ADDIO AD ANTONIO PAPALIA, GIORNALISTA IRRIVERENTE E LIBERO. IL RICORDO DI GIUSEPPE RAMIRES
Ieri, a causa di un male incurabile, è morto il giornalista Antonio Papalia. Antonio è stato un giornalista irriverente, libero come pochi, e per questo isolato, perchè scomodo, nell'ultima parte della sua vita. Stampalibera è stato l'ultimo giornale in cui ha scritto, e di questo ne andiamo fieri. 'E' l'unico giornale davvero libero', diceva. Dal 2017 volle regalarci, e quindi riprendere a scrivere dopo tanti anni, alcuni articoli a cui teniamo tanto e che presto ripubblicheremo. Ma Antonio Papalia iniziò la sua attività giornalistica, quasi trent'anni fa, al settimanale l'Isola, diretto dal giornalista Giuseppe Ramires con il quale ha percorso un breve ma importantissimo tratto di strada. Ed è proprio a Giuseppe Ramires, che ringraziamo, che abbiamo chiesto un ricordo di Antonio.
di Giuseppe Ramires - Antonio Papalia fu uno dei fondatori del settimanale “l’isola”, il cui primo numero apparve in edicola il 18 giugno 1993 (nella foto che pubblichiamo è assieme ad un altro redattore del giornale, scomparso due anni fa, Ubaldo Smeriglio, ndr). Il mio ricordo di Antonio è legato a quell’esperienza giornalistica, che s’interruppe quasi due anni dopo.
Quel giornale, nasceva per impulso di Tangentopoli, era un giornale di inchiesta e di denuncia, un giornale inevitabilmente molto ‘serio’. Per questo motivo la proposta di Antonio - creare una rubrica satirica - fu subito accolta positivamente e trasformata in inserto, con un titolo a dir poco irriverente: “Palle”. Quattro pagine in rosa, che Antonio preparava da solo, mettendoci dentro una buona dose, talvolta anche eccessiva, di provocazione e ‘sano’ cinismo. Arrivava in redazione con una busta piena di ritagli di giornale, che servivano per creare incredibili fotomontaggi, al limite della querela (e qualche querela ci fu veramente). Con “Palle”, con il suo linguaggio diretto e impietoso, il giornale diceva quelle cose che il cronista poteva pensare ma non scrivere. Antonio preparava anche i testi, facendo ricorso alla sua grande esperienza di autore per il teatro, mondo dal quale proveniva e che credo sia rimasto il suo grande amore.
La satira di Antonio Papalia era graffiante e urticante, sempre efficace, qualche volta anche geniale, come quando - Tangentopoli stava distruggendo i partiti della prima repubblica - titolò: “La «Diccì» non è più «Diccì»: ormai è già «Pipì»!”. E aggiungeva un fantomatico commento di Rosy Bindi, che veramente aveva promosso la nascita del nuovo partito (il Partito Popolare): “dovevo farla subito, se no mi scappava”.
L’inserto satirico andò avanti per tutto il 1993, sino al numero dell’11 marzo 1994. L’esperienza si concluse anche perché il clima politico era cambiato e quella satira pungente e impietosa cominciava a dare fastidio ai ‘nuovi’ protagonisti della politica, sia a destra che a sinistra. Antonio restò nell’“isola”, e si ritagliò uno spazio di critico teatrale, in cui era perfettamente a suo agio.
Memorabili alcune sue stroncature. Recensendo “A piedi nudi nel parco” (in scena al ‘Vittorio’ con Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini, febbraio 1994), una commedia che voleva essere comica, Antonio concludeva: «Abbiamo riso anche noi. Ma probabilmente nei momenti in cui gli altri restavano seri». Uno sfregio di gran classe. Del resto Antonio di teatro ne capiva veramente tanto e, nonostante la sua vena pungente, era capace di riconoscere il valore delle cose e la bravura degli artisti. Esemplare la recensione che scrisse per la prima di “Jesus Christ Superstar” con la regia di Massimo Piparo (aprile 1994): “Un meritato successo per quanti hanno avuto il coraggio di affrontare uno spettacolo così bello, emozionante e complesso, e hanno vinto la scommessa. A Messina, dove spesso il teatro si è prodotto e si riproduce squallore”.
Ma il ruolo di Antonio nella redazione dell’“isola”, non si limitava a questo. Per me era un punto di riferimento nella cura della lingua italiana, che lui padroneggiava. Fargli leggere gli articoli prima di andare in stampa era motivo di garanzia per tutti. Chi ha lavorato in quella redazione lo sa bene, penso che lo ricordi e possa riconoscere ad Antonio di averci qualche volta corretto (salvandoci dagli strafalcioni) e qualche volta insegnato a scrivere meglio.
Non aveva un bel carattere, nel senso che non faceva compromessi e ti diceva sempre quello che pensava. Ma noi tutti gli volevamo molto bene, sapevamo che potevamo contare sempre sulla sua onestà intellettuale e lealtà. Le sue idee politiche non le ho mai sapute, credo che amasse la giustizia e che guardasse all’umanità in modo realistico, senza lasciarsi prendere dagli ideali, ma forse nutrendo in sé la speranza di un mondo migliore. Concludendo un bell’articolo, che raccontava la nascita a Messina di due movimenti di donne impegnate in politica e nel sociale, così scriveva nel numero del 15 aprile 1994: “Noi crediamo nelle donne. E nella libertà. Sicuramente le donne, e specialmente le donne, potranno fare parecchio per evitare che si debbano vivere mai altri «fascismi». Né neri, né rossi, né variamente colorati”.
Domani alle ore 11, presso il cimitero centrale di Messina, l'ultimo saluto.