L’avv. Repici in commissione antimafia: “Paolo Borsellino era interessato al pentito della pista nera dietro alla strage di Capaci”
Di Giuseppe Pipitone - Arriva in Antimafia l’interesse di Paolo Borsellino per Alberto Lo Cicero, il collaboratore di giustizia che per primo aveva parlato ai carabinieri di boss importanti come Mariano Tullio Troia e Salvatore Biondino, l’autista di Totò Riina. E che – come ha raccontato Il Fatto Quotidiano già nel maggio del 2022 – è stato al centro delle indagini sulla cosiddetta “pista nera” dietro alla strage di Capaci. A parlarne è stato Fabio Repici, avvocato di Salvatore Borsellino, che ha completato la sua audizione davanti ai parlamentari di Palazzo San Macuto.
Le parole di Repici – L’ultima parte dell’intervento del legale è stata secretata, su richiesta dello stesso Repici, che aveva anticipato la sua istanza nelle scorse settimane. Subito prima che la presidente Chiara Colosimo accogliesse la richiesta, ordinando lo stop della trasmissione video, però, Repici ha citato l’interessere di Borsellino per Lo Cicero. “Leggendo un’ordinanza di custodia cautelare io ho scoperto un dato che a me era sconosciuto e cioè che il 15 giugno del 1992, quindi fra Capaci e via D’Amelio, ci fu una riunione di coordinamento di indagini fra le procure di Palermo e di Caltanissetta in relazione al collaboratore di giustizia, Alberto Lo Cicero. A quella riunione di coordinamento investigativo, scopro da questa ordinanza, ha partecipato Paolo Borsellino. Qual è il punto? Il punto è che questa ordinanza mi ha dato la plastica dimostrazione di quanto ancora oggi noi siamo portati fuori strada da false piste, dai depistaggi compiuti nascondendo elementi di prova. Non c’è un processo nel quale si sia accertato cosa ha fatto Borsellino tra il 23 maggio e il 19 luglio 1992″.
La riunione con Borsellino – Repici si riferisce all’ordinanza emessa nel luglio scorso dal gip di Caltanissetta per Stefano Menicacci, ex parlamentare del Msi e storico avvocato di Stefano Delle Chiaie, e per il suo braccio destro Domenico Romeo, finiti ai domiciliari con l’accusa di aver mentito ai pm che indagano sulle stragi. In pratica i due hanno tentato di nascondere la presenza di Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale, in Sicilia nel periodo precedente aCapaci. A pagina 54 dell’ordinanza il gip Santi Bologna scrive: “Deve darsi atto come il 15.06.1992 vi fu una riunione di coordinamento tra la Procura della Repubblica di Palermo e quella di Caltanissetta, in relazione alle risultanze del proc. n. 3471/1992, a cui prese parte il Dott. Borsellino (oltre ai Dott.ri Giammanco, Alìquò, Teresi e Vaccara). Nonostante il Dott. Teresi non abbia alcun ricordo della questione (“Nulla so dire circa il coinvolgimento di Paolo Borsellino nella vicenda Lo Cicero … In particolare io non ricordo di avere parlato con Paolo Borsellino di tale argomento, ma non posso escluderlo”), è innegabile che il Dott. Borsellino ebbe contezza di quella vicenda, avendo partecipato alla predetta riunione di coordinamento“. Il numero del procedimento, come specifica sempre il gip nelle note, corrisponde a quello nato dalle dichiarazioni di Lo Cicero, un falegname che non era affiliato formalmente alla mafia anche se era l’autista di Mariano Tullio Troia, boss di Cruillas a Palermo e trait d’union tra Cosa nostra e gli ambienti politici dell’estrema destra. La compagna di Lo Cicero, invece, è Maria Romeo, la sorella di Domenico Romeo, braccio destro di Menicacci, avvocato di Delle Chiaie.
Le dichiarazioni di Lo Cicero – Il pentito – personaggio principale di alcune puntate di Report – è morto alcuni anni fa, ma prima ha sostenuto di aver incontrato in via informale e riservata Paolo Borsellino. Dichiarazione confermata dalla sua ex compagna, Maria Romeo, che è anche la prima persona che parla della presenza di Delle Chiaie in Sicilia nel periodo delle stragi: secondo la donna l’estremista nero era alla ricerca di esplosivo prima di Capaci. Lo Cicero ha anche sostenuto di aver rivelato al carabiniere Walter Giustini (che l’ha ripetuto davanti ai pm e oggi è indagato per depistaggio) l’importanza di Salvatore Biondino, l’autista di Riina che all’epoca era completamente sconosciuto agli investigatori. Lo stesso pentito sostiene di aver notato strani movimenti nella zona di Capaci poco prima della strage in cui venne ucciso Giovanni Falcone. Probabilmente è per questo motivo se la procura di Caltanissetta, titolare delle indagini sulla bomba del 23 maggio ’92, era interessata alle dichiarazioni di Lo Cicero, tanto da organizzare una riunione di coordinamento con i magistrati di Palermo.
