (leggi articolo sotto). L'ultima in ordine di tempo dopo un blitz alle 5 del mattino dei militari dell'Arma del raggruppamento operativo speciale al Centro Neurolesi sui Colli San Rizzo la mattina del 27 novembre 2019 (quindi prima del lockdown).
Vennero monitorati ingressi, uscite e presenze all'interno del Neurolesi dove personale e pazienti restarono fermi per ore in attesa di novità. La segnalazione sulla possibile presenza del boss latitante a Messina, al Neurolesi in quei giorni era ricoverato un uomo di Castelvetrano, portò alle verifiche del Dna: quel paziente non era "U siccu".
ARCHIVIO - Il superlatitante Matteo Messina Denaro operato in un ospedale di Messina sotto false generalità. La rivelazione del collaboratore Gaspare Spatuzza al processo Borsellino quater.
di Enrico Di Giacomo e Antonio Mazzeo - Il superlatitante Matteo Messina Denaro, capo indiscusso di Cosa Nostra trapanese, sarebbe stato operato in un ospedale di Messina sotto false generalità, protetto a vista dai reggenti della famiglia stragista di Brancaccio. La dirompente rivelazione è giunta all’ultima udienza del processo Borsellino quater contro gli autori della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, in svolgimento presso la Corte d’Appello di Caltanissetta. Autore Gaspare Spatuzza, l’ex boss di Brancaccio responsabile dell’omicidio di padre Pino Puglisi, che dopo essersi convertito in carcere alla fede cristiana è divenuto il collaboratore di giustizia più importante per far luce su alcuni dei misteri delle stragi di Capaci, via D’Amelio, Roma, Firenze e Milano e sul fallito attentato allo stadio Olimpico del 23 gennaio 1994.
Il breve ma inquietante accenno al ricovero nella città dello Stretto dell’imprendibile Matteo Messina Denaro detto Diabolik è stato fatto da Spatuzza rispondendo all’avvocato Fabio Repici, legale di parte civile di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato palermitano. L’avvocato Repici aveva chiesto al collaboratore di giustizia di soffermarsi sulla provenienza di parte dell’esplosivo utilizzato per la sanguinosa offensiva mafiosa del biennio 1992-93.
“Oltre a quello recuperato in mare, sentii dire che l’esplosivo veniva da Messina o da Catania”, ha riferito Gaspare Spatuzza. “In fase di macinatura, sia da dei discorsi che si facevano un po’ il Cosimo Lo Nigro e Fifetto Cannella e l’alto soggetto che era Renzino Tinnirello. A casa si faceva il conto di quello che noi eravamo in possesso… dell’esplosivo che doveva arrivare da fuori… Era esplosivo con gelatina, confezionato in salsicciotti trasparenti… Quindi quell’esplosivo a me estraneo l’ho collegato a quello che potesse arrivare da Messina o da Catania… Ho appreso successivamente alle stragi, che i fratelli Garofalo erano stati coinvolti in una situazione, che dovevano reperire delle armi… E che in tale circostanza era coinvolto il Renzino Tinnirello. Questo credo che riguardasse Catania… Su Messina, inerente all’esplosivo, non mi è stato detto… Non ricordo… C’è un particolare da Messina, però, ma credo che era per una problematica di Matteo Messina Denaro… So un particolare, in cui Matteo Messina Denaro ha subito un intervento agli occhi a Messina… In questa vicenda era coinvolto Nino Mangano… Messina Denaro all’epoca si andò a curare sotto il nome di Giorgio Pizzo, un uomo del nostro gruppo, della famiglia di Brancaccio. Andò a curarsi Messina sotto il controllo di Nino Mangano…”.
Gaspare Spatuzza non ha fornito elementi utili a determinare la data in cui sarebbe stato effettuato l’intervento oculistico al superlatitante trapanese, ma è presumibile che esso si sia verificato in un arco temporale compreso tra la strage di Capaci (23 maggio 1992) e il dicembre 1995, quando con l’operazione antimafia Spartacus finirono in carcere numerosi appartenenti alla cosca di Brancaccio, tra cui proprio l’allora reggente Nino Mangano e quel Giorgio Pizzo che avrebbe prestato il proprio nome e documenti per occultare la vera identità di Messina Denaro. Dopo gli arresti, Gaspare Spatuzza venne promosso a capomandamento in rappresentanza dei fratelli Graviano, con il pieno sostegno, tra gli altri, del superpadrino Diabolik.
