Ucraina: Pino Russo, il mercenario messinese ancora latitante e ricercato in Donbass
La latitanza di Pino Russo, il 'mercenario' messinese di 29 anni con la passione del kalashnikov, e che da anni vive nel Donbass, è iniziata il 27 aprile del 2021, quando il Tribunale di Messina ha emesso una ordinanza di custodia cautelare in carcere confermata dal Tribunale del Riesame nel luglio 2021. Il giovane, che non è mai tornato in Italia, come confermano fonti investigative all'Adnkronos, è ancora ricercato con l'accusa di avere violato la convenzione internazionale contro il reclutamento, l'utilizzazione, il finanziamento e l'istruzione di mercenari, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 4 dicembre 1989.
Giuseppe Russo, chiamato 'Pino', è rimasto a combattere al fianco delle milizie filorusse nel conflitto armato nel territorio ucraino del Donbass, in Ucraina orientale "dietro retribuzione e senza essere cittadino di quello Stato né lì stabilmente residente", come scrive il Tribunale di Messina. Sul mercenario le indagini non si sono mai fermate. Anche i Servizi segreti, oltre a diverse Procure, sono alla ricerca del giovane messinese in Donbass e di altri mercenari italiani che si trovano in quel territorio. L'attenzione "è massima", dicono fonti di intelligence all'Adnkronos. Un appassionato delle armi, Russo, tanto da dire in una chat, senza sapere di essere intercettato: "E' stato bello sparare ieri, come i pazzi... vvrumm vvrumm...". L'uomo, come rivela lui stesso in una conversazione, è inquadrato "nella fanteria speciale russa". Il fatto risulta "aggravato dalla transnazionalità, in quanto posto in essere da un gruppo criminale organizzato, impegnato in attività criminali in più di uno Stato, con contestazione in Italia e Ucraina, da epoca prossima al giugno 2016 e accertate sino al maggio del 2020".
La Procura di Messina ha documentato che l'uomo combatteva in Donbass.
L'attività di indagine condotta dai Carabinieri del Ros di Messina "prendeva le mosse dall'inaugurazione nella città dello Stretto, nel giugno del 2018, del 'Centro di Rappresentanza dell'autoproclamatasi Repubblica popolare di Lugansk in Italia', presieduto dal coindagato Daniele Macris", scrive ancora il Tribunale del Riesame nel provvedimento in possesso dell'Adnkronos. Le indagini, coordinate dal Procuratore di Messina, Maurizio de Lucia, si erano avvalse anche dell’analisi dei flussi finanziari internazionali e dei dati forniti da Facebook sulla base di una commissione rogatoria con gli Stati Uniti avviata dalla Procura peloritana. È stato così possibile documentare che Giuseppe Russo operava come combattente mercenario nella regione del Donbass, dove si era stabilito dal 2016, condividendo sui social network le proprie attività militari con congiunti e amici, alcuni dei quali gli chiedevano consigli e indicazioni per intraprendere la medesima attività.
Nel corso dell'indagine gli inquirenti trovarono anche conferma dell’esistenza e dell’operatività di una struttura organizzata attiva nell'area Italia-Ucraina e dedita al reclutamento e al finanziamento di mercenari destinati ad integrare le fila delle milizie separatiste filorusse nel Donbass. Il circuito coinvolge soggetti provenienti da diverse regioni d’Italia che hanno intrapreso l’attività di “combattenti”, schierati a fianco delle milizie filorusse e contro l’esercito regolare ucraino nei territori contesi delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk e, in tale contesto, particolarmente allarmanti sono risultati i rapporti dell’indagato messinese con altri mercenari e, in particolare, con Andrea Palmeri, livornese, detto “il generalissimo”, già destinatario di un mandato di arresto europeo in quanto ritenuto responsabile di arruolamento e reclutamento di mercenari a scopo terroristico ed eversivo ed associazione per delinquere.
Su Facebook tracce dell'attività del mercenario.
"Anche l'esame del profilo Facebook di Russo confermava il convincimento che lo stesso svolgesse attività di mercenario in Ucraina", si legge ancora nel Riesame. I giudici parlano anche di "plurime immagini che ritraevano Russo in uniforme di combattimento, con fregi militari di appartenenza filorusso, come la stella presente sul colbacco, la stella con falce e martello sulla fibbia, nonché altre immagini, più datate che lo ritraeavano, con il medesimo abbigliamento, mentre imbracciava un fucile mitragliatore (presumibilmente fucile AK47, meglio noto come kalashnikov) accanto a una presunta mina antiuomo e immagini di quella che appariva una base militare con la scritta 'Per Putin' in cirillico".
Nel provvedimento, il giudice del Riesame, parla anche della retribuzione dei mercenari in Donbass. "Secondo quanto riferito da Russo - si legge - maggiore la retribuzione per il servizio prestato nelle linee di combattimento, minore se svolto attraverso turni di guardia". Secondo la difesa, l'uomo sarebbe stabilmente "residente in Donbass, da epoca antecedente allo scoppio del conflitto" ma per il giudice questa circostanza "è destituita di fondamento, posto che plurime risultanze documentali depongono nel senso della presenza dell'uomo all'estero solo a far data dal 2016".
