Fallimento bancario “Popolare di Vicenza” Si scrive la parola fine
Si sta per chiudere la vicenda del crack della Banca popolare di Vicenza, che vede alla sbarra i vertici del noto istituto di credito e che annovera tra le parti lese anche alcuni correntisti messinesi. Numerose le ipotesi di reato che hanno colpito la stessa banca: aggiotaggio informativo nella gestione di ente non quotato, sostanziatosi nella diffusione di false informazioni in ordine al possesso dei requisiti patrimoniali della società; ostacolo alle funzioni di vigilanza nei confronti della Banca d’Italia, consistito nell'avere taciuto a tale organismo l’esistenza dei predetti finanziamenti, avere occultato i requisiti patrimoniali effettivi dell’istituto di credito, impedendo l’esercizio di una funzione di controllo volta ad imprimere le necessarie azioni correttive, aver riportato informazioni mendaci in comunicazioni informative richieste dalla Banca d'Italia in occasione dello svolgimento dell'attività di vigilanza; ostacolo alle funzioni di vigilanza nei confronti della Consob, per aver riportato informazioni non corrispondenti al vero in ordine alle modalità di collocamento di strumenti finanziari nell’operazione di aumento del capitale sociale del 2014.
Giovedì prossimo, la Quinta sezione della Corte di Cassazione sarà chiamata a decidere i ricorsi degli imputati e della Procura generale che ha chiesto di inasprire il trattamento sanzionatorio nei riguardi dell’ex presidente della Banca popolare di Vicenza Giovanni Zonin, Emanuele Giustini (responsabile della Divisione mercato), Paolo Marin (vicedirettore con responsabilità per l’Area crediti), Massimiliano Pellegrini (dirigente addetto alla redazione dei bilanci) e Andrea Piazzetta (vicedirettore responsabile della divisione Finanza).
Tra le numerose parti civili anche professionisti messinesi assistiti dall’avv. Nino Cacia, che confidano nella tenuta del poderoso impianto motivazionale reso dai giudici di merito. «Attendiamo con fiducia l’esito del giudizio di legittimità sebbene le ragioni dei miei assistiti abbiano già ottenuto parziale ristoro all’esito di un connesso giudizio civile promosso innanzi al Tribunale di Messina che ha accolto i ricorsi promossi nei confronti di Intesa San Paolo che ha incorporato Banca Nuova controllata dall’istituto vicentino», scrive Cacia in una nota. In particolare, lo scorso settembre i giudici di Palazzo Piacentini avevano disposto il risarcimento a beneficio di due correntisti: uno dovrà ricevere 185mila euro, un altro 80mila euro. I quali, il 23 giugno 2016, avevano denunciato di aver investito, ciascuno, la somma di 6.250 euro in titoli bancari. E sostenuto che l’istituto di credito, «senza alcuna previa autorizzazione», si sarebbe appropriato delle somme «al fine di eseguire le relative operazioni di acquisto, salvo poi richiedere loro una successiva ratifica». Una cliente «avrebbe subito un arbitrario prelievo forzoso sul proprio conto corrente», l’altro, non avendo disponibilità, «avrebbe subito l’accensione di un prestito finalizzato all’acquisto di titoli». Poi, un impiegato e il direttore avrebbero proposto ai due «un ulteriore investimento, per un ammontare di 75mila euro», sul quale «non solo davano rassicurazioni sull’assenza di rischio finanziario, ma addirittura prospettavano loro che, alla scadenza di un periodo di tre anni, l’interesse garantito sarebbe stato del 25% al netto della sorte capitale di guisa da indurli alla sottoscrizione del relativo contratto di acquisto». Nella denuncia, sottolineato pure che «poiché i contratti in questione avevano ad oggetto l’acquisto di azioni della Banca popolare di Vicenza (società controllante Banca Nuova in forte crisi), già dalla fine del 2014», il valore delle azioni calava drasticamente, tanto che la Banca vicentina avrebbe proposto ai correntisti, nel frattempo divenuti soci, «una transazione in cui il valore delle azioni – a suo tempo acquistate per un ammontare di 62,50 euro cadauno – veniva addirittura individuato in appena 9 euro». Sul caso aveva effettuato accertamenti la Gdf.