
Delitto Ciurar, concessi gli arresti domiciliari
Il Collegio del riesame del Tribunale di Messina – composto dai magistrati Massimiliano Micali, presidente, e dai giudici Maria Vermiglio e Alessia Smedile – ha parzialmente accolto, con due distinti provvedimenti, i ricorsi contro la misura della custodia cautelare in carcere, disposta dal gip il 21 gennaio 2025, nei confronti dei due giovani barcellonesi indagati per l’omicidio del giovane rom Petre Ciurar. Delitto consumato il 5 dicembre del 2010. Ne dà notizia il quotidiano Gazzetta del sud.
Si tratta di Santo Genovese, residente a Reggio Emilia e di Domenico Bucolo, residente a Barcellona, entrambi di 34 anni, arrestati in relazione ai reati di omicidio aggravato in concorso, dalle modalità mafiose e di porto d'arma da sparo. Ai due indagati, Santo Genovese, che era stato associato alla casa circondariale di Bologna e Domenico Bucolo, che si trovava nel carcere di Barcellona, in forza del parziale accoglimento delle istanze difensori nell’interesse dei due indagati, i giudici del Tdr, hanno concesso i domiciliari nei rispettivi luoghi di residenza, con l’applicazione del braccialetto, previa acquisizione del consenso, prescrivendo loro di non allontanarsi dall'abitazione senza autorizzazione. Genovese e Bucolo sono, rispettivamente, difesi dagli avvocati Pinuccio Calabrò e Filippo Barbera. Ad entrambi è stato imposto il divieto di comunicare in qualsiasi forma, anche telefonica e telematica con soggetti diversi da quelli che con loro coabitano o l'assistono. Entrambi hanno potuto raggiungere il rispettivo domicilio senza scorta. L’attenuazione della misura, allo stato, sarebbe stata dettata solo dalle affievolite esigenze cautelari, atteso che il contestato reato di omicidio risale a 14 anni fa.
I due trentaquattrenni sono accusati in concorso tra loro, con Giovanni Perdichizzi (a sua volta ucciso l’1 gennaio 2013, a Sant’Antonino) di avere causato la morte del cittadino romeno di etnia rom, Petre Ciurar, esplodendo contro la baracca in cui il ventenne si trovava, diversi colpi di fucile calibro 12, uno dei quali lo centrò alla testa. Un’ipotesi di reato aggravato perché sarebbe stato commesso con modalità mafiose e al fine di agevolare l'attività del clan dei barcellonesi, e l’aggravante della premeditazione. A consentire la riapertura delle indagini le ulteriori dichiarazioni di nuovi collaboratori di giustizia, l’ultimo dei quali, Marco Chiofalo, detto Balduccio. Il quadro gravemente indiziario è stato ricostruito grazie alle indagini svolte dai carabinieri di Messina e dalla Sezione di polizia giudiziaria, aliquota carabinieri, in forza alla Procura di Barcellona, diretta dal procuratore Verzera, in un coordinamento investigativo di fatto con la Dda di Messina.