L’INCHIESTA SULLE CONCESSIONI EDILIZIE ‘FACILITATE’: TUTTO PRESCRITTO IN CASSAZIONE
Tutto prescritto. È questo il verdetto della Cassazione per il processo sulle concessioni dei pareri edilizi “facilitati”. Che nell’ormai lontano 2013 inguaiò tra gli altri, con le accuse di corruzione e falso, l’allora consigliere comunale Francesco “Ciccio” Curcio. Tutto quello che restava è stato spazzato via dalla prescrizione per il troppo tempo trascorso dai fatti contestati, di cui i giudici romani hanno dovuto prendere atto. In appello, nel marzo del 2021, per Curcio, chiamato in causa come ex consigliere comunale ed ex componente della commissione di Palazzo Zanca adibita alla “Via”, la Valutazione di impatto ambientale, la condanna era stata ridotta da 4 anni e mezzo a 2 anni di reclusione, perché i giudici avevano fatto “cadere” un’aggravante legata a due ipotesi di falso; riduzione che aveva determinato poi la condanna - anche in questo caso attenuata rispetto al primo grado -, per l’ex componente della Commissione “Via” Luca D’Amico, a un anno e sei mesi (pena sospesa).
IL 23 MARZO 2021 LA SENTENZA D'APPELLO.
Ma rileggiamo assieme la storia di una delle più importanti indagini della procura degli ultimi dieci anni. Il 23 marzo del 2021 fu il giorno della sentenza d’appello nel processo sulle concessioni edilizie comunali in aree protette, denominato "Via facile" sulle procedure di valutazione e pareri della Via, la valutazione di impatto ambientale nell'ambito dell'attività amministrativa di Palazzo Zanca. I giudici decisero la riduzione della condanna a carico dell'ex consigliere comunale di Messina Francesco Curcio, da 4 anni e mezzo a 2 anni di reclusione. I reati contestati dall'accusa nel 2013 erano in origine corruzione e falso. Oltre a Curcio nel processo d'appello vennero condannati anche Luca D'Amico e il dipendente comunale Biagio Restuccia a un anno e sei mesi (pena sospesa). Venne assolto invece Luigi Ristagno con la formula "perché il fatto non sussiste". Si registrarono anche assoluzioni parziali. La corte dichiarò inammissibile l'appello della Procura generale. Per gli altri imputati, Giuseppe Bonaccorso, Roberta Curcio, Antonino Scimone e Aurelio Arcoraci, i giudici decisero prescrizioni totali (Roberta Curcio e Arcoraci) e conferme della sentenza di primo grado (Bonaccorsi e Scimone), anche con esclusioni di alcune aggravanti.
LA SENTENZA DI PRIMO GRADO IL 10 APRILE 2019.
Dopo cinque anni di dibattimento, la sera del 10 aprile 2019 si ebbe la sentenza del processo Via Facile, con al centro alcune pratiche edilizie del Comune di Messina tra la fine del decennio scorso e l’inizio di questo.
Il “principale protagonista” dell’inchiesta, diretta dal vicequestore Fabio Ettaro, era Francesco (Ciccio) Curcio, ex consigliere comunale, arrestato per corruzione nel 2013. Per lui la Procura, rappresentata dal PM Antonio Carchietti, aveva chiesto la condanna a 5 anni e 9 mesi per tutte le accuse contestate. Il Tribunale lo condannò a 4 anni e mezzo, assolvendolo da una delle accuse contestate.
La sentenza della Corte presieduta da Mario Samperi (presidente) e Valeria Curatolo e Alessandra Di Fresco arrivò poco dopo le 20. Ecco il dettaglio: 2 anni e 7 mesi per Roberta Curcio, 2 anni per l’imprenditore Aurelio Arcoraci, Giuseppe Bonaccorso e Antonino Scimone; 3 anni e 2 mesi al dipendente Comunale Biagio Restuccia e Luca D’Amico, 3 anni a Luigi Ristagno. Assolti per non aver commesso il fatto Enzo Pinnizzotto e Placido Accolla (da tre capi d'imputazione ciascuno).
Nel pomeriggio il PM Antonio Carchietti aveva chiesto soltanto due assoluzioni, quelle di Pinnizzotto e Accolla, che non avevano materialmente preso parte ai verbali “incriminati” delle Commissioni, e per tutti gli altri condanne tra i 2 e i 3 anni, ad esclusione di Curcio.
I giudici assunsero altre così dette “pene accessorie”, alcune interdizioni. Così, Francesco Curcio, D’Amico e Restuccia non potettero svolgere uffici pubblici per cinque anni, Curcio padre e figlia non potettero avere incarichi dalla pubblica amministrazione per 3 anni lui e per la durata della pena Roberta. Per Arcoraci, Bonaccorso e Scimone pena sospesa e non menzione. Caddero i reati per un capo d'imputazione (D) contestato a Francesco Curcio e per due capi (C e F) di cui rispondeva Ristagno.
