26 Ottobre 2021 Guerra&Pace

L’INCHIESTA: LEONARDO SENTE PROFUMO D’ARABIA. UN’ITALIA SENZA MEMORIA DIMENTICA REPRESSIONI E DELITTI DEGLI OPPOSITORI

di Antonio Mazzeo – Profumo d’Arabia. Il brand di una fragrante essenza esotica? No, l’amore dell’amministratore delegato di Leonardo (ex Finmeccanica), Alessandro Profumo, per la ricca e potente petromonarchia mediorientale e per la sua fondazione no profit di promozione sociale, il Future Investment Initiative Institute (FII) nel cui board siede l’ex premier Matteo Renzi.

Qualche giorno fa Il Fatto Quotidiano ha rivelato che l’istituto del principe Mohammad bin Salman ha chiesto ad Alessandro Profumo di intervenire al forum internazionale Invest in Humanity che prenderà il via martedì 26 ottobre al King Abdulaziz International Conference Center di Riyadh. “Sono in programma diversi panel che riguardano da vicino l’attività di Leonardo”, riporta il quotidiano. “È il caso di un incontro sulla Cybersecurity o di un dibattito sugli investimenti sull’idrogeno, ma anche di alcuni eventi sull’intelligenza artificiale.

Sono però altri appuntamenti a dare l’idea dell’intento propagandistico del FII, veicolo perfetto per la famiglia reale per ripulire un’immagine internazionale macchiata da accuse gravissime, come quella – messa nera su bianco dalla Cia nei confronti del principe ereditario Bin Salman – di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi”.

Quando Il Fatto Quotidiano ha denunciato l’inopportuna presenza dell’ad della maggiore holding del complesso militare-industriale, il programma del forum saudita non era ancora definito. Oggi è tutto nero su bianco: mercoledì 27 ottobre Alessandro Profumo sarà uno dei relatori del workshop dall’altisonante titolo Summit: Investing in ESG, dove ESG è l’acronimo di “Environmental, Social and Governance”, la governance socio-ambientale sostenibile ipocritamente decantata da quasi tutti i governi per giustificare miliardari investimenti a favore delle nuove tecnologie dual, militari-civili (droni e robot, digitalizzazione, centrali nucleari, ecc.).

Fondata nel 2017 nell’ambito del programma di riforme sociali e politiche promosse dalla casa regnante (Saudi Vision 2030) il Future Investment Initiative Institute punta in particolare a intervenire con massicci investimenti finanziari in due settori strategici, l’intelligenza artificiale e la robotica, assai cari a Leonardo, alle grandi industrie militari e ai maggiori gruppi finanziari internazionali.

L’Italia di Draghi, Cingolani & C. ha fiutato grandi affari nel mondo arabo. Così ad Invest in Humanity oltre a Profumo, relazioneranno Pierfrancesco Vago, presidente di MSC Crociere; e Giorgio Moretti, ex manager della società di tecnologie militari Elsag Datamat e fondatore e Ad del Gruppo Dedalus (uno dei maggiori fornitori al mondo di software sanitari e diagnostici). E speaker, ovviamente, Matteo Renzi “ex primo ministro, Italia e Board member del Future Investment Iniziative Institute”.

L’Arabia Saudita si conferma la Mecca di industriali, petrolieri e investitori nonostante il pesantissimo clima politico interno, le repressioni e i delitti degli oppositori scomodi e i crimini perpetrati in Yemen nella guerra che vede, dal 2015, il regime saudita e gli Emirati Arabi combattere contro i gruppi armati sciiti Houthi e bombardare le inermi popolazioni civili.

Eppure il 29 gennaio 2021, appena nove mesi fa, alla vigilia del cambio di testimone con Mario Draghi, l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte aveva deciso di revocare le autorizzazioni per il trasferimento di missili e bombe a Riyadh e alle forze armate emiratine, rilasciate tra il 2016 e il 2018. Una decisione importante, quella del governo uscente, che faceva proprie le richieste delle organizzazioni Nowar e di difesa dei diritti umani e di numerosi parlamentari.

