Caso Attilio Manca: quella verità ancora da conquistare
Di Lorenzo Baldo - “Tra il 2005 e il 2006 Gioacchino Manca e Angela Gentile (i genitori di Attilio Manca, ndr) venivano avvicinati da un ex militare dell’Arma dei Carabinieri”. “Quest’ultimo, padre di un’amica di Attilio Manca e conoscente, quindi, dei suoi genitori, intendeva rassicurarli del fatto che egli stesso ‘stava cooperando a indagini che potevano accertare la presenza di Provenzano nell’hinterland barcellonese e le cure a lui fornite da Attilio Manca’”.
E’ uno dei passaggi chiave della relazione finale sul caso Manca redatta dalla Commissione antimafia presieduta da Nicola Morra (realizzata grazie alla grande determinazione in primis di Piera Aiello, Stefania Ascari, Federica Fabbretti e Giulia Sarti). La figura di questo ex carabiniere è uno dei tanti misteri legati alla morte del giovane urologo. Misteri che non sono mai stati approfonditi da chi invece aveva il dovere il farlo.
“A chi mi ha confidato di conoscere dettagli importanti sulla morte di Attilio e poi non li ha riferiti ai magistrati – aveva dichiarato anni fa Angelina Mancarivolgendosi indirettamente anche a questo ex militare dell’Arma citato nella relazione dell’Antimafia – , chiedo solo di ripensarci. Glielo domando come una madre consapevole di non avere più tanto tempo. Ma se anche noi non ci saremo non importa. Non è mai troppo tardi per far emergere la verità. Quello che conta è restituire giustizia ad Attilio”.
Certo è che già da alcuni anni si discuteva delle dichiarazioni di un ex militare dell’Arma del messinese di cui si era venuti a conoscenza nel 2014 grazie allo scrittore Luciano Mirone. Alla presentazione del suo libro “Un suicidio di mafia. La strana morte di Attilio Manca”, lo stesso Mirone aveva raccontato di aver conosciuto casualmente, durante la stesura del volume, un ex investigatore che aveva lavorato nella zona di Messina nel periodo in cui Attilio era stato trovato morto. “Questa persona - aveva spiegato lo scrittore - autorevole e affidabile, mi aveva detto esattamente che Attilio Manca era stato prelevato in elicottero e portato nella zona di Tonnarella (località balneare sulla costa tirrenica, a una ventina di km da Barcellona Pozzo di Gotto, ndr), in una struttura privata che qualche medico locale aveva messo a disposizione, e lì aveva visitato Bernardo Provenzano”. Nel suo intervento Luciano Mirone aveva evidenziato che secondo la testimonianza di quest’uomo, il “prelevamento” di Attilio Manca sarebbe avvenuto “prima dell’intervento chirurgico di Marsiglia (a cui si era sottoposto Bernardo Provenzanoad ottobre del 2003, ndr), quando cioè si doveva fare la diagnosi (al boss, ndr)”. “L’ex investigatore - aveva spiegato Mirone - era andato oltre, dicendomi che quando era morto Attilio Manca, il Ros dei Carabinieri aveva fatto delle indagini e aveva scoperto che potevano esserci dei collegamenti tra la sua morte e la latitanza del capo di Cosa Nostra a Barcellona Pozzo di Gotto. Ad un certo punto era arrivato un diktat dall’alto: ‘Prego trasmettere immediatamente atti relativi alla morte di Attilio Manca e alla latitanza di Bernardo Provenzano’. Una richiesta che poteva voler dire soltanto una cosa: o chiedono gli atti per depistare, oppure perché si vuole fare giustizia”. Luciano Mirone aveva quindi concluso il suo intervento senza tergiversare: “Due giorni dopo, non avendo ancora ricevuto nulla dal Ros, questo personaggio molto in alto aveva scritto nuovamente per ricevere gli atti ‘senza ulteriori indugi’.