Il Tribunale rigettò infine la richiesta di risarcimento del WWF, costituitasi parte civile. Il Comune di Messina non si era invece costituito.
9 ANNI FA: L'8 FEBBRAIO 2014 L'ATTO DI CHIUSURA INDAGINI PRELIMINARI.
Dieci indagati. Degli undici coinvolti inizialmente uscì definitivamente dall'inchiesta l'ing. Massimo Fulci, per il quale la Procura aveva richiesto l'archiviazione. Questo perché evidentemente non era stato ravvisato alcun elemento a suo carico rispetto al quadro che si era prospettato inizialmente in relazione agli accertamenti investigativi. Ecco l'atto di chiusura delle indagini preliminari siglato l'8 febbraio 2014 dal sostituto procuratore Liliana Todaro per l'inchiesta legata alla vicenda del rilascio dei pareri 'Via", la Valutazione impatto ambientale, nell'ambito dell'attività amministrativa Comune.
I dieci indagati ricompresi nell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. erano Francesco Curcio, 59 anni, ex consigliere comunale ed ex componente della Commissione di Palazzo Zanca adibita alla Valutazione di impatto ambientale; la figlia Roberta Curcio, 30 armi, ingegnere, nonché consulente tecnico di parte; Aurelio Arcoraci, 59 anni, amministratore unico di una società edile; Giuseppe Bonaccorso, 57 anni, imprenditore edile; gli ex componenti della Commissione 'Via" Luca D'Amico, Luigi Ristagno, Vincenzo Pinnizzotto, Placido Accolla, e il segretario verbalizzante Biagio Restuccia; e infine il privato Antonino Scimone. Le ipotesi di reato sono differenziate: Curcio e la figlia rispondevano di tre capi d'imputazione a testa legati ad altrettanti presunti casi di corruzione, mentre gli imprenditori Arcoraci e Bonaccorso ognuno di un singolo presunto episodio di corruzione; i componenti della Commissione 'Via" di alcuni episodi di falso in relazione all'attività amministrativa dell'organo; infine Scimone come privato determinatore, in concorso con i Curcio, per un caso di corruzione legato al rilascio di un parere per la realizzazione di una piscina in contrada Guarnacci. Il collegio di difesa era composto dagli avvocati Nino Favazzo, Marcello Scurria, Nunzio Rosso, Isabella Barone, Antonino Centorrino, Enzo Grosso, Gianluca Gullotta, Fabrizio Alessi, Domenico Arizzi e CinziaPicciolo.
A lavorare all'inchiesta con il sostituto Todaro sono stati gli investigatori della sezione di Pg della polizia coordinati dal vice questore Fabio Ettaro, che effettuarono verifiche su decine di progetti edilizi, due dei quali, relativi alla realizzazione di complessi tra Sant'Agata e Sperone, a giudizio della Procura erano viziati da un iter illegittimo. I reati contestati sarebbero maturati in seno alla Commissione preposta alla valutazione e all'eventuale concessione del benestare a progetti edilizi tenuti a rispettare salvaguardia, protezione e miglioramento dell'ambiente, compresa la conservazione di habitat naturali, flora e fauna selvatiche. Le indagini evidenziarono il ruolo centrale di Francesco Curcio, il quale, membro della stessa Commissione, avrebbe prodotto atti contrari ai doveri d'ufficio nell'ambito di analisi di specifici progetti.
LA VICENDA - Tra il 2010 e il 201 2, in seguito ad alcune denunce, la Procura puntò la lente d'ingrandimento sulle attività della Commissione comunale Via. La Pg della polizia, coordinata dal pm Liliana Todaro, verificò che determinati progetti avrebbero ottenuto una sorta di corsia preferenziale circa i pareri favorevoli, necessari all'avvio della realizzazione di complessi edilizi. Due, su una ventina esaminati dagli investigatori, sarebbero stati viziati da anomalie. Ragion per cui, nel registro degli indagati finirono 11 persone, quattro delle quali (Curcio padre e figlia, Arcoraci e Bonaccorso) originariamente sottoposte ai domiciliari. Il gip dispose poi la sospensione dall'esercizio del pubblico ufficio nei confronti di Biagio Restuccia, 60 anni, dipendente del dipartimento Pianificazione urbanistica di Palazzo Zanca. Gli venivano contestate tre ipotesi di falso commesso dal pubblico ufficiale. Servendosi di intercettazioni telefoniche e ambientali, gli inquirenti ricostruirono i rapporti con amministratori di società di costruzione o con chi ne curava gli interessi, le cui pratiche sarebbero state favorite a fronte di incarichi professionali conferiti a Roberta Curcio, con parcelle per la redazione di progetti ben superiori ai prezzi di mercato.