L’AFFONDO: A Milazzo la mafia non esiste. E neanche don Saro C.
Di Antonio Mazzeo - Tanto rumore per nulla, anzi nulla dopo tanto rumore mi viene amaramente da dire dopo aver letto il comunicato a firma di 13 associazioni ambientaliste e culturali (alcune di rilevanza nazionale come Italia Nostra, WWF, ARCI), in cui si chiede (giustamente) “l’indispensabile e urgente consolidamento del Promontorio di Capo Milazzo”, area di “straordinaria bellezza e per questo tutelata dal Piano Paesaggistico dell’Ambito 9 che le attribuisce il livello di tutela 3, il massimo previsto”.
Il giorno dopo la pubblicazione dell’inchiesta giornalistica sull’incredibile e inconcepibile presenza criminale-mafiosa nella baia di sant’Antonio, patrimonio ambientale-paesaggistico-storico-religioso straordinario del Capo Milazzo (http://www.stampalibera.it/2021/09/27/mafia-a-milazzo-la-baia-di-santantonio-e-la-baia-di-don-saro/), nella loro nota le organizzazioni si limitano a rilevare solo il grave dissesto idro-geologico e “i continui crolli e smottamenti del costone, che possono pregiudicare seriamente la pubblica fruizione in sicurezza del bene”. Nessun accenno invece alla presenza tra i comproprietari dei terreni e dei ruderi della baia di uno dei personaggi più inquietanti della storia della repubblica, il barcellonese Rosario Pio Cattafi, presenza descritta e documentata dall’inchiesta giornalistica e la cui scoperta ha destato sconcerto tra decine di migliaia di lettori e, fortunatamente, da una parte dei cittadini dell’hinterland di Milazzo.
Non potendo ovviamente ignorare del tutto la grave notizia di cronaca, ambientalisti e operatori culturali scrivono che “in merito alla presenza di terreni ed immobili privati, anche a tutela della pubblica fruizione e per evitare qualsiasi tipo di speculazione a danno del territorio, invitiamo gli Enti titolati ad avviare l'iter amministrativo di esproprio”. L’unico problema è dunque la “privatizzazione” del bene comune e non anche e soprattutto la sua piena disponibilità nelle mani di don Saro (anche noto a Totò Riina come ’u ziu Saru). Sinceramente mi duole leggere anche la proposta dell’esproprio, non fosse altro che nell’inchiesta giornalistica abbiamo documentato le oscene transazioni e la più che sospetta provenienza del denaro con cui i “vecchi” esponenti della famiglia barcellonese sarebbero venuti in possesso di oltre 4,5 ettari di terreni della baia di sant’Antonio. Più che all’esproprio lo Stato dovrebbe dunque pensare al sequestro e alla confisca di immobili e terreni, unico strumento per ripristinare giustizia e diritti.
Nelle stesse ore in cui le 13 associazioni pubblicavano la loro nota a dir poco omissiva, i familiari di alcune vittime della criminalità mafiosa (Salvatore Borsellino, Paola Caccia, Angela Gentile Manca e Stefano Mormile) si sono rivolti all’opinione pubblica e alle istituzioni ponendo l’accento sull’attesa sentenza della Corte d’appello del Tribunale di Reggio Calabria che vede imputato proprio il dominus dell’affaire della baia di Capo Milazzo, quel don Rosario Pio Cattafi che a Milazzo continua ad essere un fantasma. “Per l’ennesima volta, dopo una serie incredibile di rinvii delle udienze che sta quasi trasformando un processo in un teatro dell’assurdo, torniamo a scrivere su queste pagine per tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica su Rosario Pio Cattafi, imputato del reato di associazione mafiosa”, scrivono i quattro familiari. “L’udienza con la quale si rinnoverà parzialmente l’istruttoria e nella quale si sarebbe dovuto ascoltare il collaboratore di giustizia barcellonese Carmelo D’Amico, fissata per il 22 settembre scorso innanzi alla Corte d’appello di Reggio Calabria, è stata rinviata nuovamente, per un impedimento dell’avvocato difensore dell’imputato. Mercoledì prossimo, 29 settembre, si spera sarà la volta buona”.
