Desaparecidos: si mette male per l’ex tenente Carlos Malatto (che vive a Portorosa, in provincia di Messina), di nuovo a rischio estradizione
A metterlo nei guai potrebbero essere le 10mila pagine depositate a Roma sugli anni in cui era al RIM-22 di San Juan e la recente sentenza di Cassazione contro il cappellano Reverberi
di Karim El Sadi - Si mette male per Carlos Luis Malatto. L’ex tenente colonnello italo-argentino - ricercato dall’Interpol perché accusato dell’omicidio di otto persone nell'ambito del Piano Condor - potrebbe rischiare di essere estradato in Argentina da dove riuscì a scappare nel 2011 per rifugiarsi in Sicilia, grazie al suo passaporto italiano.
Da undici anni circa, l’ex tenente colonnello vive il suo “buen retiro” nell’isola. L’ultima volta venne scovato da Le Iene in una casa nel messinese a pochi passi dal mare.
In Argentina Malatto, che ora ha 73 anni, viene additato come responsabile di ventisei omicidi e settanta casi di tortura ai danni di dissidenti politici negli anni della dittatura militare guidata da Jorge Videla quando era responsabile operativo del personale di gendarmeria (S1) del RIM-22 (Reggimento di Fanteria di Montagna, accusato di 160 omicidi). Le autorità argentine avevano provato a farlo estradare ma senza successo: la Corte di Cassazione, nel luglio 2014, aveva messo la parola “fine” alle loro richieste, rigettando la domanda di estradizione presentata per i reati di omicidio, associazione per delinquere e lesioni.
Nello specifico, la sesta sezione penale, presieduta da Tito Garriba, aveva respinto senza rinvio la richiesta di estradizione avanzata dalla Repubblica Argentina, accolta dalla Corte d’Appello de l’Aquila, accogliendo il ricorso dei legali Franco Sabatini e Augusto Sinagra (quest’ultimo noto perché ex avvocato di Licio Gelli).
Dopo la sentenza di Piazzale Clodio, i magistrati capitolini hanno cominciato ad occuparsi delle contestate responsabilità di Malatto nei singoli omicidi di Angel José Carvajal, Juan Carlos Cámpora e Marie Anne Erize (giovane modella stuprata e uccisa dai militari), sulle quali oggi è in corso, in fase istruttoria, un processo a Roma.
Sul caso, poi, a giugno 2022 è stato aperto un fascicolo contro l’ex militare riguardante i crimini compiuti a San Juan tra il 1976 e il 1977. Il segretario di Stato per i diritti umani dell'Argentina, Horacio Pietragalla Corti, ha sollecitato un supplemento istruttorio con il quale si è chiesto ai pm romani di indagare su altri trenta casi di desaparecidos avvenuti sempre a San Juan, dove le operazioni erano coordinate dal reggimento di cui faceva parte Malatto. Qualche giorno fa, a supplemento della denuncia, sono state depositate 10.000 pagine di documenti raccolti contro l’ex tenente. A presentarle ai pm di Roma Francesco Dall'Olio e Laura Condemi è stato il direttore nazionale Affari legali della Segreteria per i diritti umani dell'Argentina, Federico Efron, giunto appositamente dall’Argentina. “Le prove dimostrano come funzionava l'apparato repressivo e come funzionava il RIM-22 dove si trovava Malatto a San Juan”, ha spiegato Efron alla stampa presente fuori da Piazzale Clodio. Inoltre sono state depositate “prove specifiche contro l’ex tenente, anche con l'apostilla dell'Aia”. Si tratta di documenti preziosissimi che questa volta potrebbero assicurare Malatto (il condizionale è d’obbligo) alla giustizia dell’Argentina, dove nel frattempo sui fatti terribili di San Juan in questi 10 anni sono stati celebrati cinque processi più un sesto in fase di conclusione. In nessuno di questi, nonostante fosse stato citato dai testimoni centinaia di volte per le sue funzioni al tempo, Malatto non è stato chiamato in causa