Inizia tutto per caso, dopo un post pubblicato il 6 gennaio del 2019 sul profilo Facebook di tale Giuseppe Russo, fino a quel momento uno sconosciuto per le forze dell'ordine. Invece Russo, detto 'Pino', 20 anni, per la Procura di Messina, guidata da Maurizio de Lucia, è un 'mercenario' pro Russia che da anni si trova nel territorio ucraino del Donbass. Il gip di Messina, nell'aprile del 2021, ha disposto l'arresto del giovane, poi confermato dal Tribunale del Riesame, nel luglio 2021. L'inchiesta è partita dall'analisi del profilo Facebook di Russo che aveva postato una sua foto con indosso "un'uniforme di combattimento con fregi militari, quali la stella sul colbacco, la stella con falce e martello nella fibbia, di chiara appartenenza filorussa", scriveva il gip nella misura cautelare.
Le indagini "confermavano l'operatività di Russo quale mercenario nel conflitto armato in questione, nonché i rapporti tra lo stesso" e altre persone che lo avrebbero assoldato. Per i giudici "l'esercizio di una effettiva attività militare di Russo emergeva a più riprese: in data 3 aprile 2019 Russo riferiva alla sorella Giorgia che egli effettuava dei turni di guardia, in una zona in cui vigeva il coprifuoco, e veniva pagato in rubli", aveva poi aggiunto il Tribunale del Riesame come apprende l'Adnkronos. Non solo. "In una conversazione del 13 aprile la madre di Russo commentava con il convivente e la figlia Giorgia, "come il figlio facesse il soldato", "ma non in condizioni normali e avesse cominciato a nutrire dubbi sulla opportunità di continuare in questa scelta, avendo ormai una compagna e una figlia piccola, benché facesse il 'lavoro' che gli piaceva", dice il giudice. Nella stessa conversazione, la madre del mercenario "riferiva di essersi recata in Donbass in passato e avere assistita ad una parata militare in cui sfilava il figlio".
'Voleva farsi un tatuaggio con l'effige della propria milizia'.
Il 16 agosto 2019 "Russo riferiva con compiacimento ai familiari di essere stato impegnato in una azione militare, nel corso della quale era stato impiegato, tra l'altro, un mitragliatore kalashnikov". Il 16 novembre 2019, conversando con la sorella e con il fidanzato di lei, il mercenario diceva di "volersi fare un tatuaggio con l'effige della propria milizia". Ecco la conversazione intercettata: "...Metà teschio... metà maschera a gas... con il filo spinato attorno". Secondo il gip di Messina, come si legge nella misura cautelare, Russo aveva postato sul suo profilo social altre foto "mentre imbracciava un fucile mitragliatore, tipo kalashnikov, in dotazione all'Esercito russo, accanto a una mina antiuomo. In altre immagini era anche ripresa una base militare con la scritta 'Per Putin' e in cirillico".
Inoltre "dall'acquisizione di alcuni filmati presso la Rai, in occasione di una puntata del programma 'Speciale Nemo' mandato in onda il 18 giugno 2018 sul conflitto in Ucraina, veniva ripreso un uomo con le fattezze di Russo". E che si trattasse di lui "si aveva la conferma da una chat su Facebook in cui lo stesso Russo riferiva a un amico di essere stato ripreso nel corso di una trasmissione televisiva sebbene si fosse rifiutato di rilasciare una intervista". Ecco come nasce l'idenitificazione del mercenario di Messina.
LE INTERCETTAZIONI.
"Bruttissimo... cioè brutto... bello e brutto nello stesso tempo... le bombe vicine è stato bruttissimo... ho detto minchia ora muoio (ridendo)... non tanto che morivo... mi spaventavo che mi facevo male più che altro". E' il 19 febbraio del 2020 quando Pino Russo, mercenario messinese pro Russia arruolato in Ucraina, parla con la sorella. Le intercettazioni sono inserite nel provvedimento del Tribunale del Riesame che il 21 luglio del 2021 boccia il ricorso presentato dalla difesa di Russo, latitante dall'aprile del 2021 con l'accusa di avere svolto attività mercenaria all'estero. Russo è ricercato in quel territorio dall'intelligence italiana, che cerca anche altri mercenari italiani. "L'esperienza era stata per Russo talmente esaltante - scrive il giudice - tanto che egli si proponeva di munirsi di una telecamera, per filmare le scene di guerra". Sempre il 19 febbraio l'uomo dice ancora alla sorella: "Abbiamo sparato con i bazooka... lo sai cosa mi devo comprare? La telecamera che si monta sul casco".