Secondo la Rete Pace e Disarmo tra il 2015 e il 2019 l’Italia aveva autorizzato l’export di armamenti verso l’Arabia Saudita per un valore complessivo di 845 milioni di euro. Sei autorizzazioni per 105 milioni di euro erano state autorizzate nel secondo semestre 2019 mentre per i primi sei mesi del 2020 erano state accertate spedizioni per 5,3 milioni di euro.

La risposta delle industrie belliche italiane e delle lobby dei parlamentari armati è stata immediata: proteste formali e incontri informali con i ministri del nuovo governo, appelli e campagne mediatiche, le minacce di licenziamenti di massa e chiusura di stabilimenti (soprattutto da parte dei manager della Rwm di Domusnovas, in Sardegna, azienda produttrice delle bombe sganciate in Yemen).

Gli effetti dell’ammorbidimento pro-sauditi trapelavano in alcuni articoli pubblicati dalla stampa estera specializzata nel settore difesa. Il 2 marzo 2021, la testate web Tactical Report annunciava l’avvio di una trattativa italo-saudita per il trasferimento di tecnologie nel settore dei velivoli senza pilota.

“Nonostante la decisione dell’Italia dello scorso mese di bloccare la vendita di migliaia di missili all’Arabia saudita e agli Emirati Arabi, ci sono voci che ciò non comporta né comporterà alcuna conseguenza nelle relazioni di vecchia data tra Roma e Riyadh”, riferiva Tactical Report. “Il divieto si applica solo sui missili e sulle munizioni di precisione e non influenza direttamente la ricerca e lo sviluppo congiunti, di cui è stato detto includere il trasferimento di tecnologia e intelligence per i droni”.

“L’Italia ha allentato le restrizioni sulle esportazioni di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi, una mossa finalizzata a ridurre le tensioni diplomatiche con i due stati del Golfo”, scriveva l’agenzia Reuters il 7 luglio 2021. “Il divieto resta in vigore, ma in una direttiva del ministero degli esteri visionata da Reuters si riporta che gli altri vincoli introdotti nel 2019, che effettivamente hanno bloccato tutte le vendite di armi ed equipaggiamenti che dovrebbero essere usati in Yemen, ora saranno sollevati”.

“Tutte le autorizzazioni esistenti devono essere considerate valide anche senza questi requisiti, aggiunge la breve direttiva che è stata firmata”, spiegava l’agenzia stampa. “Una fonte del ministero degli Esteri ha dichiarato che le licenze per le armi revocate a gennaio, incluse la vendita di circa 12.700 missili, resterebbero bloccate (…) I media italiani hanno riportato che le industrie italiane erano preoccupate che avrebbero potuto perdere anche i contratti nel settore civile…”.

Potente portavoce delle istanze pro-Riyadh, ovviamente, l’amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo. Già a partire della primavera del 2019, Profumo si era unito al coro delle holding europee contro le prime prese di posizione in ambito Ue a favore dell’embargo di armi ai paesi belligeranti in Yemen. “Recentemente la Germania ha dichiarato di voler bloccare le vendite all’Arabia Saudita, ma quest’embargo minaccia lo sforzo dell’Unione Europea di esportare armi realizzate unitariamente”, dichiarava l’ad di Leonardo in un’intervista alla testata statunitense Defense News (19 aprile).

“Ciò che mi preoccupa particolarmente è che noi rischiamo di rompere la creazione di un sistema di difesa europeo. Nel caso di programmi congiunti, come ad esempio quello pan-europeo del caccia Eurofighter, l’eventuale embargo ordinato da uno dei paesi partner non dovrebbe consentire di metterne in pericolo l’esportazione”.

La vendita del cacciabombardiere alle forze armate saudite è stato il maggiore affare che Leonardo ha conseguito negli ultimi anni a livello globale. Nel 2007 è stato firmato un contratto di vendita di 72 velivoli per il valore complessivo di 6,5 miliardi di euro e la loro consegna è stata completata nel 2017. “Velivolo da combattimento multiruolo bimotore, supersonico, il Typhoon è un autentico concentrato di tecnologie fortemente innovative; grazie ai sensori di bordo i piloti hanno una superiore consapevolezza della situazione, oltre ad una capacità operativa net-centrica”, decantano i manager Leonardo. Caratteristiche sperimentate con successo sul campo bellico yemenita e che hanno convinto l’Aeronautica saudita ad avviare la trattativa per una seconda commessa per 48 cacciabombardieri e armamenti di supporto, valore 12 miliardi di euro. Gli esiti della trattativa sono attesi da qui a qualche mese.