perché la giustizia argentina non consente il celebrarsi di processi in contumacia. Da qui l’urgenza del governo di richiedere all’Italia la consegna dell’ex militare. Ora però potrebbe esserci una nuova speranza, soprattutto per le famiglie dei desaparecidos. Al telefono, 24marzo onlus, associazione italiana che dal 2009 si occupa di portare avanti i processi legati ai desaparecidos in Italia, ci ha riferito che circa un mese fa “è stata sollecitata l’esecuzione dell’ordine internazionale di cattura che dovrebbe essere giunto all’Interpol ma che non è ancora stato eseguito”. Anche l’avvocato Arturo Salerni, uno dei principali legali delle vittime del maxi-processo Condor nel quale sono stati condannati all’ergastolo 24 responsabili dei crimini commessi durante le dittature sudamericane, ha confermato che sono state fatte sollecitazioni. Nello specifico, si parla dei due mandati di cattura, tuttora pendenti: uno risalente al 2016 per diciotto omicidi e l’altro al 2019 per altri cinque omicidi. Un terzo invece, quello del 2012, risulta inapplicabile dopo la pronuncia della Cassazione. Secondo alcune fonti, al riguardo, la procura di Roma avrebbe sentito l’Interpol e la direzione del ministero degli Interni dopo che lo scorso 30 settembre Horacio Pietragalla Corti ha incontrato a Roma il procuratore Capo Francesco Lo Voi con il quale ha dialogato sui vari processi per lesa umanità in corso in Italia e prospettato le richieste dell’Argentina. Sui mandati di cattura si attendono risposte. Ma qualora dovesse esserci un esito positivo la sentenza della Corte di Cassazione del 2014 diventerebbe solo una brutta parentesi in questo arduo tentativo delle famiglie delle vittime della dittatura di portare Malatto davanti alla giustizia.
Quel “no” all’estradizione
In quella sentenza, la richiesta di estradizione avanzata sulla base degli ordini di cattura emessi per i reati compiuti dal 1975 al 1977, quando Malatto era in servizio nel RIM-22, venne respinta perché non risultavano “sussistenti i gravi indizi circa la partecipazione del Malatto ai fatti oggetto della richiesta di estradizione”. Nello specifico, riassumendo in estrema sintesi uno dei passaggi cruciali, la 6° Sez. Penale, riportava che i giudici abruzzesi avevano operato “un controllo meramente formale sulla documentazione presentata dallo Stato richiedente (l’Argentina, ndr), rifacendosi all’orientamento giurisprudenziale più risalente” - che il collegio di Cassazione non ha condiviso - “secondo cui in presenza di una convenzione bilaterale di estradizione si può prescindere dalla verifica dei gravi indizi”. Secondo Piazzale Clodio, invece, “deve esserci una delibazione diretta a verificare che la documentazione sia in concreto idonea a rappresentare l’esistenza di elementi a carico dell’estradando”. Elementi che, sempre a detta della Cassazione, nella “documentazione allegata (prodotta dal Governo argentino, ndr) non consentono di individuare alcun elemento a carico del Malatto, emergendo invece solo una teorizzata ‘responsabilità da posizione’” e “nessun riferimento concreto alla sua partecipazione ad uno degli episodi contestati”. Parafrasando: sebbene Malatto appartenesse al Reggimento 22 di Fanteria, ciò non prova che questi abbia in prima persona partecipato - stando alla documentazione prodotta a L’Aquila - all’eliminazione fisica di dissidenti politici e di quanti erano ritenuti tali. Ora però, come detto, c’è la possibilità che questa contestazione possa essere superata o quantomeno rivista nel breve futuro - ma è tutto da vedere - sulla scorta, appunto, della nuova, copiosa, documentazione depositata dalla procura di Roma.
Sentenza Reverberi, una possibile chiave di volta?
