BANCAROTTA FRAUDOLENTA, ASSOLTO L’IMPRENDITORE ARCOVITO
Dopo sei anni di processo, per l'imprenditore Francesco Arcovito è arrivata la sentenza di assoluzione piena, con la formula "perchè il fatto non sussiste", dalla sezione penale del tribunale presieduta dal giudice Salvatore Pugliese, a fronte di una richiesta parziale di condanna, solo per alcuni capi d'imputazione, da parte dell'accusa. Il pm Adornato aveva chiesto la condanna solo per i fatti relativi alle caparre ed all'uso degli immobili di via Battisti e Ganzirri (leggi sotto la storia dell'indagine) a sei mesi di reclusione, previa però la riqualificazione da bancarotta fraudolenta a bancarotta semplice, e poi l'assoluzione per tutti gli altri episodi, anche per l'insussistenza dell'elemento materiale ed intenzionale del reato. Arcovito doveva rispondere di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e dissipazione del patrimonio della società amministrata, la Hilde Fortini srl, in liquidazione, e dichiarata fallita dal Tribunale di Messina.
LE ACCUSE ORIGINALI DEL DICEMBRE 2017
I finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Messina eseguirono, nel dicembre del 2017, un’ordinanza di applicazione della misura interdittiva del divieto di esercitare imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, per la durata di otto mesi, nei confronti dell' imprenditore messinese, Francesco Arcovito, 46 anni, amministratore unico della Hilde Fortini srl. Il provvedimento fu emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale su richiesta della Procura della Repubblica di Messina. La società era balzata agli onori della cronaca nazionale alla fine del decennio scorso quando Silvio Berlusconi mise gli occhi su Villa Mufarbi di proprietà della Hilde Fortini, che si trova a Taormina. Dieci milioni di euro l'importo stimato per la trattativa, ma alla fine del 2009 il legale di Berlusconi Nicolò Ghedini comunicò all'imprenditore messinese che l'affare era sfumato.
Le indagini furono sviluppate da personale del Gruppo della Guardia di Finanza di Messina e si sono concentrate sull’esame delle operazioni di gestione poste in essere dalla società di costruzioni dichiarata fallita. Il reato contestato era quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e dissipazione del patrimonio della società amministrata.
In particolare, secondo gli accertamenti svolti, l’imprenditore avrebbe proceduto ad una progressiva distrazione di rilevanti somme dalle casse della società immobiliare, attraverso l’utilizzo sistematico delle disponibilità finanziarie societarie per motivi diversi da quelli sociali, causando un grave danno per la società e per i creditori.
Particolarmente significativo del modus operandi dell’indagato sarebbe stato, secondo i finanzieri, l’aumento del quadruplo del proprio compenso annuale, senza ragione ed in evidente fase di crisi economico-finanziaria dell’impresa.
L’imprenditore avrebbe, inoltre, concluso due contratti preliminari per l’acquisto di altrettanti immobili, uno sito in Messina ed uno in Roma, e perduto integralmente le relative caparre ammontanti ad oltre 500.000 euro, a causa del mancato versamento del saldo per manifesta assenza di liquidità, nonché versato le somme per la caparra di uno dei due immobili ad un familiare, senza ricevere per questo alcuna contropartita.
Veniva contestata all’imprenditore anche la conclusione con sé stesso di un preliminare di vendita, in forza del quale la società si impegnava ad acquistare un ulteriore immobile situato nella città di Milazzo, di proprietà personale del suo amministratore, versando una caparra di un milione e mezzo di euro, nonostante il bene fosse interamente gravato da
formalità pregiudizievoli per importi superiori al suo prezzo complessivo di acquisto, pari a 1.800.000 euro.
Altra contestazione formulata all’indagato fu quella di aver venduto ad una terza società un prestigioso complesso edilizio sito nella città di Taormina, per un prezzo di 3 milioni di euro, a fronte di un valore stimato di 8 milioni. Tra gli ulteriori fatti contestati, si cita il caso dell’acquisto e della relativa ristrutturazione di due immobili siti in Messina, arredati con mobilio di pregio, anch’essi acquistati dalla società amministrata, per poi essere destinati ad abitazioni del proprio nucleo familiare, in assenza di alcun titolo, come comprovato dalle indagini condotte dalla Guardia di Finanza.
"Il valore dei beni sottratti fraudolentemente dal patrimonio della società ammonta a circa otto milioni di euro".