L’inchiesta sulle violenze nel carcere di rapina, l’inferno del messinese Lauria: “Vogliono portarmi alla morte”
C’era anche il caso Lauria agli atti dell‘inchiesta sul carcere di Trapani, sfociata ieri nell’arresto di 14 guardie penitenziarie accusate di torture ai detenuti. Domenico Ivan Lauria, di Giostra, morto qualche giorno fa a Catanzaro, si trovata a Trapani nel 2023 e compare tra quelli citati come casi preoccupanti dall’associazione Nessuno Tocchi Caino che, dopo l’ennesima ispezione nel penitenziario, lancia l’allarme e chiede la chiusura del reparto blu.
Si tratta della sezione riservata all’isolamento, ai detenuti con problemi psichiatrici e piscologici. La sigla dei Radicali, periodicamente impegnata a monitorare lo stato delle carceri italiane, era tornata a ispezionarlo nel giugno 2023. “Questo reparto va chiuso”, aveva scritto in stampatello e grassetto Nessuno Tocchi Caino. “Abbiamo trovato la situazione peggiorata (…) Le celle misurano 2 metri per 4, la luce filtra a malapena. Tutto è piantato al pavimento o alla parete, il “cesso” è a vista, non si può usare il fornellino. L’ora d’aria può avvenire uno per volta in una vasca di cemento due metri per nove”, scrive la delegazione in visita a Trapani.
L’inferno di Domenico Lauria
“C’è un detenuto, osservato a vista, che di cognome fa Domenico Lauria. E’ un evidente caso psichiatrico che attende che si liberi un posto all’Atsm di Barcellona Pozzo di Gotto. E’ a Trapani da un anno e mezzo, parla in continuazione ed è pieno di tagli soprattutto sulle braccia. “Mi taglio tutti i giorni, mi impicco tutti i giorni, mi vogliono portare alla morte. Sei o sette volte sono riuscito ad andare in ospedale, uscendo da questo inferno. Tutti i reati che ho commesso sono per tossicodipendenza. Da quando sto qua mi hanno fatto almeno 15 Tso. Il metadone che mi danno ha un dosaggio troppo basso e non mi fa niente”, si legge nel report di Nessuno Tocchi Caino, che riporta l’inferno personale del 28enne messinese, raccontato con la sua voce.
Quel reparto è stato poi effettivamente chiuso. Troppo tardi perché Domenico venisse salvato da quell’inferno. E troppo presto per guadagnarsi un posto al Madia di Barcellona, dove avrebbe potuto sperare in una cura. Dopo Trapani è stato invece per lui un altro carcere, quello di Catanzaro, dove ha trovato la morte. Nella denuncia il suo legale, l’avvocato Pietro Ruggeri, sottolinea le tante richieste di liberazione e cura rimaste senza risposta. “Come è possibile che un tossicodipendente invalido al 75% rimanga in quei carceri, anche dopo i tentativi di suicidio?”, si chiede la mamma di Domenico, che aspetta risposte dall’inchiesta della Procura di Catanzaro, appena avviata.