Nel frattempo, il 30 giugno scorso, la Corte di Cassazione si è espressa per l’estradizione del sacerdote Franco Reverberi. Una sentenza che potrebbe favorire, di riflesso, le richieste delle autorità argentine per la consegna di Carlos Malatto. Ma andiamo con ordine. Reverberi, 85 anni, oggi vive in Italia ma nel 1976 era cappellano applicato alla Casa Departamental di San Rafael (nella regione di Mendoza), ritenuto uno dei centri clandestini di detenzione più importanti del Paese.
Da maggio 2011 si trova a Sorbolo (paese d’origine della famiglia in provincia di Parma) dove almeno fino a poco tempo fa svolgeva regolari funzioni religiose. Sul sacerdote pende una richiesta di estradizione motivata dall’accusa di partecipazione, testimoniata da alcuni ex detenuti, di omicidio aggravato ai danni di José Guillermo Berón (militante socialista di 22 anni sequestrato nel ’76 e fatto sparire) e dall’accusa di sequestro e tortura per fini politici di 10 persone (tra i quali lo stesso Berón) e associazione per delinquere. Tutti reati gravissimi che si presume abbia commesso proprio nel periodo in cui stava alla Casa Departamental, per i quali la procura generale di San Rafael nel giugno 2011 aveva chiesto che venisse indagato. A formulare la richiesta di estradizione era stato il Pubblico Ministero di Mendoza, a seguito della denuncia di Richard Ermili, avvocato e copresidente dell’”Asamblea Permanente por los derechos humanos” di San Rafael, a cui si è aggiunta la Segreteria per i Diritti Umani argentina con il segretario Horacio Pietragalla.
Nel 2012 l’Interpol diramò un mandato di rintraccio nei suoi confronti mentre la richiesta di estradizione avanzata dall’Argentina, in assenza del reato di tortura nel codice penale italiano (introdotto solo nel 2017), venne rigettata prima dalla Corte d’Appello di Bologna nel 2013, poi dalla Cassazione, nel 2014. A ottobre 2020, era stata però presentata una nuova richiesta di estradizione nei confronti del sacerdote, nuovamente rigettata dalla corte d’Appello di Bologna il 17 marzo 2021 per “mancanza di gravi indizi di colpevolezza per i reati di omicidio e tortura aggravata dalla morte di Josè Guillermo Berón e la prescrizione dei reati, secondo la legge italiana, per i restanti capi d’accusa”. La corte si era rifatta, in parte, alle conclusioni delle sentenze precedenti.
Quindi la Repubblica Argentina, rappresentata dall’avvocato Arturo Salerni, congiuntamente al Sostituto Procuratore generale Francesca Ceroni, ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata. Ricorso vinto, appunto, lo scorso 30 giugno. La sesta sezione penale, presidente Anna Criscuolo, ha annullato lo stop all'estradizione dell'ex cappellano, disponendo il rinvio ad altra sezione della corte d’Appello di Bologna “affinché siano esaminati in un nuovo giudizio gli ulteriori aspetti della domanda estradizionale ritenuti ‘superflui’ dalla Corte di appello nella sua decisione”, in particolare, “con riferimento ai reati di tortura dei 9 detenuti diversi da Berón”. I giudici, in 18 pagine, motivano le ragioni che li hanno portati ad accogliere il ricorso, sviluppando il ragionamento principalmente intorno a due profili, come ci ha spiegato l’avvocato Salerni: quello del caso di omicidio del giovane Berón, al quale Reverberi avrebbe assistito, e quello degli abusi e delle torture ai dieci detenuti (incluso Berón), alle quali il cappellano, secondo la ricostruzione delle autorità argentine, avrebbe partecipato in “maniera attiva e adesiva”. La questione sollevata dai giudici ermellini è tutta giuridica ed è fondata su un’attenta ricostruzione dei fatti contestati a Reverberi e delle norme internazionali generalmente riconosciute che la Cassazione ha sottoscritto a riprova della decisione di stoppare l’annullamento della richiesta di estradizione. Ed è su questi profili sviluppati, con i quali la Cassazione ha di conseguenza introdotto una nuova giurisprudenza, che non solo si aprirebbe la possibilità di un processo per l'ex cappellano militare Franco Reverberi, ma anche quella di processare ed estradare Malatto. In pratica si darebbe seguito all’ultima richiesta di estradizione del 28 giugno 2022 dei giudici federali di San Juan.
