Operazione “Promise land”, arrivano le condanne per gli schiavisti ‘messinesi’
Il 12 giugno 2020, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia, la Squadra Mobile di Catania aveva dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del Tribunale di Catania, nei confronti di un sodalizio criminale, i cui membri erano stati ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nonché di plurime ipotesi di tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.
Ai destinatari della misura erano state contestate anche le aggravanti della transnazionalità del reato, di avere agito mediante minaccia attuata attraverso la realizzazione del rito religioso-esoterico del voodoo, approfittando della peculiare situazione di vulnerabilità e di necessità delle vittime (talvolta minori), mediante inganno consistito nel tacere l’effettiva destinazione al meretricio e nel rappresentare falsamente la possibilità di svolgere un’occupazione lavorativa lecita, ciò al fine di sfruttare la prostituzione ed esponendo le persone offese ad un grave pericolo per la vita e l’integrità fisica (facendo loro attraversare il continente di origine sotto il controllo di criminali, che le sottoponevano a privazioni di ogni genere e a diverse forme di violenza, facendole giungere in Italia via mare a bordo di imbarcazioni occupate da moltissimi migranti, esponendole ad un altissimo rischio di naufragio).
Il provvedimento restrittivo accoglieva gli esiti di un’articolata attività investigativa di tipo tecnico avviata dagli investigatori della Sezione Criminalità Straniera e Prostituzione, con il coordinamento della Dda etnea, a seguito delle dichiarazioni rese da una giovane donna nigeriana giunta in data 7.4.2017, unitamente ad altri 433 migranti di varie nazionalità, al porto di Catania a bordo della motonave “Aquarius” della Ong “Sos Mediterranée”.
Durante le fasi di accoglienza dei migranti un team di investigatori della Sezione Criminalità Straniera, specializzato nella cd. early identification di presunte vittime di tratta, individuava un soggetto vulnerabile, “Giuly” – nome di fantasia, n.d.r., che, escussa, dichiarava di aver lasciato il suo paese perché convinta da un connazionale di nome “Osas”, che le aveva proposto di raggiungerlo in Italia, promettendole un lavoro lecito e anticipandole le spese del viaggio.
Dal racconto della giovane emergevano plurimi dettagli sulla fase del reclutamento in Nigeria (dalla indicazione del Ju-Ju man ovvero lo stregone che aveva officiato il rito, alla procedura del giuramento e della sottoposizione al rito Ju-Ju, sotto la minaccia del quale la giovane aveva assunto il solenne impegno di non denunciare, di non fuggire e di pagare il debito d’ingaggio assunto, ammontante a 25.000 euro) alla fase del trasferimento in Italia dalla Libia ove veniva imbarcata su un natante di fortuna per poi essere soccorsa insieme agli altri migranti e condotta a Catania.
L’attività tecnica permetteva di identificare il richiamato “Osas” nell’indagato Osazee Obaswon, dimorante a Messina che, dopo qualche giorno dal collocamento di “Giuly” – nome di fantasia, n.d.r., in una struttura protetta, si attivava per prelevarla, portandola nella sua abitazione ed avviandola al meretricio.
Le indagini tecniche, corroborate da attività di tipo tradizionale, coordinate dalla locale Procura Distrettuale della Repubblica e condotte dal personale della Sezione Criminalità Straniera della Mobile di Catania, consentivano di ricostruire un network criminale transnazionale, con cellule operative in Nigeria, Libia, Italia ed altri paesi europei, specializzato nella lucrosa attività di human trafficking, permettendo di accertare numerose vicende di tratta (almeno 15) ai danni di altrettante connazionali:
il leader del sodalizio, Osazee Obaswon, collaborato in madrepatria dai familiari addetti al reclutamento (in base a criteri di natura meramente estetica) e alla sottoposizione ai riti magici (ripetuti più volte, anche tramite conference call, in caso di inottemperanza agli obblighi assunti) intratteneva i rapporti con i connection-man stanziati in Libia, incaricati di curare la fase finale e più pericolosa del viaggio ovvero la traversata via mare dalle coste libiche a quelle dell’Italia, ritenuta dalle vittime una vera e propria terra promessa ove avrebbero potuto sottrarsi alla miseria del paese di origine, aiutando anche i familiari ivi rimasti; una volta giunte in Italia le vittime venivano, invece, sfruttate in modo da ottenere da esse il massimo rendimento e venivano anche “smistate” in luoghi diversi del territorio italiano in guisa da massimizzare i profitti, affidate alle cure di altri indagati.
