MAFIA: ROSARIO PIO CATTAFI CONDANNATO IN APPELLO A 6 ANNI. RICONOSCIUTO MAFIOSO FINO A MARZO 2000
di Enrico Di Giacomo - Dopo 5 anni la Corte d'Appello di Reggio Calabria, presidente Filippo Leonardo, a latere i giudici Adriana Trapani e Antonino Laganà (Pg Antonio Giuttari), ha emesso la tanto attesa sentenza nei confronti dell'avvocato barcellonese Rosario Pio Cattafi nel processo 'Gotha 3'. Ed è una sentenza di condanna. E' stata infatti confermata la sua responsabilità fino a marzo del 2000, e rideterminata la pena in sei anni di reclusione. Confermate inoltre le condanne al risarcimento del danno e la condanna alla refusione delle spese processuali per l'Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia e per il comune di Mazzarrà S. Andrea, liquidate in 4mila euro, oltre accessori.
Prima della camera di consiglio e della lettura del dispositivo, erano intervenuti in mattinata gli avvocati Fabio Repici e Salvatore Silvestro.
Il 29 settembre era stato il giorno dell'accusa nel processo d'appello (Gotha 3) a carico di Rosario Pio Cattafi, tenuto a 'bagnomaria' per cinque anni dopo il rinvio della Cassazione.
Era stato escusso il collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico che non aveva deluso le aspettative, confermando tutte le accuse nei confronti dell'avvocato Cattafi, già verbalizzate nell'ottobre del 2015 e che riportiamo sotto. Dopo l'esame del pentito barcellonese, il sostituto procuratore generale Antonio Giuttari nella requisitoria aveva revocato la richiesta del precedente Pg e chiesto la conferma della sentenza della Corte d'appello di Messina, perchè per il periodo successivo al 2000 era stata già decisa l'assoluzione passata in giudicato (ricordiamo che Saro Cattafi è stato condannato a 12 anni in primo grado, poi ridotti a 7 in appello).
Un processo, quello di Reggio Calabria, che serviva a definire un passaggio cruciale: se sull’avvocato barcellonese c’è il sigillo mafioso quantomeno fino ad un determinato momento storico, cioé fino al 2000.
La Corte d’appello reggina aveva deciso di riaprire il dibattimento, «… ritenuta l’assoluta necessità, sulla scorta di quanto prodotto e richiesto dalla parte civile, di escutere il collaboratore di giustizia D’Amico Carmelo al fine di una corretta ricostruzione dei fatti». Cosa che è stata fatta oggi.
Era stato l’avvocato di parte civile Fabio Repici, nelle scorse udienze, come rappresentante dell’Associazione nazionale familiari vittime della mafia, a chiedere tra l’altro che venisse ascoltato l’ex boss barcellonese, e oggi pentito, Carmelo D’Amico.
PIU' DI DUE ANNI PER FISSARE LA PRIMA UDIENZA E ALTRI DUE PER CELEBRARLA...
Il procedimento che si è svolto a Reggio Calabria, dopo il rinvio della Cassazione dell’ormai lontano 1 marzo 2017, in questi anni è stato sempre aggiornato tra impedimenti dei giudici e degli avvocati, e per i problemi legati alla pandemia.
La Corte di Appello di Reggio Calabria ha impiegato più di due anni per fissare la prima udienza del processo a carico di Cattafi, nonostante il reato di associazione mafiosa fosse a rischio di prescrizione. La prima udienza, che si sarebbe dovuta tenere il 17 aprile 2019, è stata rinviata per ben sette volte fino ad arrivare all’udienza del 23 giugno 2021. Due anni per fissare in calendario la prima udienza dal rinvio della Cassazione, altri due anni per celebrarla. Nel frattempo, l'ex Procuratore generale di Reggio Calabria, Giuseppe Adornato (ex assessore all’urbanistica proprio del Comune di Reggio Calabria, dal 2002 al 2007, quando la giunta reggina era guidata dal sindaco Giuseppe Scopelliti), trasferito nel frattempo d'ufficio alla procura di Messina, ha chiesto alla Corte di Appello di far decadere il reato di associazione mafiosa per intervenuta prescrizione. Per poi rettificare e chiedere anche l’assoluzione per gli anni compresi tra il 1993 e il 2000, nonostante la Corte avesse già ordinato la rinnovazione istruttoria.