E senza ulteriori indugi questi atti erano stati trasmessi. Da quel momento le indagini sia sulla morte di Attilio che sulla latitanza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto si sono arenate”. Arenate a tal punto che, nonostante le continue opposizioni dei legali della famiglia Manca alle varie richieste di archiviazione succedutesi negli anni da parte dei Pm di Viterbo Pazienti e Petroselli, si è giunti alla vergognosa archiviazione del 2018 ad opera del Gip capitolino Elvira Tamburelli. Del tutto inutili sono stati i tentativi degli avvocati Fabio Repici e Antonio Ingroia che, nella loro ultima opposizione, hanno elencato uno per uno i punti sui quali era fondamentale investigare, tra cui: iscrivere nel registro degli indagati Ugo Manca, cugino del giovane urologo, e il condannato in appello per mafia Rosario Pio Cattafi; investigare su di loro e sugli altri protagonisti di questo omicidio a partire dall’ex poliziotto Giovanni Aiello, detto “faccia da mostro”, Carmelo De Pasquale, personaggio di grande spessore nell'organigramma mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), e l’ex capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano (tutti e tre deceduti). Interrogare la dottoressa Dalila Ranalletta che aveva effettuato l’autopsia sul corpo del medico siciliano (autopsia che la precedente Commissione antimafia aveva ritenuto caratterizzata da “gravi lacune e superficialità”), quella stessa dottoressa che, in un’intervista a Le Iene, si era lasciata sfuggire off record alcune considerazioni interessanti ai fini investigativi; interrogare gli ex colleghi del giovane urologo ed altri collaboratori di giustizia, e infine interrogare il tossicologo bolognese Giancane per il quale la morte di Attilio è da attribuire ad un vero e proprio omicidio. Tutto rigettato dalla giudice Tamburelli. Che ugualmente non ha disposto la riesumazione del cadavere di Attilio. Né tanto meno ha disposto l’audizione di cui si parla nell’attuale relazione della Commissione antimafia: quella dell’ex militare dell’Arma. Che nel 2016 abbiamo incontrato anche noi per cercare di approfondire quanto aveva già raccontato ad una strettissima cerchia di persone, ma non alla magistratura che indagava sulla morte di Attilio Manca.
Alla nostra richiesta di avere ulteriori dettagli l’ex investigatore aveva opposto un netto rifiuto. La sua grande paura di possibili ritorsioni - mafiose, ma non solo - nei suoi confronti gli avrebbe impedito di poter raccontare di più. Dopo quell’incontro non c’erano stati più ulteriori sviluppi investigativi.
Oggi, però, l’evidenza di quanto sia determinante cristallizzare a livello giudiziario le sue dichiarazioni emerge con forza nelle parole inequivocabili della Commissione antimafia. Che ha il grande merito - attraverso dati oggettivi - di andare ben oltre la schizofrenica relazione del 2018 firmata in primis dall’ex presidente dell’Antimafia Rosy Bindi.
“Il lavoro di questa Commissione – si legge invece nell’ultima relazione – ha dato la possibilità di aggiungere altri, decisivi, elementi per far ritenere provata la tesi dell'omicidio”. Elementi che affondano le proprie radici nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
“Appare impossibile – si legge ancora – giungere ad una conclusione diversa da quella secondo cui Attilio Manca sia stato ucciso”. Per gli estensori della relazione questa è realmente “l’unica ipotesi ragionevole e priva di contraddizioni con i dati obiettivi delle modalità della morte”. Ed è proprio “la certezza che la morte di Attilio Manca sia imputabile ad un omicidio di mafia” quella che prende forma man mano che scorrono i capitoli, anche se viene evidenziato un aspetto inquietante: “non è chiaro” se “l'associazione mafiosa che ne ha preso parte” ha avuto il “ruolo di mandante o organizzatrice o esecutrice”. Un ulteriore mistero. Che la magistratura competente – una volta per tutte – ha il dovere di affrontare con ogni mezzo a disposizione, per restituire verità e giustizia ad Attilio Manca e alla sua famiglia. Prima che la strisciante “inerzia” giudiziaria – salvo rarissime eccezioni – che ha caratterizzato questi anni di inchieste sul caso Manca si cronicizzi in mera complicità. Di cui poi scriveranno gli storici.
Info: www.attiliomanca.it