VARESE, DELITTO FABOZZI: «Un uomo di Messina aiutò l’assassino a fare sparire le prove»
Dopo l’omicidio di Carmela Fabozzi, il 22 luglio 2022, Sergio Domenichini non se ne andò da solo da Malnate. Passò a prenderlo un suo conoscente che, nonostante lui avesse i vestiti sporchi di sangue, lo accompagnò prima in via Ca’ Bassa a Varese per liberarsi dei due telefonini della vittima, poi in un compro oro per vendere la collana e gli anelli rubati alla donna.
È questa la ricostruzione della Procura della Repubblica (pubblicata sul quotidiano prealpina.it) che, infatti, ha chiesto il rinvio a giudizio non solo del 67enne in carcere dallo scorso agosto, con l’accusa di omicidio e rapina, ma anche di Antonio Crisafulli, nato nel 1960 in provincia di Messina e residente a Varese, al quale viene contestato il reato di favoreggiamento personale. Cioè, secondo gli inquirenti, avrebbe aiutato Domenichini a «eludere le investigazioni dell’autorità», come recita l’articolo 378 del codice penale che prevede per questa condotta una pena fino a quattro anni di reclusione. Richiesta di rinvio a giudizio che il pubblico ministero ribadirà domani davanti al gup del Tribunale di Varese, Stefania Pepe, nel corso dell’udienza preliminare.
Se Domenichini non ha mai parlato, né di fronte al pm, né con il gip, Crisafulli (difeso dall’avvocato Martina Zanzi) si è invece fatto interrogare al termine delle indagini preliminari. E ha respinto le accuse, negando di avere aiutato il presunto assassino a fare sparire le prove e a sfuggire così ai carabinieri che lo hanno poi arrestato il 19 agosto, al ritorno da una vacanza a Lignano Sabbiadoro.
Gli ultimi particolari dell’inchiesta emergono alla vigilia dell’udienza alla quale potranno partecipare anche il figlio e la nipote di Carmela Fabozzi, costituiti parte civile con gli avvocati Andrea Boni ed Enzo Andrea Cosentino. Stando alla ricostruzione dell’accusa, Domenichini (assistito dall’avvocato Francesca Cerri) avrebbe ucciso la pensionata colpendola nove volte alla testa con un vaso - su cui sono state rilevate le sue impronte - trovato su un mobile del corridoio della casa di via Sanvito. Casa in cui sarebbe entrato per impossessarsi di una catenina d’oro e di alcuni anelli. Tra le aggravanti, anche quella di avere agito per «motivi abietti e futili» - in particolare per ottenere i soldi per la vacanza già prenotata in Friuli Venezia Giulia (da dove, peraltro, è poi ripartito senza saldare il conto dell’hotel) - e «con crudeltà» verso la vittima, trascinandone il corpo esanime e infierendo sulla testa della donna di 73 anni, da lui conosciuta attraverso il suo impegno in un’associazione che assiste gli anziani. Ma prima di partire per il mare - continua l’accusa - il presunto assassino si sarebbe liberato degli elementi che avrebbero potuto ricondurre a lui. E qui sarebbe entrato in scena Crisafulli. Il quale, alla guida della Fiat 500 X noleggiata da Domenichini, lo avrebbe recuperato - ancora sporco di sangue - proprio nei pressi della casa del delitto per accompagnarlo a Varese a gettare i cellulari della pensionata nel fiume Olona e poi rivendere, in un compro oro, il bottino della rapina.