Nel 2017 la Cassazione decise sul troncone dell’operazione antimafia “Gotha 3” sulla famiglia barcellonese che riguardava oltre a Cattafi anche il boss Giovanni Rao, e il “cassiere” di Cosa nostra barcellonese Giuseppe Isgrò. Per loro due, con il rigetto dei ricorsi difensivi, le condanne d’appello decise a Messina nel novembre del 2015 diventarono definitive: 5 anni e 8 mesi per Rao, 7 anni e 6 mesi per Isgrò. Per Cattafi invece i giudici della V sezione penale dichiararono inammissibile il ricorso della Procura generale. E questo significò che cadeva definitivamente il ruolo di “capo” della mafia barcellonese che gli era stato attribuito in precedenza dall’accusa. Poi stabilirono che bisognava rifare tutto in relazione alla condanna decisa dalla Corte d’appello di Messina per la sua appartenenza all’associazione mafiosa barcellonese solo fino al 2000, statuendo cioé che dopo quella data non c’erano elementi sufficienti a supporto dell’accusa.
Nella sua richiesta di riaprire il processo a Reggio Calabria depositando l’atto delle conclusioni di parte civile, nel gennaio scorso, l’avvocato Repici aveva tra l’altro inserito due elementi di grande rilevanza: una nota della Dda di Palermo, e un verbale di dichiarazioni del pentito Carmelo D’Amico.
Nel primo atto la Dda di Palermo dava conto di una relazione di servizio di un agente penitenziario, dal contenuto emblematico: nel corso del processo sulla “trattativa Stato-mafia” l’agente aveva sentito testualmente il capo di Cosa nostra Totò Riina affermare di conoscere Cattafi, poiché aveva «… mostrato di ben conoscere il Cattafi, chiamandolo “Zio Saro” e definendolo un trafficante di armi…».
Nel secondo atto, il verbale del pentito Carmelo D’Amico, il collaboratore chiamava in causa Cattafi per la vicenda del medico Attilio Manca, il brillante urologo barcellonese “suicidato” a Viterbo l’11 febbraio del 2004, con i familiari che gridano da anni della sua morte ordinata da Cosa nostra, non soltanto barcellonese, perché curò Bernardo Provenzano per i suoi problemi alla prostata.
LE RIVELAZIONI DI D’AMICO SULL’OMICIDIO MANCA.
“Poco tempo dopo la morte di Attilio Manca, avvenuta intorno all’anno 2004, incontrai Salvatore Rugolo, fratello di Venerina e cognato di Pippo Gullotti (condannato all’ergastolo quale mandante dell’omicidio di Beppe Alfano, ndr). Lo incontrai a Barcellona, presso un bar che fa angolo, situato sul Ponte di Barcellona, collocato vicino alla scuola guida Gangemi. Una volta usciti da quel bar Rugolo mi disse che ce l’aveva a morte con l’avvocato Saro Cattafi perché ‘aveva fatto ammazzare’ Attilio Manca, suo caro amico. In quell’occasione Rugolo mi disse che un soggetto non meglio precisato, un Generale dei Carabinieri, amico del Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della ‘Corda Fratres’, aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno urgente di cure mediche alla prostata, con l’urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto”. Rimbalzano forti le dichiarazioni del pentito Carmelo D’Amico rese ad ottobre del 2015 e pubblicate sulle pagine della Gazzetta del Sud. L’ex capo dell’ala militare di Cosa Nostra barcellonese racconta due confidenze raccolte tra il 2004 e il 2006 nelle quali spiccano i Servizi segreti dietro l’omicidio dell’urologo barcellonese Attilio Manca. Queste clamorose rivelazioni sono emersero durante l’udienza davanti al Tribunale del Riesame di Messina. Il collegio presieduto da Antonino Genovese doveva occuparsi del ricorso della Procura generale contro la scarcerazione di Saro Cattafi. Come è noto l’ex avvocato barcellonese era stato condannato in primo grado a 12 anni come capo della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto. Di fatto in appello Cattafi era stato riconosciuto un semplice affiliato, e solo sino all’anno 2000, e la pena gli era stata ridotta a 7 anni di reclusione. Fatto sta che il 4 dicembre 2015 gli stessi giudici della Corte d’Appello ne avevano disposto la scarcerazione.