Le indagini "hanno confermato l'operatività di Russo quale mercenario nel conflitto armato in questione, nonché i rapporti tra lo stesso" e altre persone che lo avrebbero assoldato. Per i giudici "l'esercizio di una effettiva attività militare di Russo emergeva a più riprese: in data 3 aprile 2019 Russo riferiva alla sorella Giorgia che egli effettuava dei turni di guardia, in una zona in cui vigeva il coprifuoco, e veniva pagato in rubli". Non solo. "In una conversazione del 13 aprile la madre di Russo commentava con il convivente e la figlia Giorgia, "come il figlio facesse il soldato", "ma non in condizioni normali e avesse cominciato a nutrire dubbi sulla opportunità di continuare in questa scelta, avendo ormai una compagna e una figlia piccola, benché facesse il 'lavoro' che gli piaceva", dice il giudice. Nella stessa conversazione, la madre del mercenario "riferiva di essersi recata in Donbass in passato e avere assistita ad una parata militare in cui sfilava il figlio".
In data 16 agosto 2019 "Russo riferiva con compiacimento ai familiari di essere stato impegnato in una azione militare, nel corso della quale era stato impiegato, tra l'altro, un mitragliatore kalashnikov". Il 16 novembre 2019, conversando con la sorella e con il fidanzato di lei, il mercenario diceva di "volersi fare un tatuaggio con l'effige della propria milizia". Ecco la conversazione intercettata: "...Metà teschio... metà maschera a gas... con il filo spinato attorno". Il fidanzato della sorella, intercettato senza sapere di essere ascoltato, "affermava come Russo fosse partito" "per fare la guerra" e "vivesse in mezzo ad eserciti... carri armati, bombe... e chi più ne ha più ne metta...", si legge nelle conversazioni.
Nello stesso dialogo, del febbraio 2020, "mostrava compiacimento per le giornate trascorse in trincea - si legge ancora nel provvedimento del Riesame che conferma l'arresto del mercenario - e orgoglio per la circostanza che tra le proprie linee vi fossero stati soltanto pochi feriti, mentre l'Ucraina, era arretrata dalle proprie posizioni: ...ma comunque noi abbiamo avuto solamente cinque feriti da quanto ho sentito... Ieri... l'Ucraina ha perso, invece, delle posizioni, se ne è scappate dalle posizioni...". "Lo stesso, nondimeno, prevedeva che nei giorni successivi l'Esercito ucraino riprendesse le posizioni in occasione della festa nazionale russa della liberazione prevista per il 23 febbraio 2020".
"Però, sicuramente, io penso - dice Russo nelle intercettazioni . il 23 febbraio, dato che da noi è festa, ce la faranno pagare, sicuramente". I dialoghi intercettati dal Ros dei Carabinieri mostrano anche alcuni momenti di cinismo dell'uomo. "In occasione dell'assenza di un superiore - scrive il giudice - insieme ai suoi commilitoni, aveva obbligato, sotto minaccia delle armi, un anziano alcolizzato e ammalato a uscire di notte al freddo per comprare loro della vodka. Una volta resisi conto del suo stato di salute precario, avevano abbandonato l'uomo per strada, nel gelo". "Russo non esitava a descrivere - rimprovera il giudice - tali vicende agghiaccianti come momenti 'belli', incontrando almeno in questa occasione l'obiezione della sorella".
Lo stesso mercenario, come risulta dalle carte, avrebbe espresso la volontà di spostarsi ed "effettuare la medesima attività in Siria perché lì gli stipendi erano più alti". In un'altra conversazione, del 19 febbraio 2020, il giovane parlando ancora con la sorella racconta: "Cose che volavano... erano proiettili, bombe che volavano... minchia, ero... e niente poi siamo andati in trincea, siamo andati lì e abbiamo sparato nelle posizioni ucraine e le abbiamo distrutte noi. Comunque tutti hanno sparato, tutte le linee della guerra del territorio del Donbass".
Il mercenario, nelle intercettazioni, rivela il proprio "compiacimento - come scrive anche il giudice - per la propria attività svolta" in Donbass.
"Incomprensibilmente definita 'il lavoro che mi piace, per l'uso delle armi da guerra' ("è stato bello ieri... a sparare come i pazzi... boom boom... che poi onestamente è stato quando... del carro armato... poi c'è stato l'incendio di qualche bottiglia... e abbiamo sparato... prr prr... il kalashnikov ha sparato... dico... in 5,6 secondi trenta colpi, vrummm... bello... bello"). Nella conversazione del 19 febbraio 2020 parlando ancora con la sorella, Pino Russo dice: "Si può morire tutti i giorni, la percentuale di morte è del 50 per cento... Ieri mi sono ca..to di sopra, minchia, forse mi poteva cadere qualche bomba sopra, perché c'è stato un momento che cadevano le bombe dove ero io, tipo a 15 metri".
Sono trascorsi due anni da quelle intercettazioni e Pino il mercenario è ancora in Donbass e combattere con i russi. Fonte: Adnkronos