Saro Cattafi e la baia di Sant’Antonio a Milazzo, aperta un’indagine dalla procura di Barcellona
Di Antonio Mazzeo - Secondo quanto riferito stamani dalla Gazzetta del Sud, la Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto ha aperto un fascicolo d’indagine per appurare quanto rivelato nei mesi scorsi da Stampalibera.it relativamente alla “presunta” infiltrazione criminale-mafiosa a Capo Milazzo, in particolare su quella che è nota a livello internazionale per bellezza e caratteristiche paesaggistiche-ambientali: la baia di sant’Antonio. L’inchiesta è stata affidata ai militari della Compagnia della Guardia di finanza del capoluogo mamertino che avrebbero già sentito “numerose persone informate sui fatti”, tra gli altri, sembra, alcuni ex componenti e funzionari del Cda della Fondazione Lucifero. Questo dopo aver acquisito una ampia documentazione.
Il 27 settembre 2021, Stampalibera.it pubblicava un lungo articolo dal titolo “Mafia a Milazzo. La baia di sant’Antonio è la baia di don Saro”, in cui veniva documentato il tortuoso iter di acquisizione di quattro particelle di terreno “a pascolo” per 4,59 ettari nel promontorio di Capo Milazzo da parte di una delle figure più note dell’arcipelago criminale della Sicilia, Rosario Pio Cattafi, (ritenuto dagli inquirenti uomo-cerniera tra mafia, politica, eversione di destra, servizi segreti) e un’anziana signora originaria del comune di Merì ma residente a Barcellona Pozzo di Gotto, Mattia Gitto, sorella dello scomparso Francesco “Ciccio” Gitto, “patriarca” della vecchia criminalità mafiosa del Longano. L’acquisto di una parte importate del promontorio con annessi immobili risalirebbe a metà anni settanta e sarebbe stato finalizzato alla realizzazione di un complesso turistico-immobiliare(affaire fortunatamente sfumato), presumibilmente reinvestendo capitali di illecita provenienza.
La titolarità della baia di sant’Antonio da parte di Rosario Pio Cattafi e Mattia Gitto era del tutto ignota e solo il 2 novembre 2020 il pluripregiudicatobarcellonese aveva effettuato la trascrizione della parte di immobili acquisita (il 50%) presso l’Agenzia delle entrate di Messina. Poi l’estate scorsa ilCattafi si sarebbe presentato negli uffici dell’Area marina protetta di Capo Milazzo e della Fondazione Barone Giuseppe Lucifero di S. Nicolò (istituzione pubblica di assistenza e beneficienza titolare di vasti appezzamenti del promontorio) per chiedere l’autorizzazione ad attraversare il sentiero che percorre la baia, al tempo interdetto per le frane del costone roccioso.
Nonostante lo sconcerto generale per la “scoperta” che i chiacchierati “privati” avevano messo le mani su un’area che da decenni gli ambientalisti vorrebbero consacrata a riserva naturale, né l’amministrazione comunale di centrodestra retta dal sindaco Giuseppe Midili, né alcun consigliere comunale di maggioranza e opposizione ha ritenuto sino ad oggi dedicare alcuna attenzione all’affaire. Imbarazzato silenzio da parte del mondo cattolico che pure possiede nell’area la chiesetta-santuario dedicata al santo protettore di Padova, luogo di culto caro a tutta la Sicilia. Perlomeno discutibile il comportamento delle associazioni culturali e ambientaliste. Il giorno dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Stampalibera.it, 13 gruppi cittadini (alcuni di rilievo nazionale come Arci, Italia Nostra, WWF) emisero una nota in cui ci si limitava a rilevare solo il grave dissesto idro-geologico e “i continui crolli e smottamenti del costone, che possono pregiudicare seriamente la pubblica fruizione in sicurezza del bene”. Nessun accenno invece alla presenza tra i comproprietari dei terreni e dei ruderi della baia del barcellonese Rosario Pio Cattafi. Nella nota si evitata perfino di riportare l’ipotesi di penetrazione criminale-mafiosa nell’area di immenso valore naturaistico.
Unica “nota stonata” nel desolante quadro di omertà e scarso coraggio civile il comunicato stampa dell’“Associazione Antimafie Rita Atria” (sorta proprio nella città di Milazzo per poi divenire nazionale) e della testata giornalistica Le Siciliane. “Ci impegneremo con tutte le nostre forze – scrivevano congiuntamente - cercando di coinvolgere associazioni antimafie e ambientaliste, politici che si indignano e istituzioni competenti per aprire e portare avanti una lotta affinché possa divenire bene pubblico tutta la splendida baia Sant’Antonio, paesaggio sottoposto a vincolo e soprattutto affinché certi nomi non possano in alcun modo offendere con la loro storia anche la bellezza del paesaggio”.