Cattafi: il regista occulto.
“Rugolo non mi specificò se l’urologo Manca era già stato individuato come medico che doveva curare il Provenzano – si legge ancora nei verbali di D’Amico – e il compito del Cattafi era soltanto quello di entrare in contatto con il Manca, o se invece fu lo stesso Cattafi che scelse e individuò il Manca come medico in grado di curare il Provenzano. Rugolo Salvatore ce l’aveva a morte con Cattafi perché, proprio alla luce di quel compito da lui svolto, lo riteneva responsabile della morte di Attilio Manca che riteneva sicuramente essere un omicidio e non certo un caso di overdose. Rugolo non mi disse espressamente che Cattafi aveva partecipato all’omicidio di Manca ma lo riteneva responsabile della sua morte per i motivi che ha sopra detto. Quando Rugolo mi disse queste cose, io ebbi l’impressione che mi stesse chiedendo di eliminare il Cattafi, cosa che era già successa in precedenza, così come ho già detto quando ho parlato di Saro Cattafi) perché ritenuto il responsabile della cattura di Nitto Santapaola”. Per la cronaca, Salvatore Rugolo, medico di base di Barcellona P.G., morì nel 2008 a 59 anni in un incidente stradale.
D’Amico, Nino Rotolo e Attilio Manca.
Oltre ai colloqui con Rugolo c’è un’altra confidenza di cui riferisce D’Amico: “Successivamente ho parlato di queste vicende quando sono stato detenuto presso il carcere di Milano-Opera in regime di 41 bis insieme a Rotolo Antonino. Mi confidò che erano stati i Servizi segreti a individuare Attilio Manca come il medico che avrebbe dovuto curare il latitante Provenzano. Rotolo non mi disse chi fosse questo soggetto appartenente ai Servizi ma io capii che si trattava della stessa persona indicatami dal Rugolo, ossia quel Generale dei Carabinieri che ho prima indicato; sicuramente era un soggetto delle istituzioni. Rotolo Antonino, sempre durante la nostra comune detenzione presso il carcere di Milano-Opera, mi disse che Attilio Manca era stato eliminato proprio perché aveva curato Provenzano e che ad uccidere quel medico erano stati i Servizi segreti”.
Il direttore del Sisde e il calabrese dalla faccia brutta.
“In quella circostanza – prosegue D’Amico – Rotolo mi aggiunse che di quell’omicidio si era occupato, in particolare un soggetto che egli definì ‘u calabrisi’; costui, per come mi disse Rotolo, era un militare appartenente ai Servizi segreti, effettivamente di origine calabrese, che era bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi. Rotolo Antonino mi fece anche un altro nome coinvolto nell’omicidio di Attilio Manca, in particolare mi parlò del ‘Direttore del Sisde’, che egli chiamava ‘U Diretturi’. Rotolo non mi disse come era stato ammazzato Manca, né mi fece il nome e cognome del ‘calabrese’ e del ‘Direttore del Sisde’, né io glielo chiesi espressamente. In questo momento mi sono ricordato che Rotolo, se non ricordo male, indicava il calabrese come ‘U Bruttu’, ma non so dire il motivo, e che era ‘un curnutu’, nel senso che era molto bravo a commettere questo tipo di omicidi”. Il riferimento sarebbe all’agente dei Servizi soprannominato “faccia da mostro”.