Spatuzza, oltre ad autoaccusarsi di una quarantina di omicidi, ha ammesso la propria diretta partecipazione alle stragi, in particolare nelle delicate attività di predisposizione dei potenti ordigni utilizzati. Il collaboratore ha riferito che alla vigilia dell’attentato in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicilio e Antonio Montinaro, fu proprio lui insieme ai mafiosi Fifetto Cannella, Peppe Barranca e Cosimo Lo Nigro a recuperare buona parte dell’esplosivo in un peschereccio ormeggiato nella frazione di Porticello, comune di Santa Flavia. “Ricordo che Fifetto Cannella mi chiese, circa un mese – un mese e mezzo prima della strage di Capaci, di procurargli una macchina voluminosa per recuperare delle cose”, ha verbalizzato Gaspare Spatuzza il 3 luglio 2008. “Ci recammo, pertanto, con l’autovettura di mio fratello a piazza san Erasmo ove incontrammo Peppe Barranca e Cosimo Lo Nigro e dove avremmo dovuto incontrare Renzino Tinnirello, il quale però tardò ad arrivare. Ci recammo quindi egualmente a Porticello, ove trovammo un certo Cosimo di circa 30 anni (persona conosciuta da Cosimo Lo Nigro il cui padre aveva un peschereccio ed usava utilizzare dell’esplosivo per la pesca di frodo, esplosivo che gli forniva proprio il Cosimo in questione) ed assieme a lui ci recammo su di un peschereccio attraccato al molo da dove recuperammo dei cilindri delle dimensioni di cm. 50 per 1 mt. legati con delle funi sulle pareti della barca. Successivamente constatai che al loro interno vi erano delle bombe. Il Cosimoverosimilmente era all’oscuro delle finalità per cui noi ci stavamo approvvigionando dell’esplosivo in questione, avendo a lui detto che serviva al padre di Cosimo Lo Nigro per la pesca di frodo”.
“Il rapporto col Cosimo, per quanto è a mia conoscenza, è durato nel tempo, avendo noi, a partire dalla strage di Capaci in poi, continua necessità di esplosivo per via della campagna stragista che era stata portata avanti da Cosa Nostra”, ha aggiunto Spatuzza. “Recuperati i fusti li caricammo sulla mia autovettura per dirigerci verso la mia abitazione; durante il tragitto ricordo che ebbi un problema in conseguenza di un posto di blocco dei carabinieri all’altezza dello Sperone. Una volta arrivato a casa di mia madre, scaricammo i bidoni all’interno di una casa diroccata di mia zia, ubicata a fianco e che noi usavamo come magazzino, prendendo accordi con Fifetto Cannella per vederci l’indomani. In quell’occasione il Cannella mi disse, pure, che dentro i cilindri vi erano delle bombe e che il giorno seguente avremmo dovuto fare un lavoretto. Il giorno successivo io e Cosimo Lo Nigro trasportammo i bidoni in un magazzino nella mia disponibilità a Brancaccio, magazzino che ricordo fosse sottoposto a sequestro del Tribunale. Iniziammo quindi a fare la procedura, tagliando la lamiera dei cilindri con scalpello e martello ed estraendo il contenuto…”.
Il materiale fu poi trasferito in un altro magazzino nelle zona industriale di Brancaccio di proprietà della ditta di trasporti presso cui lavorava Spatuzza e nuovamente presso l’abitazione diroccata di proprietà dei congiunti, dove fu avviata la “lavorazione” dell’esplosivo. “Allorquando vennero Cosimo Lo Nigro, Fifetto Cannella e Renzino Tinnirello, vedendo il materiale, conclusero che era poco”, ha aggiunto Gaspare Spatuzza. “Avendo necessità di fare in fretta, si decise che la procedura sarebbe stata svolta anche da altre persone e, quindi, oltre a me si aggregarono il Tinnirella, Cannella, Giorgio Pizzo e Peppe Barranca. Il Cannella e il Tinnirello tuttavia lavorarono poco l’esplosivo poiché impegnati in altre situazioni e dai discorsi che facevano alla mia presenza capii che stavano seguendo gli spostamenti di qualcuno (…) Il Cannella mi disse espressamente che quel giorno avremmo dovuto fare 10 kg. di esplosivo che avrei dovuto consegnare il giorno seguente a Giuseppe Graviano, cosa che effettivamente avvenne. In seguito ho capito a cosa fosse servito quell’esplosivo allorquando mi fu dato l’incarico di far saltare un’autocivetta della polizia ed in quella circostanza mi fu detto che 10 kg. erano abbastanza per far saltare una blindata”.