“Borsellino si occupò di Lo Cicero” –Trent’anni dopo, però, i racconti del pentito sono considerati inattendibili. Così li definisce nella sua ordinanza il gip Bologna, lo stesso giudice che ha recentamente rigettato l’archiviazione sulle controverse dichiarazioni di Maurizio Avola. In quelle carte, però, viene riportato come il ruolo del confidente avesse catalizzato l’attenzione di Borsellino, che era andato fino a Caltanissetta per discutere coi colleghi nisseni di Lo Cicero. “Rimane da capire perché il Dott. Borsellino prese parte a tale riunione di coordinamento non essendo lui, bensi il Dott. Aliquò il procuratore aggiunto di riferimento per l’area geografica di Palermo”, scrive il gip, riferendosi al fatto che il 15 giugno del 1992 Borsellino non aveva ancora la delega a indagare sul territorio di Palermo, che gli sarà riconosciuta dal suo capo Giammancosolo la mattina del 19 luglio. Del resto a ricordare l’interesse del magistrato per le confidenze fatte da Lo Cicero ai carabinieri è anche Marco Minicucci, all’epoca comandante del nucleo operativo di Palermo. “Ricordo che il dott. Borsellino si occupò delle indagini sul Lo Cicero. Preciso che in realtà lui non era il magistrato di riferimento ma ciò nonostante fu messo al corrente delle risultanze originate dalle indagini a carico del Lo Cicero”.
Il pentito e il divieto di parlare con altre procure – Non si sa cosa Lo Cicero possa aver riferito Borsellino e neanche perché il magistrato fosse talmente interessato alle dichiarazioni del pentito da partecipare a una riunione alla quale formalmente non avrebbe potuto avere accesso. Quello che si sa è che Borsellino aveva dato precise disposizioni su Lo Cicero: il collaboratore non doveva parlare con altre procure. Lo scrive sempre Minicucci in una nota del 14 settembre ’92, dunque dopo la strage di via d’Amelio, indirizzata agli uffici inquirenti di Palermo e Caltanissetta: “Sia il dott. Borsellino che la S. V. (il riferimento è per l’allora procuratore aggiunto Vittorio Aliquò) avevano raggiunto accordi, per averli da Voi appresi, circa la inopportunità al momento di richiedere la disponibilità del collaboratore a fornire informazioni ad altre autorità giudiziarie“.
Un falegname con una particolarità –Quelli sono i giorni in cui Borsellino interroga Gaspare Mutolo e Leonardo Messina, i collaboratori di giustizia che gli parlano dei legami tra Cosa nostra e alcuni importanti esponenti delle istituzioni come Bruno Contrada. Sono confidenze che non vengono messe subito a verbale, ma che probabilmente Borsellino appunta nella sua agenda rossa. Parallelamente il magistrato è pure interessato a Lo Cicero, il confidente che avrebbe pure incontrato in via riservata. Prima di farlo collaborare con altri pm, evidentemente, Borsellino voleva verbalizzare lui stesso le dichiarazioni dell’autista di Troia, il boss che gli altri mafiosi chiamavano “U Mussolini” per le sue estreme tendenze politiche. E invece Lo Cicero firmerà il primo verbale da collaboratore solo il 24 luglio del ’92, dopo la strage di via d’Amelio e quindi con un magistrato diverso da Borsellino. Oggi, come detto, le sue dichiarazioni sono considerate inattendibili per i magistrati di Caltanissetta, che ricordano come già nel 1995 il tribunale di Palermo avesse accertato le bugie di Lo Cicero in merito alla sua affiliazione. E dire che per due volte Cosa nostra ha cercato di ucciderlo: tra il 1993 e il 1994 per ammazzare l’inattendibile falegname Lo Cicero, uno che non era mai stato neanche combinato, si muovono due killer di primo piano come Gioacchino La Barbera e Gaspare Spatuzza. Uomini fidatissimi di Giuseppe Graviano, il boss che ha organizzato tutta la stagione delle bombe, da quelle del ’92 alle stragi di Milano, Roma e Firenze. Lo Cicero dunque ha una peculiarità: suscitava gli interessi sia di Borsellino che del boss di Brancaccio. Due che si trovano a pochi metri di distanza il 19 luglio del ’92: il magistrato è sotto casa di sua madre, in via d’Amelio, mentre Graviano è nascosto in un giardino poco distante. Ha in mano un telecomando che trasformerà quella strada in un inferno, cambiando per sempre la storia di questo Paese.