Il primo profilo
Veniamo dunque ai due profili affrontati nella sentenza Reverberi. Rispetto al primo, quello inerente all’omicidio del giovane Berón, la Cassazione ha preso atto delle “concrete fonti di prova dall’Argentina, vale a dire le testimonianze delle persone “detenute e torturate” a Casa Departamental nel medesimo periodo di Berón,” sulla base delle quali l’Argentina “ha basato l’ipotesi accusatoria alla sua partecipazione in termini di adesione e rafforzamento del proposito criminoso degli autori materiali dei delitti contestati”. Nello specifico, il centro di detenzione “dove presentava la sua attività l’estradando era destinato stabilmente a forme di detenzione illegali e torture nei confronti di dissidenti politici, con ‘sparizione’ delle vittime secondo un prestabilito protocollo”. Qui, secondo le documentazioni prodotte dalle autorità argentine, “l’estradando, che aveva già militato con le forze militari antisovversione, faceva parte costantemente dei gruppi di militari dediti alle torture riferite dalle vittime sopravvissute, presenziando alle stesse, anche quelle più brutali e mortali, invitando le vittime a ‘collaborare’ con le forze armate ‘per sollievo spirituale’ (i testimoni lo ricordano vestito da militare con in mano la Bibbia e la pistola nella fondina)”. Sul punto, il cappellano “non aveva mai dato, invece, alcun ‘sollievo spirituale’ e quindi non svolgeva nessuna funzione tipica del suo ruolo apparente”. Secondo la Cassazione, dunque, “i fatti così ricostruiti non si limitano alla partecipazione dell’estradando alle torture inflitte ai detenuti e quindi anche al detenuto Berón, ma vanno estesi - anche dal punto di vista giudiziario - all’evento di morte di quest’ultimo”. Al riguardo, tutti questi elementi “giustificano l’ipotesi accusatoria […] anche con riferimento all’elemento psicologico”.
In forza di ciò la Corte di Cassazione ha ricordato che “la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che sussiste il dolo diretto in forma cosiddetta alternativa nel caso in cui l’agente preveda ed accetti l’evento e quindi, pur non perseguendolo come scopo finale. Mentre ricorre il dolo eventuale quando all’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e, nonostante ciò, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi”.
Rispetto al “dolo eventuale”, ci racconta 24marzo onlus, “noi per i processi in Italia ci rifacciamo sempre all’art. 110, che è quello di concorso. E il caso che citiamo sempre a base di tutto è quello del piccolo Di Matteo (il bambino di 12 anni, figlio del pentito Santino, sequestrato e ucciso da Cosa nostra, ndr). Quella è la nostra base giuridica perché il bambino era stato sequestrato un gruppo di boss i quali l’hanno consegnato a un secondo gruppo e quindi è arrivato un terzo che lo ha strangolato a morte e sciolto il cadavere. Secondo la Cassazione italiana sono tutti colpevoli allo stesso modo: sia chi ha fatto il sequestro, chi lo ha tenuto prigioniero e chi lo ammazzato perché chi è andato a sequestrare il bambino era cosciente dell’eventualità che il bambino fosse ucciso”.
