Ponte sullo Stretto, blitz della Lega: fino a 25 anni a chi contesta. E lo Stato anticiperà le spese legali degli agenti accusati di violenze
Chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro le grandi opere infrastrutturali, come il ponte sullo Stretto di Messina, rischierà oltre 25 anni di carcere. E se un poliziotto finisce sotto processo per averlo malmenato, lo Stato potrà anticipargli le spese legali (raddoppiate). È il combinato disposto di due emendamenti approvati mercoledì al cosiddetto “pacchetto sicurezza“, il ddl approvato a novembre dal Consiglio dei ministri e ora in discussione nelle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera. È passata, infatti, la proposta del deputato leghista Igor Iezzi – sottoscritta anche dagli altri partiti di maggioranza – che introduce una nuova aggravante del reato di resistenza a pubblico ufficiale: la pena “è aumentata” se la violenza o la minaccia (elemento costitutivo della resistenza) “è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica“.
Si tratta di un’aggravante generica, che non specifica l’aumento di pena e quindi consente di innalzarla fino a un terzo (in base alle norme generali). E va ad aggiungersi alle altre aggravanti già previste per lo stesso reato, in base alle quali – ad esempio – la pena va da tre a 15 anni se la violenza o minaccia è commessa “da più di dieci persone“, ed è aumentata fino a un terzo se il fatto è compiuto “nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico” oppure “con scritto anonimo, o in modo simbolico“. Tirando le somme, quindi, un attivista che protesta in modo un po’ acceso di fronte al cantiere di una grande opera, in un gruppo di più di dieci persone, distribuendo volantini non firmati o prendendo parte a un flash mob, potrà essere punito con un massimo di quindici anni di carcere, più un terzo, più un altro terzo. Totale: quasi 27 anni. In base alla prima versione dell’emendamento Iezzi – poi riformulata – la pena sarebbe stata ancora più alta, perché l’aumento per la nuova aggravante era stabilito in una cornice “da un terzo a due terzi“.
Nella seduta congiunta delle commissioni, i deputati di opposizione si sono scagliati all’unisono contro l’emendamento. Con questa norma “state dicendo che i manifestanti contro le grandi opere saranno puniti più gravemente perché esprimono un certo tipo di opinione, un certo tipo di protesta”, ha attaccato Valentina D’Orso, capogruppo M5s in Commissione Giustizia. Per un’altra deputata pentastellata, Carmela Auriemma, la nuova aggravante “va a punire il dissenso in maniera strategica”: “Così la Lega rinnega le proprie vecchie battaglie territoriali, tra cui quella contro il Ponte”, ha sottolineato. “L’obiettivo è spaventare i manifestanti, anche quelli che vogliono manifestare in maniera pacifica. L’obiettivo è far capire che qualcosa potrebbe succedere, che si potrebbe essere denunciati anche senza usare violenza o minaccia. Si continuano a colpire le manifestazioni e soltanto un certo tipo di manifestazioni, mentre quelle fasciste per la destra vanno bene”, polemizza invece Devis Dori di Alleanza Verdi e Sinistra. Durissimo anche Riccardo Magi di +Europa: “Questa è un’aggravante che non dipende dalle modalità ma dalla motivazione della manifestazione. Stiamo introducendo il processo alle intenzioni nel codice penale. State perdendo la faccia, ma rischiate di farla perdere al Parlamento”, ha detto. Dal Pd Matteo Mauriattacca: “Nel mondo ideale di questo governo tutti dovrebbero starsene in casa, non esprimere mai il proprio punto di vista e stare attenti a non protestare, a meno che non sia gente col trattore. Questa è la logica: tutti zittiperché c’è qualcuno che comanda”. E Federico Gianassi avverte: “Non si usa il codice penale per fare propaganda e nemmeno per sfidarsi tra partiti di maggioranza”.
Pochi minuti dopo le commissioni hanno dato il via libera a un altro emendamento leghista riformulato (a firma di Igor Iezzi e Laura Ravetto) che consentirà di anticipare le spese legali agli “ufficiali o agenti di pubblica sicurezza (…) indagati o imputati per fatti inerenti al servizio“, cioè spesso per reati di violenza, “che intendono avvalersi di un libero professionista di fiducia”. Finora la difesa di poliziotti e carabinieri era gratis solo se affidata all’Avvocatura dello Stato, mentre per i difensori privati era previsto il rimborso successivo. Lo Stato si potrà rivalere solo se il dipendente viene condannato per un reato doloso, ma non se viene archiviato, prosciolto (ad esempio per prescrizione) o giudicato responsabile di un delitto colposo. Il budget disponibile inoltre raddoppia, passando da cinquemila a diecimila euro per ciascuna fase del procedimento (indagini preliminari, udienza preliminare, primo grado, Appello e Cassazione): a questo scopo vengono stanziati 860mila euro l’anno a partire dal 2024.
“È una mia battaglia personale e ne vado particolarmente fiero”, festeggia il sottosegretario leghista all’Interno, Nicola Molteni. Mentre il leader del Carroccio Matteo Salvini festeggia su X: “Un risultato storico ottenuto oggi in commissione, grazie alla Lega. Con l’emendamento al ddl Sicurezza viene estesa la tutela legale a donne e uomini delle nostre forze di polizia che, in caso di denuncia o indagine per fatti inerenti al servizio, non dovranno sostenere alcun costo per difendersi“. Critica invece l’Alleanza Verdi e Sinistra con i deputati Devis Dori e Filiberto Zaratti: “La destra vuole comprarsi la simpatia delle Forze dell’ordine pagando le loro coperture legali, questo non avviene per nessun dipendente dalla Pa. E per i casi di agenti infedeli, accusati di complicità con il malaffare? O per quelli terribili di tortura, come è stato per Stefano Cucchi? Fate pagare tutto ai cittadini, e questo è inaccettabile”.