Leonardo è membro del consorzio europeo “Eurofighter”, con sede a Monaco di Baviera, che si occupa della produzione e dello sviluppo del Typhoon. Alla struttura societaria partecipano per il 46% il gruppo tedesco-spagnolo Eads, per il 33% Bae Systems (Regno Unito) e per il restante 21% Alenia Aeronautica/Leonardo.

“In questo velivolo da combattimento Leonardo gioca un ruolo di primo piano”, spiegano i manager del gruppo italiano. “La divisione velivoli possiede una linea di assemblaggio finale a Caselle, Torino. Considerando anche l’avionica e i sensori realizzati dalla divisione elettronica, la partecipazione totale di Leonardo al programma si attesta al 36%.

Leonardo è alla guida del consorzio Euroradar a cui è affidato lo sviluppo del futuro sensore primario del Typhoon, il radar CAPTOR-E che assicurerà vantaggi significativi nelle operazioni aria-aria e aria-terra. Messo a punto dal consorzio internazionale Eurofirst sotto la guida di Leonardo, il sistema di ricerca e tracciamento all’infrarosso PIRATE consente all’equipaggio del Typhoon di rilevare e tracciare simultaneamente bersagli singoli o multipli in un ampio campo di osservazione negli scenari operativi più densamente congestionati. Con una suite completa di misure e contromisure di supporto elettronico, il sistema di auto-protezione Praetorian, sviluppato dal consorzio EuroDASS sotto la guida di Leonardo, rafforza sensibilmente la capacità del Typhoon di evitare, eludere, reagire e sopravvivere a minacce sempre più evolute”.

Oltre ai cacciabombardieri e ai nuovi sistemi radar ed elettronici, Leonardo ha venduto all’Arabia Saudita sistemi avanzati elettro-ottici e per il controllo del traffico aereo fissi e trasportabili; sistemi di comunicazione e centri di controllo; velivoli a pilotaggio remoto; elicotteri sia per operazioni di soccorso medico sia per il trasporto off-shore. A breve Leonardo spera di trasferire alle forze armate saudite anche elicotteri pesanti, sistemi missilistici (attraverso la partecipata MDBA), nuovi aerei senza pilota, convertiplani e caccia-addestratori.

Anche il ministero della Difesa e l’Aeronautica militare italiana ce la stanno mettendo tutta per ricucire le relazioni diplomatiche e d’affari con la petromonarchia saudita. Il 21 ottobre scorso, nella base di Galatina (Lecce), sede del 61° stormo, si è concluso il corso di formazione degli allievi piloti in forza alla scuole di volo dell’Aeronautica.

Tra i ventisette militari che hanno conseguito il brevetto c’erano pure tre allievi della Royal Saudi Air Force, la forza aerea dell’Arabia saudita. “Gli allievi addestrati a Galatina, destinati ai velivoli fighter, proseguiranno l’addestramento al 61° stormo con il T-346, il nuovo caccia-addestratore prodotto da Leonardo; quelli formati al 72° stormo di Frosinone saranno impiegati sugli elicotteri; i piloti brevettati dal Centro Addestramento Equipaggi MultiCrew di Pratica di Mare voleranno sui velivoli delle linee di supporto multi crew”, spiega lo Stato maggiore della difesa.

“L’evento, presieduto dal generale Aurelio Colagrande, comandante delle Scuole dell’Aeronautica Militare, ha avuto luogo all’interno dell’hangar centrale dell’aeroporto di Galatina e ha visto la partecipazione del comandante del Comando Forze per la Mobilità e il Supporto, generale Achille Cazzaniga e di alcuni rappresentanti della forza aerea saudita”, prosegue la nota. “Durante il suo intervento, il generale Colagrande ha evidenziato che la presenza di personale straniero e di altre Forze Armate dello Stato sta a testimoniare la bontà del nostro sistema addestrativo, tra i più tecnologici e moderni al mondo”.

Grazie a questa eccelsa formazione e ai sistemi di morte made in Italy, i sauditi potranno continuare a mietere vittime nella guerra in Yemen. Fonte: Speciale per Africa ExPress