Tornando alla sentenza di Cassazione, entrambe le ipotesi delittuose, quella di dolo diretto e quella di dolo eventuale, secondo i giudici, sono “rispettivamente compatibili con le ipotesi delittuose punite con l’ergastolo”, reato imprescrittibile, pertanto soggetto a richiesta di estradizione. Quindi, in conclusione, “deve ritenersi che la documentazione trasmessa dalle autorità argentine sia in concreto idonea a rappresentare l’esistenza di elementi a carico dell’estradando per le ipotesi di reato in esame, punite in Italia con l’ergastolo”, in quanto emerge, “in termini logici altamente probabile, in rapporto alle modalità d’azione ai brutali e i sistematici mezzi adoperati per attuare le torture, la rappresentazione e la volizione dell’evento (la morte del torturato) o comunque l’accettazione di tale rischio”.
Questa valutazione della Cassazione scalzerebbe quella della Corte d’Appello che fece cadere l’accusa anche per via della non “raggiunta dimostrazione della gravità indiziaria della responsabilità di Reverberi”. In quanto, dalle carte allegate, risultò “soltanto la frequente presenza di questi nella struttura di detenzione […] in occasione anche di pratiche di tortura […] e quindi la consapevolezza di costui delle torture e delle ‘sparizioni’ attuate dai militari, ma non elementi valutabili con riferimento alla sua partecipazione in danno del Berón”. Questa stessa valutazione rispetto alla non provata partecipazione ai fatti contestati, aveva allo stesso modo favorito Malatto nel 2014, nel contesto delle azioni commesse dal “Grupo de tareas” del Reggimento 22, come spiegato poc’anzi, in cui era responsabile delle detenzioni. Ecco perché la nuova pronuncia della Cassazione, su questo aspetto, potrebbe rivelarsi vantaggiosa per le autorità argentine, in particolare perché si applicherebbe, su questo speranoi familiari delle vittime, sia per le decine di omicidi che per gli altri casi di tortura che gli vengono contestati.
Il secondo profilo
Veniamo dunque al secondo profilo: quello degli abusi e torture. Nella sentenza Reverberi, i giudici ermellini sostengono, chiaramente, che i crimini contro l’umanità non possono essere prescritti come disciplina il diritto internazionale che prevale anche sulla nostra Costituzione. E’ partendo da questo principio che la Cassazione ha accolto il ricorso del Governo argentino respingendo la sentenza dei giudici bolognesi che avevano rifiutato la consegna di Reverberi non solo per l’assenza di gravi indizi ma anche per intervenuta prescrizione per collegati agli abusi sui prigionieri. Sul primo punto, la Cassazione contesta che “l’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello è di addentrarsi nella valutazione diretta delle prove allegate dallo Stato richiedente, criticando la tenuta logica delle conclusioni alle quali è pervenuta l’autorità giudiziaria”, quando in realtà non sta alla Corte d’Appello sindacare le conclusioni raggiunte dall’autorità giudiziaria argentina. Per l’estradizione, ai fini di un processo, è, infatti, sufficiente valutare la documentazione fornita dallo stato richiedente. E, ad avviso della Suprema corte, lo Stato richiedente ha “rappresentato adeguatamente il quadro indiziario a carico dell’estradando nell’esposizione dei fatti”. Stando invece al secondo punto, quello della prescrizione dei reati commessi ai danni dei dieci detenuti di Casa Departamental, la Corte di Cassazione, lo scorso 30 giugno, ha affermato che “è principio generalmente riconosciuto a livello internazionale, già all’epoca in cui furono commessi i fatti ascritti al Reverberi, che tali crimini violano lo jus cogens, ovvero quelle norme considerate da tutti gli Stati universalmente vincolanti, che si pongono al vertice dell’ordinamento internazionale, prevalendo su ogni altra norma, sia convenzionale che consuetudinaria”.
