La mafia dei pascoli all’assalto dei fondi europei. Tutti i trucchi dei boss
Gli insospettabili complici dei boss dei Nebrodi avevano suggerito un trucco semplice, ma parecchio efficace, per evitare i controlli. Bastava non indicare l'Iban delle società che richiedevano i finanziamenti e d'incanto le pratiche venivano temporaneamente accantonate. Per prassi, in questi casi, le liquidazioni avvenivano soltanto in un secondo momento. E, a quel punto, i controlli non venivano più fatti.
L'inchiesta della procura di Messina che lunedì ha portato a condanne per 600 anni di carcere nei confronti di 91 imputati ha svelato tutta la fragilità del sistema: fra il 2010 e il 2017, l'Unione Europea ha versato 5 milioni di euro a 151 aziende agricole della provincia di Messina in mano ai boss dei Nebrodi, quelli di Tortorici. La mafia più antica della Sicilia si era lanciata nel modernissimo business dei finanziamenti, affinando stratagemmi sempre più raffinati per evitare il Protocollo antimafia voluto dall'ex presidente del Parco Giuseppe Antoci.
Senza controlli
È un baco di sistema quello scoperto dalla procura diretta fino a qualche giorno fa da Maurizio de Lucia, oggi a Palermo. Un baco che ha consentito il trasferimento di parecchi soldi anche su conti esteri, segno di una grande capacità organizzativa dei boss.
I padrini potevano contare su insospettabili consiglieri che conoscevano alla perfezione il meccanismo delle richieste di finanziamento. E, soprattutto, i tempi. Gli stessi insospettabili avevano escogitato un altro sistema di truffa, la richiesta di finanziamenti su terreni mai posseduti. Non solo in provincia di Messina. La truffa dei terreni fantasma. I fondi razziati dai boss sono quelli messi a disposizione dal "Feaga", il fondo europeo agricolo di garanzia, e dal "Feasr", il fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, misure che avrebbero dovuto dare slancio al parco dei Nebrodi, invece si sono trasformate in una grande occasione mancata. Da una parte i Bontempo Scavo, dall'altra i Batenesi: lo stato maggiore di due storiche cosche della mafia di Tortorici si contendeva un fiume di finanziamenti, grazie alle complicità di una trentina di dipendenti dei centri di assistenza agricola.
Nessun coordinamento
"Fa impressione che Agea, Comunità europea e organi di controllo "si bevano" istanze di quel tipo per terreni e finanziamenti". Il gip di Messina Salvatore Mastroeni non usò mezzi termini. Anche perché nella lista dei bachi del sistema va pure annoverato il mancato coordinamento fra gli uffici della Regione siciliana. Una storia al proposito. Nel maggio 2017, Sebastiano Bontempo Scavo, in odor di mafia, riuscì a farsi assegnare dall'ufficio di Messina del dipartimento Sviluppo rurale dell'assessorato all'Agricoltura un lotto di terreno in località Batessa: per fortuna, ad agosto il provvedimento venne revocato, ma solo perché la prefettura di Messina aveva risposto alla richiesta di informazioni della Regione. Una risposta, ha accertato l'indagine, arrivata quasi due anni dopo, per un'altra pratica. Meglio tardi che mai.
Questa è davvero una storia ricca di sorprese. A Messina la Regione mise alla porta un boss. A Catania, invece, lo accolse, nello stesso anno, concedendogli alcuni terreni demaniali a Randazzo. Alla faccia dell'informatizzazione e della comunicazione fra gli uffici.
La lista dei prestanome
Ma al mafioso di Tortorici interessava soprattutto la provincia di Messina, la sua provincia. Una questione d'onore avere dei terreni nel regno del clan. E, allora, sperimentò un altro escamotage, l'ennesimo: avanzò la richiesta di terreni attraverso un'associazione denominata "Gli Allevatori", il cui legale rappresentante era Antonino Galati Massaro, suo nipote, "all'epoca privo di precedenti penali", ha scritto il gip. Che ha aggiunto, bacchettando non poco: "Ciò, tuttavia, non avrebbe dovuto impedire (è previsto dalla normativa) al servizio per il Territorio di Messina del dipartimento regionale dello Sviluppo rurale di svolgere i previsti accertamenti su tutti gli associati assegnatari". Fin qui le inefficienze, poi ci sono le connivenze. È l'altro capitolo dell'inchiesta del Gico della Guardia di finanza e del Ros dei Carabinieri. Il gruppo mafioso aveva una vera e propria influenza sull'ufficio territoriale di Enna. Alcuni dipendenti sarebbero stati del tutto compiacenti con i boss. Uno, addirittura, chiedeva consiglio prima di assegnare un terreno. Un altro voleva aiuto per recuperare la nafta rubata da alcuni mezzi.
L'ultima decisione
Ora, la sentenza del tribunale di Patti mette in fila tutte le falle di un sistema che continua ad assegnare milioni di euro. "Grazie al lavoro della procura e del tribunale - dice l'avvocato Enza Rando, che si è costituita parte civile con Libera - è stata evidenziata una ferita profonda. Questa vicenda ci insegna che il contrasto alle mafie non è solo scelta che riguarda la magistratura e le forze dell'ordine, ma anche le istituzioni, i professionisti, oltreché tutti i cittadini: ciascuno con i propri mezzi può fare la sua parte". Fonte: la Repubblica Palermo