Sebastiano Ardita: ”Baiardo è informatissimo. Chi lo informa sarà tema di investigazioni”
"Per quanto riguarda Baiardo siamo quasi certi, tutti quelli che hanno ascoltato le sue dichiarazioni, che le sue informazioni erano informazioni assolutamente fondate altrimenti non sarebbe stato possibile da un lato riferire circostanze che erano note a pochi" come "lo stato di salute del latitante. Addirittura il medico sembrerebbe che abbia dichiarato che quando lo aveva in cura (Messina Denaro ndr), pochi giorni dopo essere venuto a conoscenza dell'aggravamento delle sue condizioni di salute, Baiardo si sarebbe espresso". Baiardo "è informatissimo e chi lo informa è invece un tema che sarà oggetto di attenzione investigativa".
"Chi può informarlo? o la parte istituzionale o la parte criminale. Noi speriamo per la seconda opzione".
Sono state queste le parole del magistrato Sebastiano Ardita intervistato dalla giornalista Silvia Grassi.
Ardita ha poi aggiunto che "la storia dei rapporti interni a Cosa Nostra, delle grandi latitanze, degli arresti dei capi mafia, ci ha restituito un mondo molto compatto al vertice di Cosa Nostra. Ci sono stati personaggi come i capi decina e capi mandamento che hanno deciso di collaborare con la giustizia. Ma mai un capo storico di Cosa Nostra ha collaborato con la giustizia, questo è un dato dal quale non possiamo uscire ed è un dato pessimistico ma anche realista".
Per quanto riguarda Matteo Messina Denaro, non sembra che abbia alcuna intenzione di collaborare: "Se questo fosse accaduto si sarebbe direttamente presentato lui di fronte all'organo giudiziario. Perché io sono qui a disposizione perché voglio cambiare vita". "Probabilmente l'intento di collaborare non c'era e lo ha già dichiarato pubblicamente", ha detto Ardita.
Differenza tra il carcere duro e 41 bis
"L'ergastolo viene convertito generalmente sempre con la liberazione condizionale in ventisei anni o trent'anni di reclusione. L'ergastolo diventa ostativo, cioè impedisce questa possibilità, impedisce anche i benefici penitenziari perché il 4 bis impedisce a chi ha commesso reati di mafia di accedere alla libertà. Quindi diventa ergastolo effettivo, cioè fino alla fine dei giorni" ha spiegato il magistrato.
"Il 41 bis invece è il regime detentivo che può riguardare chi sta in carcere per sempre e chi ci sta per poco tempo. Ma non riguarda la durata della pena ma la modalità della pena.
Cioè si sta in carcere totalmente slegati o impediti da una serie di condizioni personali, giuridiche e fattuali che riguardano proprio i collegamenti con l'esterno. Quindi il capomafia in carcere non deve comandare attraverso le restrizioni proprie del 41 bis. Sono due cose diverse" anche se i presupposti "sono i medesimi: cioè impedire ad un personaggio che sta al vertice di Cosa Nostra di continuare a commettere delitti dal carcere o di uscire dal carcere in anticipo perché c'è un'esigenza importante di difesa sociale questo è il punto".
"Tecnicamente è difficile bucare il 41 bis - ha continuato Ardita - "però è chiaro che qualche spazio di comunicazione non controllato c'è anche al 41 bis”. "Quello che è inaccettabile e che ci possano essere dei vizi patologici in questa comunicazione: che possa essere utilizzato da qualcuno che opera nell'ambiente istituzionale o nell'ambiente dei difensori, o qualcuno che svolga un'attività che gli consenta un contatto, seppur minimale con il detenuto al 41 bis. Questo va assolutamente impedito. Senno il regime cade. Già soffia un forte vento contrario, manca solo che sia reso inefficiente dal punto di vista funzionale".
Le rivolte nelle carceri
Lo Stato era in condizioni di intervenire, ma invece di occuparsi di questa falla enorme che si è determinata cosa è accaduto? "Il carcere dopo anni di gestione non attenta alle condizioni individuali di pena dei detenuti, di gestione poco attenta alle esigenze di prevenzione antimafia si è trovato a questo punto di rottura, con il covid. Questo perché chiaramente c'era un interesse da parte delle organizzazioni mafiose che accadesse qualcosa di eclatante per dimostrare che il sistema penitenziario non funzionava. C'erano delle difficoltà, la cattiva condizione umana dei preclusi, arriva il covid e si approfitta di questo momento di crisi della realtà penitenziaria per chiedere un allentamento delle misure di sicurezza". "Se il carcere è un luogo in cui Cosa Nostra applica le sue strategie ed è un luogo nel quale la mancata attenzione all'individuo, perché di questo si tratta, crea una condizione di generalizzata pericolosità, perché mette in condizione i detenuti di non vivere più una vita serena, l'ultima cosa che c'è da sperare e che il carcere ceda come istituzione". "Dove non c'è un carcere che funzioni lo Stato non è presente. Ma questo è in tutta la storia degli ordinamenti e delle nazioni”.
Strage di via d'Amelio: all'Ucciardone hanno brindato con lo champagne
"All'epoca alla quale ci riferiamo in carcere entravano lo champagne e le prostitute. In carcere c'era di tutto perché era un luogo in cui si continuava ad essere capi mafia". "La cosa grave è che in carcere quella notte si attese la morte di Borsellino e qualcuno stappò le bottiglie. Cioè nessuno lo sapeva all'esterno, nel mondo istituzionale, nessuno poteva immaginare che la mafia avrebbe colpito una seconda volta dopo l'attentato a Falcone e in carcere già lo sapevano. Era la prova che il carcere era il cuore da dove partivano tutti gli impulsi per Cosa Nostra. Che il carcere era la cabina di regia della criminalità organizzata".
"Dentro il carcere - ha concluso il magistrato - esiste anche una dimensione di reclutamento criminale, chi entra in carcere molto giovane ed esce dalla realtà penitenziaria, è considerato come uno che ha preso dei gradi" e che poi potrebbe essere reclutato nel mondo di Cosa Nostra. "Questo bisogna impedirlo. Più il carcere è civile, rispettoso delle regole, attento e individualmente portato alla cura delle persone e più queste figure non ancora avvitate alla criminalità possono essere salvate e tolte dalle grinfie di Cosa Nostra che in carcere vuole comandare".