In sintesi l’indagine permetteva di fotografare l’attività di un efficiente sodalizio dedito alla tratta di esseri umani e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed operante su più Stati e distinguendo in base allo Stato ove veniva realizzata la condotta delittuosa era, difatti, possibile individuare: una componente “italiana” costituita da Osazee Obaswon detto Ozed ovvero l’Osas indicato da Giuly e risultato essere il capo indiscusso dell’associazione, da Tessy William detta Silvia, da James Arasomwan detto James; una componente “nigeriana” (familiari di alcuni degli indagati e altri soggetti con il ruolo di reclutatori); una componente “libica” (costituita dal connection man cui i sodali erano soliti rivolgersi per il trasferimento via mare verso l’Italia delle vittime).
Grazie agli sforzi congiunti dei sodali nell’arco di quasi 8 mesi venivano registrate le vicende correlate al reclutamento, al trasferimento in Italia, alla gestione su strada di numerosissime vittime di tratta. Alcune delle vittime venivano immesse nel circuito della prostituzione delle strade messinesi, ove l’indagata Belinda John (già tratta in arresto da questo Ufficio per il delitto di tratta di esseri umani e già condannata per detto titolo di reato), risultava gestire alcuni joints (postazioni lavorative su strada) e alla quale venivano rimessi da alcuni dei sodali i canoni mensili per singola posizione occupata, previa riscossione del relativo importo.
La particolare expertise maturata dall’associazione investigata non passava inosservata ad altri soggetti aventi gli stessi interessi affaristico criminali dei sodali: questi ultimi, infatti costituivano punto di riferimento per altri connazionali, anch’essi impegnati nel settore della tratta di esseri umani, i quali chiedevano consigli, contatti o supporto logistico e, talvolta, offrivano anche ausilio per la gestione di vittime, pur continuando a gestire le proprie vittime (ci si riferisce agli indagati Faith Ekairia, Joy Nosa, Rita Aiwuyo e ad altri 4 indagati non rintracciati sul territorio nazionale): il collegamento tra i vari componenti del sodalizio e gli altri connazionali sopra menzionati permetteva di ricostruire ulteriori ipotesi di tratta svolgentesi al di fuori del perimetro associativo.
A Messina risultavano attivi in tal senso, gli indagati Arasomwan e Macom Benson incaricati, tra l’altro, della riscossione del canone di locazione dei joints spettante alla “proprietaria” dei posti (l’indagata John) mentre ulteriori basi operative risultavano dislocate a Novara, dove dimoravano Tessy William e Evelyn Oghogho, a Verona quale luogo di dimora di Ekairia e Nosa e, infine, a Mondovì (CN), sede della madame Aiwuyo.