“Ricordiamo che il nome di Rosario Cattafi è entrato nelle indagini sull’omicidio del Procuratore di Torino Bruno Caccia, sull’omicidio del medico Attilio Manca, sull’autoparco di Via Salomone a Milano (una delle basi operative di un consorzio mafioso di cui faceva parte anche la “famiglia” che ordinò l’uccisione dell’integerrimo educatore carcerario Umberto Mormile) e nell’indagine della Procura di Palermo sui cosiddetti Sistemi Criminali, che avevano ritenuto necessaria – e non prorogabile – la strage di Via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e i suoi cinque agenti di scorta”, aggiungono Salvatore Borsellino, Paola Caccia, Angela Gentile Manca e Stefano Mormile. “Cattafi è già pluripregiudicato per i reati di lesioni, porto e detenzione abusivi di arma da fuoco e di calunnia, e plurindagato per altri innumerevoli reati (come sequestro di persona, omicidio, traffico di stupefacenti, traffico internazionale di armamenti, strage, associazione con finalità di terrorismo o di eversione – indagini da cui Cattafi è sempre uscito indenne, o perché archiviate, o perché prosciolto o assolto). Sono quarant’anni che questo personaggio entra ed esce da inchieste per mafia. Nel 2013 è arrivata la condanna in primo grado per associazione mafiosa. Dopo la conferma della condanna in appello, la Corte di Cassazione, il 1 marzo del 2017, ha ritenuto Rosario Cattafi partecipe all’associazione mafiosa della cosca di Barcellona Pozzo di Gotto fino al 1993, rinviando alla Corte d’Appello di Reggio Calabria il giudizio per gli anni compresi tra il 1993 e il 2000 e assolvendolo per gli anni tra il 2000 e il 2012”.
Al processo in corso a Reggio, il Procuratore generale di Reggio Calabria, Giuseppe Adornato (“ex assessore all’urbanistica proprio del Comune di Reggio Calabria, dal 2002 al 2007, quando la giunta reggina era guidata dal sindaco Giuseppe Scopelliti”, annotano i familiari), ha chiesto alla Corte di Appello di far decadere il reato di associazione mafiosa per intervenuta prescrizione. Per poi rettificare e chiedere anche l’assoluzione per gli anni compresi tra il 1993 e il 2000, nonostante la Corte avesse già ordinato la rinnovazione istruttoria. Mercoledì 30 settembre dovrebbe arrivare la sentenza.
“Se, dopo l’audizione di D’Amico, la prescrizione fosse confermata dalla Corte, cadrebbe anche il cosiddetto giudicato interno della Cassazione, che aveva riconosciuto Rosario Pio Cattafi intraneo all’associazione mafiosa fino al 1993”, concludono i familiari delle vittime di mafia. “Esattamente come fu per Giulio Andreotti, quindi, il reato sarebbe accertato ma prescritto; con buona pace di tutte le innumerevoli vittime e dei loro familiari”.
Condividiamo pienamente il dolore e l’amarezza. Ma anche tanta rabbia. E ci chiediamo cosa avrebbe scritto e commentato Leonardo Sciascia se avesse mai dovuto narrare l’intera vicenda personale e processuale del Principe nero di Barcellona Pozzo di Gotto e quale dolorosa immagine del tramonto sul Tirreno dalla baia di sant’Antonio ci avrebbe lasciato Vincenzo Consolo dopo aver appreso che quel paradiso confina con l’inferno delle morti per mafia. Che Vincenzo Consolo si sarebbe profondamente indignato ne siamo personalmente certi perché abbiamo avuto il privilegio e l’onore di vivere con lui indimenticabili momenti di confronto su mafia peloritana e militarizzazioni della Sicilia, una sera al tramonto di Capo Milazzo di tanti anni fa.
A Milazzo, la mafia non esiste era il titolo di un monologo che rappresentammo una sera d’agosto tra il Municipio e la chiesa del Carmine di Milazzo, durante un evento promosso dall’Associazione antimafie “Rita Atria”.
Milazzo feudo post-coloniale di una borghesia scaltra, dinamica, imprenditrice, mafiosa. Generatrice di un’insperata mobilità sociale: i pescivendoli che diventano imprenditori, industriali e operatori turistici; gli spacciatori ristoratori; i sorvegliati speciali costruttori e pasticceri; i muratori con il grembiulino architetti, primari o manager sanitari; i paramedici consigliori e capo-consiglieri a vita; gli sponsor dei vecchi boss onorevoli regionali. E il suo ospedale, inossidabile centro di potere, dispensatore di carriere, denaro e pacchetti di voti,raccontammo. Intanto nessuno ha il coraggio di chiamare col suo nome completo - al massimo un sospiro, “Saro C” - l’avvocato onnipresente a Milazzo sin dal suo rientro in Sicilia, a fine anni ’90, dopo un soggiorno in un carcere di Milano per una pesante condanna per traffico di droga poi annullata.
Don Saro C è ancora onnipresente e innominabile. Stavolta però, nonostante una vicenda eco-criminale che supera in fantasia le peggiori puntante della Piovra di antidiluviana memoria, in tanti ancora a Milazzo inghiottono perfino il sospiro delle sue iniziali.