“Successivamente e sempre nello stesso periodo, io, Cosimo Lo Nigro, Barranca, Pizzo, Tinnirello e Cannella ci recammo a prelevare altri due bidoni alla Cala sempre legati ad un peschereccio. Li caricammo sulla moto ape di Lo Nigro occultandoli con una rete di pescatori e li portammo alla casa diroccata di mia zia. L’esplosivo che macinavamo era solido, di colore tra giallo chiaro e panna e lo macinavamo schiacciandolo con un mazzuolo, lo setacciavamo con lo scolapasta sino a portarlo allo stato di sabbia. Una volta che era piovuto ho avuto modo di notare che a contatto con l’acqua diventava di colore giallo ruggine. L’involucro ove era contenuto non lo buttavamo nella spazzatura ma lo gettavamo a mare. All’incirca ogni bomba conteneva 100 kg. di esplosivo. Nessuno mi ha mai detto esplicitamente a cosa servisse l’esplosivo che ricavavamo; il giorno stesso in cui avvenne la strage di Capaci venne qualcuno, forse Cannella, a chiamarmi per dirmi di fare sparire l’esplosivo (si trattava di parecchi kg.) che io ancora custodivo nella casa diroccata di mia zia (…) Questa rimanente parte di esplosivo fu poi da me consegnata a Cannella, cosa che avvenne sicuramente prima della strage di via D’Amelio, poiché rammento che, in quel momento, non avevo più la disponibilità di esplosivo”.
Il 6 febbraio 2019, nel corso di un interrogatorio con il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Caltanissetta Amedeo Bertone e il sostituto procuratore Pasquale Pacifico, Gaspare Spatuzza ha fornito altri importanti elementi sull’origine, la composizione e le modalità con cui furono preparati gli ordigni per la campagna stragista del biennio 1992-93. “Confermo le mie precedenti dichiarazioni in merito alla circostanza che mentre stavamo eseguendo la mietitura dell’esplosivo utilizzato per la strage di Capaci con il Tinnirello ed il Lo Nigro, si discuteva che, nel tenere il computo dell’esplosivo da utilizzare, bisognava tenere conto di altro esplosivo proveniente da Catania o da Messina”, si legge nel verbale d’interrogatorio ancora in buona parte omissato. “Detto esplosivo, effettivamente, arrivò prima della strage di Capaci; era di consistenza gelatinosa ed aveva la forma di salsicciotti. Io lo utilizzai, effettivamente per le stragi del continente ed in particolare a Firenze e a Milano. Detto esplosivo, poiché era molto potente, lo utilizzavamo come detonante per fare esplodere l’esplosivo recuperato in mare. I detonatori li infilavamo proprio in questo esplosivo, che determinava un amplificarsi dell’effetto dell’esplosione. Sono certo che questo esplosivo sia arrivato prima della strage di Capaci ed utilizzato in detta occasione poiché, quando poi lo utilizzammo per gli altri attentati, ci fu raccomandato di utilizzarlo con parsimonia, perché stava già per finire e ne avevamo poco. A riprova di ciò, per il fallito attentato allo stadio Olimpico, lo stesso esplosivo non fu mai utilizzato perché era terminato”.
Gaspare Spatuzza e il gruppo di fuoco di Brancaccio parteciparono attivamente anche alla preparazione ed esecuzione delle stragi di Firenze, Roma e Milano del 1993. Alla vigilia del fallito attentato di via Ruggero Fauro contro il presentatore televisivo Maurizio Costanzo (14 maggio 1993), al clan di Brancaccio fu chiesto di preparare una grossa quantità di esplosivo. “Venni a sapere che Peppuccio Barranca, Cosimo Lo Nigro e Fifetto Cannella dovevano recarsi a Roma”, ha riferito Spatuzza. “Successivamente venni pure a sapere del tentativo fallito in via Fauro e mi informai dell’accaduto da coloro che si erano recati a Roma, una volta che riscesero in Sicilia. I ragazzi si lamentarono del comportamento avuto da Cannella nell’occasione sicché io assunsi il ruolo di responsabile di questo gruppo di fuoco per espressa indicazione di Giuseppe Graviano. Circa le motivazioni dell’attentato a Costanzo posso dire che lo stesso parlava male della mafia…”. Gli inquirenti hanno accertato che tra gli autori degli attentati di via Fauro a Roma, via Georgofili a Firenze (27 maggio 1993), via Palestro a Milano (27 luglio 1993), alla Basilica di San Giovanni in Laterano ed alla chiesa di San Giorgio al Velabro, Roma (la notte del 27-29 luglio 1993), c’erano sempre gli stessi personaggi “vicini” al clan diretto dai fratelli Graviano: Gaspare Spatuzza, Pietro Carra, Cosimo Lo Nigro, Giuseppe Barranca e Francesco Giuliano. Identica la miscela esplodente impiegata: tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina… - Articolo pubblicato il 5 agosto 2019