Contro l’autonomia differenziata il ricorso firmato Antonio Saitta
No alla secessione finanziaria dei ricchi del nord a discapito del sud. Contro l’autonomia differenziata e il divario sempre più forte tra regioni ricche e povere c’è chi dice “no”. Oggi è stato depositato alla Corte costituzionale il ricorso contro la legge “Calderoli”, predisposto dal messinsese Antonio Saitta, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università di Messina. Lo ha predisposto per la Regione Sardegna, su incarico della presidente Alessandra Todde, insieme aicolleghi Omar Chessa dell’Università di Sassari, Andrea Deffenu dell’Università di Cagliari e Andrea Pani e Giovanni Parisi dell’Avvocatura regionale sarda.
In discusssione la legge n. 86 del 2024 con la quale il Parlamento ha inteso dare attuazione al cosiddetto “regionalismo differenziato”, previsto dalla riforma dell’art. 116, della Costituzione. Riforma approvata nel 2001 che, a giudizio di tantissimi costituzionalisti ed economisti, è destinata a far crescere le diseguaglianze tra i cittadini a seconda delle Regioni nelle quali sono residenti.
Si legge in una nota: “La legge appare in insanabile contrasto con alcuni principi costituzionali come quelli di eguaglianza, di solidarietà e, soprattutto, di unità che la Costituzione vuole che sia tale anche nel godimento dei diritti e nelle opportunità di vita offerte a tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo in cui essi vivono. Nel ricorso si contesta l’interpretazione del principio di differenziazione che sta a base dell’intera legge, perché questa consente – a favore delle Regioni più ricche e senza che vi siano ragioni giustificatrici oggettive – il trasferimento non di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, come la Costituzione prevede, bensì di “una o più materie o ambiti di materie”, con i relativi beni, risorse economiche e umane”.
“Viene violato il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni”.
E ancora si legge nella nota dello staff di Saitta: “Con questa prospettiva, l’idea di un’Italia quale Stato che mira all’eguaglianza nei diritti verrebbe sostituita da un modello arlecchinesco di Repubblica composta da territori nel quale i divari attuali non solo sono accettati, ma sono destinati inevitabilmente a crescere”.
In numerosi passaggi la legge vìola anche il principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni (artt. 5, 114 e 120 Cost.), perché nel procedimento di “differenziazione” non vengono coinvolte le altre Regioni, lasciate al ruolo di semplici spettatrici del trasferimento di competenze verso i territori più ricchi del Paese senza poter far sentire la propria voce neppure in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali”.
E non è finita: “Le conseguenze più gravi della legge, però, sono per i cittadini ai quali viene impedito di aspirare agli stessi diritti civili e sociali riconosciuti a chi risiede nelle Regioni più sviluppate.
La legge Calderoli, infatti, non solo non fornisce nessuna garanzia sul concreto finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), tenendo fermi gli attuali divari territoriali, ma addirittura prevede espressamente che le Regioni “differenziate” possano non partecipare agli obiettivi di finanza pubblica. In pratica, la legge autorizza un’autentica “secessione finanziaria” delle Regioni più ricche, addossando i costi dei programmi di finanza statale e di risanamento finanziario solo sulle spalle dei cittadini residenti nelle Regioni meno sviluppate”.
Nei prossimi mesi la Corte costituzionale dovrà decidere sul ricorso della Regione Sardegna e su quelli contro la medesima legge proposti dalle Regioni Campania, Puglia e Toscana. Non è ancora noto se l’udienza si terrà prima o dopo il referendum per la cui richiesta si stanno raccogliendo in questi giorni le firme in tutta Italia.