Nel redigere la sentenza, i giudici si sono basati, tra le altre cose, sulla Convenzione dell’Onu di Vienna del ’68 sulla non applicabilità delle prescrizioni ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità, nonché sullo Statuto di Roma del 1988 della Corte Penale Internazionale, sottoscritto e ratificato sia dall’Italia che dall’Argentina. In conclusione, ha osservato la Corte, “considerare ai fini dell’estradizione come prescritti i crimini contro l’umanità e quindi impedire l’azione di un altro Stato di reprimere tali reati - che non li considera prescritti - è misura contraria allo jus cogens, la cui osservanza è proclamata nella stessa Costituzione”. Pertanto “deve ritenersi erronea la decisione della Corte d’appello che ha ritenuto prescritti i reati ascritti al Riverberi senza esaminare se gli stessi possano definirsi ‘crimini contro l’umanità’ e quindi sottratti alla prescrizione”. Inoltre, gli ermellini hanno respinto “l’argomento sollevato con la memoria dalla difesa del Reverberi della preclusione derivante, ex art. 707 cod. proc. pen., dalla sentenza contraria all’estradizione emessa in relazione alla precedente domanda di estradizione avanzata nei suoi confronti” (quella del 2014, ndr). La norma ex art. 707 secondo il codice, stabilisce che, “fatta salva la facoltà dello Stato richiedente l'estradizione di presentare ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo precedente, una volta che la decisione contraria sia divenuta definitiva, non è consentito pronunciare una sentenza favorevole per i medesimi fatti su richiesta del medesimo Stato”. Ma la “domanda può essere accolta se fondata su elementi non presi in considerazione in precedenza dall'autorità giudiziaria”. Nello specifico, la Cassazione, nell’anticipare che “la sovrapposizione delle due domande estradizionali non emerge dagli atti”, rileva che nella sentenza del 2014 veniva “indicato come ostacolo […] l’assenza nell’ordinamento italiano di un reato specifico di tortura, con la conseguente irrilevanza della questione sollevata dallo Stato richiedente nel ricorso per cassazione della imprescrittibilità di tale reato”. Questo “ostacolo”, nei fatti un vuoto normativo, è stato però superato nel 2017 con l’introduzione di uno specifico reato di tortura (art. 613-bis cod.pen.) Quindi il reato di tortura “viene a rappresentare quel ‘nuovo’ elemento, in grado di superare la prevista preclusione”, ha osservato la Cassazione. “Si è infatti già affermato che dal tenore letterale dell’art. 707 cod, prod. pen. i nuovi elementi possano consistere anche nell’intervenuta modifica della modifica interna applicabile”. Una nota più che positiva secondo l’avvocato Salerni. “Nella sentenza viene ricordata l’introduzione nel 2017 di uno specifico reato di tortura nel codice penale. Questo viene riferito come un fatto nuovo”, ha commentato.
“La corte d’Appello di Bologna non può dire che il reato è prescritto, come disse nel 2013, ma doveva rivalutare la situazione”. Questo perché, secondo l’avvocato, “anche se fosse prescritto in Italia quel reato, trattandosi di crimine contro l’umanità, ai fini dell’estradizione questo elemento della doppia prescrizione, dello Stato Richiedente e dello Stato richiesto, è superato dai trattati internazionali”, ha spiegato il legale. "Così è stabilito quando si tratta di crimini contro l’umanità - e la tortura lo è - in forza delle convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito”, ha aggiunto il legale. Pertanto tornando a Malatto, “questo significa che oltre ai fatti omicidiari, potrebbe essere concessa, ove richiesta, l’estradizione anche per i reati di tortura non già esaminati dalla precedente richiesta di estradizione o su basi nuove”. Tutti questi criteri giuridici affrontati in punta di diritto, rappresentano una speranza per le decine di familiari di desaparecidos ed ex detenuti politici che il governo argentino ritiene siano finiti nelle mani dell’ex tenente e dell’ex cappellano affinché entrambi vengano consegnati alla giustizia del Paese nel quale hanno cercato rifugio o di quello dal quale sono scappati oltre dieci anni fa. Fonte: antimafiaduemila.com