In particolar modo la rete di rapporti vantata dai sodali su tutto il territorio nazionale e all’estero permetteva di evidenziare dei trends nella realizzazione del delitto di tratta di esseri umani che, emersi occasionalmente in passato, sembravano esser in corso di stabilizzazione e, in particolare venivano rilevate due prassi:
la esternalizzazione dei servizi correlati alla gestione delle vittime (in buona sostanza, mentre in passato le vittime raggiungevano subito il proprio trafficante che si occupava di ospitarle e della loro messa a reddito, nel corso dell’indagine emergeva una sorta di “amministrazione conto terzi“ della vittima ( il soggetto che aveva finanziato e organizzato il viaggio della vittima la inviava da un altro soggetto cui delegava “in toto” la messa a reddito, il controllo del meretricio, la percezione dei guadagni e l’invio degli stessi);
la triangolazione dei pagamenti delle somme a scomputo del debito di ingaggio (a differenza di quanto rilevato in precedenti indagini ove la vittima generalmente versava nelle mani del trafficante le somme provento del meretricio, alcune madame adottavano una diversa modalità di pagamento: le vittime erano costrette a inviare le somme direttamente al voodoolista che in Nigeria le aveva sottoposte al “juju” ovvero ai propri parenti affinché questi ultimi versassero le somme al voodoolista; il voodoolista al momento della ricezione delle somme avvisava la “madame” o i di lei parenti in Nigeria e questi ultimi si recavano dal voodoolista per incassare le somme nell’interesse della congiunta, somme che ovviamente restavano in Nigeria; detta prassi assolveva evidentemente un doppio compito, ovverossia per un verso la circostanza di dover versare al voodoolista ingenerava nelle vittime una ulteriore pressione psicologica, per altro verso, assicurava impermeabilità all’attenzione investigativa elidendo ogni flusso economico diretto vittima/madame).
In costanza di attività di indagine il sodalizio riusciva con frequenza a movimentare ingenti somme di denaro, sebbene talvolta anche per importi minimi, in guisa da trasferire in Nigeria tutto il guadagno derivante dallo sfruttamento delle connazionali e così anche simulando in Italia una situazione di impossidenza (di quasi povertà): ovviamente i flussi di denaro verso la Nigeria avvenivano sempre avvalendosi dei servizi di intermediari che non utilizzavano sistemi ufficiali o tracciabili, valevoli a far perdere la tracciabilità e, soprattutto, la genesi delittuosa del guadagno (ciò consentiva plurime contestazione del delitto di autoriciclaggio).
Il volume di affari generato da detti traffici illeciti veniva gestito grazie al coinvolgimento di altri connazionali che si prestavano per trasferire, attraverso canali non ufficiali, la massima parte del denaro in Nigeria (ove veniva impiegato in investimenti immobiliari) ovvero per trasferirlo ai connection men libici in pagamento di nuovi viaggio di nuove vittime.
Dall’analisi dei flussi di denaro movimentato attraverso le carte di credito e postepay emerse nel corso delle indagini (e tutte sottoposte a sequestro) risultavano accertate operazioni nel periodo di interesse per un ammontare complessivo pari a 1.200.000,00 euro.
Ad esito della celebrazione del rito abbreviato, a distanza di poco più di un anno dall’esecuzione dell’ordinanza, in data 12 ottobre 20121, il Tribunale di Catania ha emesso sentenza di condanna, confermando l’impostazione accusatoria, irrogando complessivamente 136 anni di reclusione, così ripartiti:
OBASWON Osazee (cl.’87), anni venti di reclusione;
ARASOMWAN James (cl.’88), anni otto mesi sei di reclusione e 14.800,00 euro di multa;
BENSON Macom (cl.’91), anni dodici di reclusione;
WILLIAM Tessy (cl.’91), anni quindici mesi sei di reclusione;
OGHOGHO Evelyn (cl.’94), anni nove mesi otto di reclusione;
EKAIRIA Faith (cl.’81), anni tredici di reclusione;
NOSA Joy (cl.’78) anni quindici mesi quattro di reclusione;
OGBEIWI Nelson (cl.’84), anni dodici mesi sei di reclusione;
JOHN Belinda (cl. ’80), anni sei di reclusione e 12.000 euro di multa;
AIWUYO Rita (cl. ‘72), anni tredici mesi quattro di reclusione;
UWADIAE Julius (cl. ’78), anni dieci di reclusione.
La sentenza sopra indicata va ad aggiungersi ad altre sentenze di condanna già emesse in precedenza: nel periodo decorrente dal mese di luglio 2018 al mese di luglio 2021 sono stati complessivamente irrogati 545 anni di reclusione nei confronti di numerosi autori del delitto di tratta di esseri umani, tratti a giudizio dalla Dda di Catania a seguito di lunghe e complesse indagini, curate per la maggior parte dalla Squadra Mobile di Catania.